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Lo chiamavano Jeeg Robot (2016): corri ragazzo laggiù (vola tra lampi di blu)

Italiani! Popolo di santi, poeti… E lettori di fumetti! Ed io da buon Italiano, puntualmente in ritardo come un treno delle ferrovie dello stato, sono riuscito a vedere finalmente il film trionfatore degli ultimi David di Donatello (che mi dicono essere un premio importante…) “Lo chiamavano Jeeg Robot”. E quindi? Quindi mi è piaciuto, ma quello un po’ già lo sapevo, era troppo nelle mie corde per non piacermi, mi ha stupito scoprire che mi è piaciuto, ma non per i motivi per cui mi sarei aspettato.

Essere Italiani è una roba strana, succede che vivi nel Paese con la forma (di scarpa) più buffa del pianeta, qui a Scarpalandia abbiamo una forma di patriottismo tutta nostra, spesso legata all’impettimento e ai risultati della NAZIONALE, l’unica considerata, quella dell’unico sport davvero importante, le altre sono riconoscibili perché etichettate come “Gli azzurri de [AGGIUNGERE-QUI-SPORT-MINORE-INUTILE]”.

Lo sapete come funziona, no? Si sale sul carro del vincitore in un tripudio di plurale maiestatico e di cori PO-Poroppo-Po-Po, eppure allo stesso tempo ci vergogniamo dell’essere Italiani, guardate i nostri fumetti, ad esempio.

«…E mo basta con ‘sto poroppo-po!!»

Dylan Dog vive e indaga a Londra, Diabolik da qualche parte in Francia, persino il Ratto di Leo Ortolani, in una generica Città senza nome, del tutto americana nella forma (e nei palazzi), persino il nostro uomo di punta, Tex Willer, l’unico che da 70anni relega Batman al secondo posto dei fumetti più venduti in Italia (storia vera), è un Ranger del Texas, i personaggi di carta italiani anche nelle trame, sono davvero una manciata, quasi tutti poco noti al grande pubblico.

Allo stesso tempo, siamo anche stati uno dei primi Paesi ad assimilare nella propria cultura popolare i personaggi che arrivano dal lontanissimo Giappone. La mia generazione, la vostra e di sicuro quella di Gabriele Mainetti è cresciuta con Lupin III, l’Uomo tigre, le opere di Go Nagai e naturalmente Jeeg Robot.

Per questo, un super eroe italiano che parla con accento romano e porta il nome di un celebre Anime, è qualcosa di incredibilmente nostro, un personaggio che sottolinea come il cinema italiano stia iniziando a dare segni di vita.

«Ho dato una spinta alla ruota, finché non compro una vocale non si ferma»

Ora, prendo me stesso come metro di paragone: negli ultimi anni due anni ho visto quattro o cinque film italiani che in qualche caso mi sono piaciuti (Suburra e Il racconto dei racconti), in qualche caso piaciucchiati (Non essere cattivo e un altro che arriverà appena smaltisco il mio ritardo da treno FS). Che, bisogna dire, sono già quattro o cinque film italiani in più di quelli che ho visto negli ultimi quattro o cinque anni, per una semplice ragione: finalmente ci sono delle storie che ho voglia di vedere.

E’ chiaro che in giro ci siano autori e registi più orientati forse al film di genere, con la precisa volontà di portare le storie dei nostri film, lontano dai soliti schemi commedia-con-comico-televisivo-di-turno, oppure drammone famigliare, con madre/figlia/sorella/cugina/zia/nonna in crisi, di solito interpretata (BENISSIMO Eh, non dico nulla…) da Margherita Buy, che va bene una volta, due tre, alle centoventesima rompe un po’ anche i coglioni, la storia non la Buy, ma anche la Buy via, tanto sto sbragando!

Voglio un’alabarda giapponese, fatta di mercurio giapponese (Cit.)

Gabriele Mainetti, dopo il bellissimo corto “Basette” in omaggio a Lupin III e l’altro corto “Tiger Boy” è uno che ha il suo Nord magnetico puntato verso il Paese del sollevante, o forse ha semplicemente capito meglio di altri, che quei personaggi degli anime, ormai fanno parte delle nostra cultura popolare, quindi non c’è nulla di male a partire da quella base per raccontare storie ambientate in questo strambo Paese a forma di Manga… Ehm, di scarpa, scusate!

In una Roma sotto costanti attacchi terroristici Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) è un ladruncolo di Tor Bella Monaca, che in fuga dalle guardie, cade nel Tevere e, complici un paio di bidoni di scorie radioattive, diventa invulnerabile e super forte… In pratica, possiamo dire che è stato morso da un Tevere Radioattivo.

«Non poteva capitarmi il morso di ragno no? Proprio questo»

Cosa fa un Italiano con i super poteri? Facile: sradica un bancomat e se lo porta a casa (storia vera). Non va meglio quando Enzo cerca un po’ di soldi facili facendo un lavoro per il suo amico Sergio alle prese con alcuni ovuli di droga, le cose finiscono male, Sergio ci lascia le penne, lasciando sola al mondo Alessia (Ilenia Pastorelli), una ragazza con qualche problema psichico e un’ossessione per l’anime “Jeeg Robot”.

«Dannazione! Ho dimenticato il codice PIN»

La ragazza, che è parecchio oltre il giardino, battezza Enzo Hiroshi Shiba (il primo che chiede chi è, verrà sputato!) e il nostro, a fatica, dovrà convincersi presto di essere l’eroe, specialmente quando entrerà in scena il cattivo, Fabio Cannizzaro, detto Zingaro (Luca Marinelli) seguono casini.

“Lo chiamavano Jeeg Robot” funziona grazie a dei personaggi azzeccati, interpretati dagli attori giusti e diretti bene da Gabriele Mainetti, il fatto che abbiano ricevuto le indicazioni giuste, si vede dal personaggio di Alessia, mi sono detto: Ma che altri film ha fatto quest’attr…. Il grande Fratello!?!?

«Embè? Non lo guardi il GF? Guardi solo cartoni animati giapponesi?»

Ora, trovo inquietante il fatto che “Il Grande Fratello” abbia sfornato più attori per il nostro cinema che le scuole di recitazione, ma al netto del risultato, Ilenia Pastorelli è molto giusta per il ruolo, così come Claudio Santamaria, trucido candido vitaminizzato a budini, il fatto che sia anche lo stesso che abbia recitato in “Romanzo criminale”, ma che abbia anche doppiato Batman (sia quello di Chris Bale che il mio preferito, quello di “The Lego Movie”) fa di lui l’uomo giusto per la parte.

Le dinamiche tra i due restano un po’ legate al melodramma del nostro cinema, ma anche qui, funzionano, perché tengono i personaggi ancorati alle loro origini, imparando uno dall’altra e aiutandosi un po’ per esigenza un po’ perché in qualche strano modo si sono trovati. Per descrivere il loro rapporto scomoderei le immortali parole di un altro personaggio “de borgata”, ovvero Rocky: “Io ho i vuoti, lei ha i vuoti… Insieme li riempiamo”.

Non mi sono giocato la citazione a “Rocky” invano.

Ci sono molte persone che hanno problemi con la Romanità e i suoi derivati, personalmente non sono tra queste, un film in dialetto romanesco funziona perché molto adatto ai personaggi e alla condizione di degrado in cui vivono e, poi, diciamocelo: dove lo trovate un film dove il classico sfottò (“Chi è?” , “Sto cazzo!”) possa funzionare diventando una delle punch-line più toste del cattivo… Ecco, il cattivo, parliamone di ‘sto cattivone!

Lo Zingaro sembra uscito da “Romanzo Criminale”, tutto quello che vuole è smetterla di prendere calci sui denti da tutti, ho sentito per il personaggio paragoni con il Joker, sono d’accordo, ma non quello anarchico per il gusto di esserlo di Heath Ledger, con cui condivide giusto il capello unto, direi più lo Showman di Jack Nicholson. Lo Zingaro è una Diva che fa il suo spettacolo cantando “Un’emozione da poco” della Oxa, ha la cattiveria del peggior tipo, quella dei mediocri, è pronto a fare una strage memore dei suoi 15 minuti di notorietà (una comparsata in “Buona Domenica”… Storia vera).


«Mi avrai visto in tv almeno una volta? Una dica, una!»

L’andare sopra le righe di Luca Marinelli è del tutto funzionale al personaggio, risultato è che lo Zingaro si mangia tutte le scene di cui è protagonista e il suo piano di scalata sociale e criminale, resta comunque più sensato di quello di molti altri super cattivi visti negli ultimi Marvel Film, poi, diciamocelo: Marinelli con questo tipo di personaggi sopra le righe dà il meglio, in “Non essere cattivo” era molto bravo, così come nella parte del travestito de “L’ultimo terreste”.

Gabriele Mainetti capisce che il romanesco e le canzoni italiane dello Zingaro, non solo fanno parte della nostra cultura (anche popolare), ma sono fondamentali per rendere credibili questi personaggi. Quello che mi sarebbe piaciuto di più vedere in questo film sarebbe stata l’idea di un super eroe italiano, idea che si perde pian piano (dal Bancomat in poi per capirci) in funzione di un arco narrativo molto più convenzionale, diciamo pure quello del classico eroe americano, con tanto di bambina da salvare. Ecco, qui speravo che “Lo chiamavano Jeeg Robot” rischiasse un po’ di più, ma allo stesso tempo ho capito che ho apprezzato il film, non per i suoi contenuti fumettistici, ma perché mi ha ricordato moltissimo “Lèon” di Luc Besson e questo è un complimento.

«Non t’azzardare a darmi più del Francese!»
Enzo silenzioso e senza radici, Alessia sensuale e infantile, ricordano parecchio Lèon e Matilda, mentre Luca Marinelli che ammazza gente mentre ascolta “Ti stringerò” di Nada, ovviamente è Gary Oldman… Questo, invece, è un GRAN complimento!

MVP! MVP! MVP! MVP!

Tutto pesche e crema? Purtroppo no. Nel finale Gabriele Mainetti si lascia tentare e anche se il piano dello Zingaro è quanto di più nazional-popolare possibile, gli mancano l’esperienza, ma soprattutto i soldi dei film americani: la sottotrama dinamitarda viene conclusa nel giro di mezzo dialogo, mentre i soldi del budget bastano per una scazzottata (breve) tra il buono e il cattivo, ma non per il finalone che Mainetti avrebbe voluto. Risultato: il film arriva alla fine con il fiato un po’ corto, il che è un peccato…

Sono sicuro che Mainetti abbia visto Unbreakable (ancora oggi il mio M. Night Shyamalan preferito), sarebbe stato meglio (anche per il budget) un finale di quel tipo, piuttosto che quello scelto, per fortuna l’ultima scena prima dei titoli di coda, funziona talmente bene che gli si perdonano subito capocce prostetiche e esplosione che sembrano più petardi che finali alla Michael Bay.

Ne voglio una uguale anche io (la maschera, non il piccione).
Risultato: “Lo chiamavano Jeeg Robot” mi è piaciuto, l’errore più grosso ora sarebbe adagiarsi dandoci dentro con il plurale maiestatico e i cori PO-Poroppo-Po-Po, ma davanti ad un film così, io non vedo più la realtà, nè quanta tenerezza vi dà, la mia incoerenza (pensare che vivreste benissimo anche senza…), perché allo stesso tempo questo film è la più decisa e concreta presa di posizione per riportare il cinema italiano nella direzione giusta, magari orgogliosamente di genere e senza paura di apparire troppo provinciali, se c’è uno che può farlo quello è Gabriele Mainetti, la dedica musicale arriva in automatico…
Corri ragazzo laggiù, vola tra lampi di blu
Corri in aiuto di tutta la gente, dell’umanità!
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