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Link (1986): curioso come George, educato come Norman Bates

Scimmie, scimmie, scimmie e ancora scimmie! Il nostro Quinto Moro ci porta a spasso per le campagne inglesi, mano nella mano con un branco di scimmie.

Quando a 6 o 7 anni vidi questo film in tv divenne istantaneamente il mio film preferito, e lo rimase per quelle ere geologiche che sono i mesi nella vita di un bambino. Spulciavo spasmodicamente la guida tv in attesa dei successivi passaggi, ma ciò che mi faceva impazzire non era il film in sé, era la scimmia protagonista: Link.
Desideravo tanto vedere una scimmia dal vivo che mio nonno prese a farmi un pessimo scherzo: ogni tanto mi diceva di averne comprata una, io correvo giù in strada a vedere nel retro del suo camion e restavo puntualmente deluso nel trovarci uno stupido asino. Asino io che ci cascavo.
Oh, pur senza il feticismo esotico verso i primati del nostro amichevole Cassidy di quartiere, il mio amore per “Link” è imperituro. A rivederlo oggi ho riso dei dialoghi terribili e scrollato la testa tanto da farmi venire il torcicollo, ma ho pure gradito qualche buon piano sequenza e le smorfie del vecchio Link. Link il signore del fuoco, che veste elegante, fuma sigari, spia le donne nude, ammazza gente. Gigione, spaccone e decisamente maniaco, questo è Link! E non me ne voglia se lo spedisco dritto tra i Bruttissimi di Rete Cassidy.

Link è un film con e sulle scimmie. Sono loro la parte migliore e il motivo per cui dovreste vederlo, dimenticandovi di tuuuuuutte le brutture di sceneggiatura e il montaggio fatto con l’accetta, specie nella parte finale. La durata è perfetta, 90 minuti che filano verso un finale che la butta in caciara ma diverte.
I fatidici primi 5 minuti ci dicono che questo film parlerà di scimmie, e che non sarà tutto rose e fiori. I titoli di testa sono una carrellata su un dipinto (sembra carta da parati, ma vabbè) con motivo forestale, sagome di primati e di selvaggi, il tutto accompagnato da una colonna sonora atroce. Si riacquista un po’ di speranza col bel piano sequenza in soggettiva: minaccia nascosta nel buio, animali che si agitano, forse la vittima sarà la bimba innocente nel suo lettino? Rumori sul tetto, un urlo nella notte, e… una scenetta in tv uguale a quella di Uma Thurman con vestito da gorilla in Batman & Robin (fateci caso). Confusi? Non preoccupatevi, per fare un film basta una ragazza e una pistola.

Lei però gioca nella squadra di Ramòn e preferisce i fucili

La sceneggiatura vorrebbe come protagonista la giovane di belle speranze – una Elisabeth Shue agli esordi – che di nome fa Jane non a caso, come Jane Goodall, la ricercatrice che a cavallo degli anni ’70 ha sfatato il mito delle “scimmie buone” raccontandone i comportamenti brutali, o come quell’altra Jane che di scimmie se ne intendeva. In questo caso invece di un bel Tarzan palestrato, la nostra Jane si ritrova un professore secco e con lo sguardo spiritato di Terence Stamp (le è andata pure bene, visto che il ruolo era stato offerto a Anthony Perkins, uno non proprio raccomandabile quando si tratta di ospitare bionde in posti isolati).
Da aspirante zoologa, la bella Jane si offre di fare da assistente al Dottor Phillip, che però non cerca “assistenti femmine” ma donatori di sperma. Alla Bara siamo politicamente corretti e non farò battute su come Jane avrebbe potuto procurarsene, visto l’andazzo dei dialoghi iniziali è già tanto che a fare simili illazioni non sia stato proprio il Dottor Phillip. Diciamo che in questa scena si è deciso cosa dovesse diventare il film, se un porno o un thriller horror con le scimmie (anche se qualche ripensamento poi c’è stato). Certo è che il buon Doc ci mette 30 secondi a fare segreti progetti sulla nuova assistente. Un’estate soli nella casa di campagna e chissà cosa può succedere, ma il Doc dovrà vedersela con ben altro partito, il suo scimmione maggiordomo Link, che in quanto a fantasie sulla bella Jane non sarà da meno.

Tienitelo ben stretto quell’accappatoio, non sai in cosa ti stai cacciando

Le velleità da thriller, nutrite dai tanti spiegoni sulle atrocità dei nostri cugini primati, lasciano il passo a un più classico slasher – anche se gli schizzi di sangue e le morti cruente latitano. Non a caso la protagonista è una giovinetta acqua e sapone pronta a trasformarsi da potenziale vittima a scaltra final girl (non è spoiler, è matematica).
Dopo averci imbeccato per una buona mezz’ora sulla brutalità delle scimmie, il film mantiene le promesse trasformando Link nel vero protagonista. Con un passato nel circo e un presente da maggiordomo, con quegli occhietti fissi e l’aspetto da uomo di mezza età annoiato con qualche mania di protagonismo, Link ci mette poco a prendersi la scena. Già dalla prima inquadratura (sagoma in ombra stagliata sull’ingresso, un tocco di classe) ci appare come una presenza sinistra, in controtendenza con tanto cinema che a cavallo degli anni ’80 e ’90 usava le scimmie come animaletti simpatici. Link fece un po’ da apripista per il filone – mai del tutto esploso – delle scimmie assassine, precedendo Monkey Shines e Shakma, e osando dove altri avevano solo scherzato. Avete presente la scena “contro ogni legge di natura” di Howard e il destino del mondo? Qua è al contrario, solo più disturbante e grottesca. Certo che doveva girare roba buona nell’86.

«Me ne sbatto delle vostre pallottole, sono il numero uno!» (Cit.)

La scimmia che interpreta Link è un orango con orecchie posticce per sembrare uno scimpanzé. Secondo la produzione, gli scimpanzé erano visti con simpatia dal pubblico, e visto che Link non è esattamente una brava scimmietta l’hanno fatto interpretare ad un orango. Lo so che non ha senso, ma così è.
Le tre scimmie protagoniste vengono spacciate tutte per scimpanzé mentre si tratta di specie diverse, differenziate nell’aspetto per definirne i caratteri: l’unico vero allo scimpanzé, Imp, sarà quello simpatico, infantile e buono (forse). Voodoo, quello tozzo e scuro è un bonobo, e all’inizio fanno passare lui per il selvaggio violento (questa cosa mi pare un tantino razzista, oltre che ingiusta per una delle specie più interessanti, per non dire illuminate tra i nostri cugini primati). Link, da buon orango, è quello che sembra più tranquillo, con una mimica facciale meno esasperata e lineamenti che lo rendono più umano.

E poi c’è Terence Stamp, che forse è la scimmia più matta di tutte (è quello a destra)

Richard Franklin (nonostante il nome figo) è conosciuto a malapena per aver diretto “Psycho II”, da cui voleva portarsi dietro Anthony Perkins che però rifiutò il ruolo dello scienziato pazzo per le scimmie, poi andato a Stamp. Da buon australiano, Franklin sfoggia pure le inquadrature a volo d’aquila rese celebri dal connazionale Peter Jackson, oltre a un paio di citazioni più o meno evidenti a Shining (il buco nella porta bianca, l’inquadratura aerea dell’auto tra le verdi montagne inglesi, la macchina da presa che segue Jane per le scale). Franklin è bravo a costruire qualche scena tesa e rendere le scimmie via via più minacciose, nei momenti in cui si agitano e fanno branco, o negli sfoggi di forza di Link, senza però trasformarle mai in bestie senza cervello assetate di sangue. I sorrisi e le smorfie di Link, i suoi modi da maschio alfa, ora creano tensione ora la smorzano. Franklin dirige con tanto mestiere e pochi soldi, appena 6 milioni di ex presidenti defunti stampati su fogli verdi, e gli va riconosciuto d’essersi opposto a chi voleva usare umani vestiti da scimmia negli stunt e nelle scene violente. Qui solo scimmie originali!
Ritrovandosi in mezzo a un passaggio di produzione, con l’acquisto della britannica EMI Films da parte dell’americana Cannon (nel pieno dei suoi anni d’oro), il film s’è beccato due belle sforbiciate, prima da una e poi dall’altra parte. Niente che abbia danneggiato il risultato finale visto che sono quasi tutti sproloqui del Dottor Phillip a tema scimmiesco, e che lo fanno sembrare anche più fuori di testa.

«Và che buco di sceneggiatura!»

Il film dà il meglio di sé nella parte centrale, nel momento in cui Jane si ritrova a badare alle scimmie senza capire cosa stia succedendo. Si va in pieno assedio casalingo: Jane è sola, in una villa sperduta tra le brulle campagne inglesi circondate da famelici cani. Perché è questa la trovata che impedirà a Jane di fuggire dalla casa: i leggendari cani randagi delle campagne inglesi. Io dico: hai già beccato da tutte le mangiatoie possibili, da Shining a Cane di paglia, da Psycho a Gli uccelli, ma John Landis faceva schifo? I lupi no e i cani da pastore sì? Le scene che richiedono sospensione d’incredulità non mancano. Dopo i cani, ci si mette pure la forza di gravità e le leggi della fisica quando Jane resta bloccata col furgone a pochi metri dalla villa. In discesa. E non riesce a spingere. In discesa. Comunque meno peggio dei dialoghi e dei comportamenti degli umani, che non fanno certo la figura della specie evoluta. Fatico a immaginare a cosa pensava lo sceneggiatore quando ha scritto il film…

Direi che questo spiega molte cose.

Diciamolo, visto oggi è un film vietato agli animalisti, ma soprattutto alle femministe. Come final girl Jane non fa una gran figura sfoggiando una dabbenaggine che rende difficile tifare per lei: vuol fare l’assistente del Doc ma passa tutto il tempo battibeccare con lui su quanto sia sbagliato tutto quello che fa, nel giro di un minuto passa da fiera femminista a donna delle pulizie. Ci sono delle autentiche perle nelle scene tra Jane e il Doc che scatenerebbero i Social Justice Warrior per tutto l’infernet, ve lo consiglio anche solo per questo. Poi sarà che io ho sempre tifato per Link, ma quando il tuo capo sparisce e tu benedetta ragazza ti ritrovi isolata dal mondo con due scimmie (di cui una maniaca), possibile che al primo umano che incontri invece di chiedere aiuto ti metti a fare la stronza?

«Cattivi umani, cattivi! Tu Cheeta, io Jane!»

L’altra cosa che stranisce è la colonna sonora. Jerry Goldsmith da veterano ultra prolifico quale è, qui ne sforna una dalla bruttezza singolare, usata davvero da cani se invece di creare tensione la ammazza. La sensazione è che Goldsmith abbia ricevuto un bigliettino con su scritto “musica per film scimmie circo paura” e abbia composto il tutto dopo una serata di bagordi. Un vero peccato perché a parità di girato l’effetto dei momenti più tesi poteva essere ben diverso, soprattutto nel gran finale con fuoco e fiamme, in cui almeno Jane riesce a riscattarsi. Piccolo colpo di genio anche l’ultima scena, col ritorno del simpatico Imp, l’unica scimmia buona e simpatica della combriccola.
Insomma, Link è un tipico “so bad, so good” per una serata leggera, dategli un’occasione (lo trovate su Prime Video).

Bro-fist Link! (anzi, doppio Link)

Sepolto in precedenza giovedì 31 agosto 2023

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