Se dici che ti piace Wes Anderson è un po’ come se andassi in giro a dire che ti piace la cedrata Tassoni, ti danno subito dell’Hipster. Che poi non è un problema della cedrata Tassoni in sé che, ammettiamolo, è pure buona, ma una questione di percezione: se ordini una cedrata o parli bene di Wes Anderson tutti pensano che hai le bretelle, la barba lunga e parli tipo: «oh zì, ho visto l’ultimo di Anderson al cineforum prima di andare a fare l’ape».
Il che è piuttosto assurdo, cioè lo capisco, ma solo fino ad un certo punto, perché Wes Anderson avrà pure iniziato come autore del cinema Indie, ma in poco tempo ha allargato il suo giro al grande pubblico, sempre restando estremamente riconoscibile, la messa in scena e le tematiche dei suoi film sono sempre quelle, come se facesse cinema affetto da un disturbo ossessivo compulsivo per le simmetrie, le tematiche familiari e, ovviamente, il colore arancione.
Potrà essere amato, oppure starvi sulle palle, ma Wes Anderson nel corso della sua filmografia si è guadagnato una cerchia di estimatori e anche di attori di fiducia, una sua “Factory” (passatemi il termine) che diventa sempre più vasta, la selezione di attori dei suoi film sembra come entrare in un locale alla moda di Hollywood per numero di nomi e facce note potete trovarci dentro.
Qualche esempio? Anderson può contare su un cast che prevede signore e signori come Frances McDormand, Scarlett Johansson, Harvey Keitel, F. Murray Abraham, Yōko Ono (!!), Tilda Swinton, Ken Watanabe, Roman Coppola ed Anjelica Huston. Bau! Bau! Arrrrrfff [Scodinzolio]
“L’isola dei cani” segna il ritorno di Wes Anderson all’animazione in stop motion, dopo gli ottimi due titoli con attori in carne ed ossa ovvero, “Moonrise Kingdom” (2012) e “Grand Budapest Hotel” (2014) quest’ultimo in particolare, a distanza di un paio d’anni non mi ha lasciato troppo. A differenza di “Fantastic Mr. Fox” (2009), prima sortita di Anderson (non QUESTO) nel mondo dell’animazione a passo uno, un titolo brillante che ho visto e rivisto più volte e che ancora oggi penso sia un ottimo modo per spiegare a qualcuno cosa aspettarsi, con un film di Anderson (nemmeno QUESTO).
Non penso che “Isle of Dogs” sia un film riuscito come “Fantastic Mr. Fox”, specialmente nella parte centrale dove la trama ristagna un po’, ma stop motion o meno, è al 100% un film di Anderson, nelle tematiche e nelle ossessioni, anzi, viene da pensare che l’ambientazione giapponese sia la quadratura del cerchio per il vecchio Wes.
Sì, perché il rigore delle simmetrie, le antiche tradizioni, anche una certa freddezza nel non far trapelare le emozioni è tutta roba che assoceresti al cinema di Anderson e all’idea del Giappone che potrebbe avere tipo che so, un cane come me. Anzi, pare proprio che ogni volta che Wes volge lo sguardo a qualche Paese straniero (è Americano, quindi qualunque altro Paese del globo) lo faccia in maniera volutamente stilizzata, mai con una volontà di realismo, ma sempre per sfruttare l’assist dell’iconografia locale per buttare tutto sul cinema, era così per l’India di “Il treno per il Darjeeling” (2007) e per l’est Europa di “Grand Budapest Hotel”, non cambia nemmeno per questo Giappone del futuro che, però, a ben guardarlo, sembra abbastanza retrò o per lo meno, come potevano intendere il futuro che so, negli anni ’60, insomma una roba post moderna, altra parola che come la cedrata Tassoni, quando la utilizzi ti spuntano subito le bretelle e i risvoltini.
Altro giro, altra parola abusata: distopia! (Sbaglio o mi sta crescendo ancora di più la barba?) Nel Giappone del futuro dell’anno 2038, un’epidemia di influenza canina colpisce tutti i cani, la malattia creata ad hoc dal governo populista di Kobayashi, l’autoritario sindaco della città di Megasaki, diventa l’occasione migliore per stringere la sua presa sul Paese, usando i migliori amici dell’uomo come capro espiatorio. Sarà… Ma questo futuro Andersoniano mi sembra fin troppo simile al nostro presente, ma sarà la cedrata Tassoni che inizia a darmi alla testa, oppure il fatto che ogni apparizione del malvagio Kobayashi è (volutamente) una citazione visiva al Kane di “Quarto Potere” (1941).
Ma, come dicevo, il cinema di Anderson è un continuo rielaborare, un collage di pezzi di altro cinema, quindi la soluzione applicata da Kobayashi è la quarantena per tutti i cani del Paese, esiliati su un’isoletta solitaria, un tempo usata per scaricare la spazzatura ed oggi, gli indesiderati malati a quattro zampe, un po’ come l’isola carcere di 1997: Fuga da New York con i cani al posto delle Jene (Plissken).
Qui facciamo la conoscenza di Chief (Bryan “Più grande attore del mondo” Cranston) cane nero e randagio a capo (fin dal nome) ad una banda di cani un tempo addomesticati che oggi, hanno dovuto reinventarsi per sopravvivere sull’isola, tutti guappi di cartone che di duro hanno solo i nomi (Rex, King, Boss e Duke) e le voci, visto che sono doppiati da signori come, Edward Norton, Bob Balaban, Bill Murray e Jeff Goldblum… Scusate se è poco!
La svolta come nel film di Carpenter arriva dal cielo, quando precipita il presidente? No, il figlio del presidente, ovvero Atari Kobayashi, detto il piccolo pilota, in missione per ritrovare il suo cane, l’addestratissimo Spots, doppiato da Liev Schreiber, qui da noi, purtroppo, da Pino Insegno, fatevene una ragione, ci tocca sorbircelo pure qui.
Ora, io non so se scegliere di chiamare un personaggio “Atari” e poi metterlo al centro di una ricerca su vari livelli (i quattro capitoli che suddividono la storia) sia una strizzata d’occhio ai videogames o solo una roba da consumatori di cedrata Tassoni, ma è sicuramente qualcosa molto in stile Wes Anderson, perché tutti i personaggi, affrontando questa ricerca, dovranno mettere in dubbio loro stessi e reinventarsi, non dico trovando la felicità, perché quella nei film dell’Anderson in fissa con l’arancione, è spesso un’utopia, ma almeno un modo di vivere che funzioni per loro.
Di sicuro, “Isle of Dogs” è un film che ambientato nel futuro, fa metafora del nostro presente, quindi se non altro la questione “Fantascienza” (se così possiamo definirla) è per lo meno rispettata, o comunque non maltrattata da Anderson. Quello che resta costante è il tema della famiglia, quella che qualche volta è biologica e legata dal sangue, ma il più delle volte nei film di Anderson è disfunzionale, in questo caso il rapporto padre/figlio è interpretato in maniera molto riuscita da quello che c’è tra un cane e il suo padrone.
La trovata che personalmente considero più geniale di tutto il film, è proprio l’uso del Giappone come Paese e della sua lingua in particolare, molti dialoghi e scritte nel film, non sono né doppiati né sottotitolati, a parlare Inglese (o Italiano, se guardate il film doppiato) sono solo i cani quando comunicano tra di loro e la giovane giornalista (Americana), ovvero i personaggi che smuovono di più la storia insieme ad Atari.
Avete presente quando il vostro cane inclina la testa di lato per capire che cosa cavolo gli state dicendo, una delle mie due bestie lo fa sempre (l’altra è una ciuccia a macchie e non gliene frega niente di capire cosa le diciamo), qui Wes Anderson trasforma tutti noi spettatori nel nostro amico a quattro zampe, vediamo un umano che parla usando parole incomprensibili, di cui ogni tanto captiamo giusto una parola a noi familiare, tipo “Seduto”, oppure “Biscotto”, se avete dei cani sapete che fanno parte del normale vocabolario “Cane/Umano e Umano/Cane”.
L’impossibilità di comunicare tra umani e cani è metafora di quella che c’è tra le diverse generazioni, non è un caso se la rivolta contro il tremendo Kobayashi venga portata avanti dai ragazzi giovani ed in questo senso l’animazione a passo uno aiuta molto a rendere credibile una storia vede come suoi protagonisti dei cani (umanizzati) e i soliti ragazzini giovani all’anagrafe, ma adulti nei comportamenti che nei film di Anderson non mancano mai. Oh, se pensate che Wes si allontani dal suo schema mentale, campa cavallo, perché più ossessivi di lui sono rimasti in pochissimi.
In un certo senso, vedere “L’isola dei cani” mi ha fatto pensare ad Akira, non tanto per il Paese in cui la storia è ambientata, quanto proprio per il modo in cui l’animazione uniforma tutti i personaggi mettendoli sullo stesso piano, rendendo perciò più credibili una storia con cani e ragazzini come eroi.
Altro giro, altro tema ricorrente del cinema di Anderson: la natura dei personaggi, spesso incastrati dei loro modi educati e dalla loro posizione sociale, all’interno di un guscio che gli impedisce di esprimere i sentimenti che gli bruciano dentro, qui succede lo stesso ad Atari e a Chief, il secondo, in particolare, è talmente abituato al suo ruolo di reietto cane randagio che non segue le regole, da essere refrattario all’istinto di giocare a riporta-il-bastone con Atari a sua detta, accontentato per pura pietà verso l’inutile umano. Il suo «Io mordo» pronunciato più e più volte nel corso del film dal cagnone, mi ha ricordato molto il «I’m a wild animal» pronunciato dal Mr. Fox dell’antro film in animazione, una dichiarazione sulla vera natura dei personaggi dietro alla maschera che la società si aspetta loro indossino.
In generale, “L’isola dei cani” mi è piaciuto, come detto, ha un calo di ritmo verso metà, forse non è il film più riuscito di Anderson, ma nei temi risulta estremamente coerente e comunque più appassionante di “Grand Budapest Hotel”, anche perché Anderson ha sempre quel modo di usare l’umorismo che mi piace molto, apparentemente freddo e distaccato, ma anche quasi fuori tempo, sarà che scherzare quando non sembra il caso di farlo è una roba che faccio fin (troppo) spesso, ma vedere le piccole pennellate comiche qua e là, mi ha divertito molto.
Poi le storie con i cani protagonisti hanno sempre una certa efficacia, forse riflettendoci nei nostri amici a quattro zampe, riusciamo a vedere meglio i nostri tick di strani cani senza coda. La tradizione dei cani cinematografici è lunga e gloriosa, ora possiamo aggiungere anche l’interpretazione di Wes Anderson a questo topos narrativo, oppure dovrei dire canos? Esiste Canos in latino? Ma che ne so io! Mica sono uno di quegli Hipster che bevono la cedrata Tassoni, eh?!
Sepolto in precedenza martedì 12 giugno 2018
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