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Lost (2004-2010): naufragar (Non) m’è dolce in questo mare

«I LOST six years of my life.»

Non so chi sia il profeta che ha formulato questa frase che ha iniziato a girare in rete poco dopo la fine della famosa, per non dire famigerata serie tv, ma direi che al profeta non manca il dono della sintesi.

 Quando Zio Portillo mi ha chiesto se volevamo scrivere qualcosa su LOST ho accettato, perché finisco sempre per citarla e malgrado gli ENORMI difetti è una serie importante che ha generato iconografia il cui lascito è chiaro ancora oggi, quindi per celebrarla, eccovi il resto del Blogtour!

“Il Zinefilo” ospita Zio Portillo contro Lost!
“Gli Archivi di Uruk” presenta un esperimento letterario (fallito) di ampliamento dell’universo Lost
Ecco, poi ci sarebbe la questione che dopo aver accettato, dovrei anche scrivere qualcosa! Ve lo dico subito: mi evito candidamente il mal di testa di dovermi riguardare anche un singolo episodio di questa serie, per fortuna o purtroppo, ai tempi ero un fan accanito di “Lost”, quindi nella mia testo ho ancora vividi i ricordi e i traumi di una serie seguita in concomitanza con la sua uscita, soffrendo di settimana in settimana in attesa della nuova puntate e ancora peggio, degli interminabili mesi di attesa tra un cliffhanger di fine stagione e l’altro.

Oggi questi qui, potrebbero fare giusto “L’isola dei famosi”, ma ai tempi erano qualcuno.

“Lost” è stata la prima serie che ho iniziato a seguire in lingua originale, pur di assecondare il bisogno fisiologico di risposte (storia vera), una buona abitudine che mi accompagna ancora oggi, quando mi riferisco al lascito di “Lost”, penso anche a dettagli personali come questo. Certo, poi ci sarebbe tutto il resto, ad otto anni dalla messa in onda dell’ultimo episodio, sono ancora convinto che “Lost” sia stata la più grande truffa (dis)organizzata della storia del piccolo schermo, ma andiamo per gradi.

Se uscisse oggi, nell’era di Netflix e del consumo compulsivo di serie tv, forse sarebbe tutto diverso, mi rendo anche conto che quelli che hanno seguito questa serie dopo il 2010, sparandosi le sei stagioni a breve distanza, hanno sicuramente una percezione differente da chi come me, ha passato il tempo teorizzando risposte, confrontandosi con la chiunque su cosa fosse il fumo nero, su chi era Jacob e su tutte le altre 130, 150 domande rimaste poi drammaticamente irrisolte, se ancora oggi mi sale il sangue alle testa quando sento i nomi di GIEI GIEI Abrams e di Damon “Ciccolatino” Lindelof un motivo ci sarà, no?

Il luogo di lavoro ideale per questi qua, così le cazzate che scrivono volano subito via.

Innegabile, però, che “Lost” abbia dei meriti anche grossi, per quanto mi riguarda quando si parla di prime stagioni di una serie, ancora oggi, quella di esordio di “Lost” è tra le migliori di sempre, se inizi a guardarla vorrai per forza andare avanti, perché i misteri intriganti non mancano e la qualità si vede subito, fin dal pilot. Ora, non so come la pensiate voi, ma io credo che nelle vita l’importante sia non come inizi, ma come finisci… Ecco, “Lost” inizia non bene, ma benissimo, del finale non posso dire lo stesso. Ah, lo dico per correttezza: da qui in poi SPOILER!

Il soggetto della serie fu un’idea di Jeffrey Lieber, subito presa al lazo da GIEI GIEI Abrams e Damon Lindelof, uno spunto semplice, ma affascinante, il 22 settembre 2004 l’aereo di linea 815 della compagnia australiana Oceanic Airlines, in volo da Sydney con destinazione Los Angeles si spatascia su un’isola apparentemente disabitata fuori dalle mappe. Sopravvivono allo schianto in 48, ognuno con una storia personale articolata, quasi nessuno di loro è finito su quell’isola per caso, come scopriremo (in parte) durante le sei stagioni, i sopravvissuti hanno legami uno con l’altro, ma anche con il destino dell’isola.

“Così imparo a fidarmi delle compagnie low cost”.

Il pilot è micidiale, diretto di pugno dallo stesso Abrams inizia con un dettaglio sull’occhio del neurologo Jack Shephard (Matthew Fox uno dei tanti lanciato da questa serie che poi si è un po’ perso) per buttarci tutti nel mezzo del disastro, una scena tesissima di sicuro impatto, la cui efficace resa visiva è merito anche di una scelta precisa di Abrams, ovvero quella di abolire il colore rosso dal set e dai costumi di scena, in modo che il sangue mostrato risultasse ancora più spaventoso, bella idea, vero? Bella forza! E’ la stessa che aveva già avuto Spielberg sul set del film Lo Squalo figurati se GIEI GIEI si fa venire un’idea brillante senza scipparla a qualcuno!

«Presto sotterri questa donna! Se la vede Abrams ci licenzia tutti!»

Il pilot costato la bellezza di 12 milioni di ex presidenti defunti stampati su carta verde (storia vera) ci presenta tutti i personaggi: il miliardario cicciotto e nerd Hugo (Jorge Garcia), la partoriente Claire (Emilie de Ravin) e la coppietta di Coreani che non parlano (non parlano?) una parola di Inglese, ovvero Jin-Soo (Daniel Dae Kim) e Sun (Yunjin Kim).

Nel gruppo spicca qualche personaggio più caratteristico degli altri, tipo il mitico John Locke, lo dico? Il mio personaggio preferito della serie, forse davvero l’unica ragione per cui non ho abbandonato “Lost”, per altro, Terry O’Quinn, nel ruolo della vita, è stato l’unico attore del cast a NON fare il provino per la parte, Abrams aveva già lavorato con lui in serie come “Alias” e gli ha detto: «Ho un ruolo per te, ti piacerà» (storia vera).

Perché Locke aveva un arancio in bocca? Perché!? Me lo chiedo da anni! Perchè!?!

Menzione speciale per Sayid (Naveen Andrews) il torturatore della guardia repubblicana di Saddam Hussein che, in un’epoca post 11 Settembre ed in una serie che inizia con un disastro aereo, riesce ad essere a lungo uno dei pochi personaggi mediorientali non banali in un programma americano, non un’impresa scontata.

Le signore di mezzo mondo hanno notato sicuramente Josh Holloway, un altro che sembrava destinato a spaccare il mondo dopo “Lost”, invece, boh, sparito nel niente, qui interpreta il truffatore con “Southern accents” (per dirla alla Tom Petty) noto inizialmente come Sawyer e poi come James Ford. Holloway durante il provino ha dimenticato la battuta e nella rabbia del momento prese a calci una sedia prima di continuare il suo monologo, motivo per cui Sawyer è stato modellato sul “Bello figheiro” della serie (storia vera).

La sigarette in Lost sono come le risposte: Sempre meno di puntata in puntata.

A proposito di belle presenze, la misteriosa fuggitiva Kate è fatta a forma di Evangeline Lilly che potreste ricordare per Ant-Man o mentre amoreggiava con un nano. A lungo Evangeline Lilly è stata la più grande attrice del mondo per le scene sotto la doccia, ma tenetemi l’icona aperta su questo punto che ripasso, nella vita reale la Lilly ha avuto una storia con un altro membro del cast, Dominic Monaghan che qui interpreta il rocker eroinomane Charlie che quando non è alla ricerca di una dose, vi ammorberà i maroni con la sua tediosa “You all everybody” cantata in pessimo falsetto, l’unica hit del suo gruppo, gli immaginari Drive Shaft. Siccome ai tempi Monaghan arrivava dal successo de “Il signore degli anelli”, tutti hanno fatto finta di non vedere che il suo personaggio è un ridicolo clichè.

«Smetto di guardare Lost quando voglio, smetto quando voglio, quando voglio…»

Come mai su un’isola tropicale che sembra uscita da “La tempesta” di William Shakespeare ci sono feroci orsi polari, un fumo nero che insegue la gente facendo rumori meccanici e una misteriosa botola? L’idea originale di Abrams e Lindelof prevedeva una serie breve, con personaggi alle prese con un’isola che evoca gli incubi, una roba pensata per finire, non si sa come, ma in tempi stretti, peccato che “Lost” al netto di un ottimo esordio, riesce a conquistare il pubblico, diventando la serie di punta della AMC, quindi viene confermata per una seconda stagione che ha ancora più successo, bisogna andare avanti, ma più si va avanti e meno il finale diventa chiaro.

La seconda stagione espande ancora di più l’iconografia della serie, i flashback sul passato dei personaggi sembrano offrire risposte, ma le domande aumentano, lo scontro tra Jack Shephard (l’uomo di scienza) e John Locke (l’uomo di fede) divide il gruppo e perché non inserire anche gli altri sopravvissuti al disastro? Ah, sì perché c’erano anche i passeggeri seduti nella coda dell’aereo non ve lo abbiamo detto? Quindi nel cast arrivano la Ana-Lucia di Michelle Rodriguez e poco dopo un altro personaggio fondamentale come Mr. Eko interpretato da Adewale Akinnuoye-Agbaje (salute!) l’Adebisi di Oz.
Ci sono ancora parecchie scene in cui Kate fa la doccia, Evangeline Lilly è una stella nascente con un radioso futuro davanti a sé.

«… Ti ho mai detto che ho un diploma come insaponatore di schiene?»

Entrambi spariranno presto, curioso che gli attori che venivano arrestati per guida in stato d’ebrezza nella vita reale, si ritrovassero improvvisamente disoccupati causa morte del loro personaggio nella serie (storia vera), un delirio che diventa presto un valzer di nuovi arrivati, l’apice del ridicolo? Nikki e Paulo, dovevano essere i portatori della verità suprema e spariscono entrambi del giro di mezzo episodio morendo in un modo ridicolo. Malgrado tutto, Rodrigo Santoro che interpretava Paulo è riuscito lo stesso a diventare abbastanza famoso, questi sono i veri misteri di Lost!

Nella seconda stagione tiene banco il mistero del “Push the button, don’t push the button”, il famigerato pulsante dentro la stazione del Cigno, da premere ogni 108 minuti per evitare che succeda (o non succeda) qualcosa di non ben identificato. Tutti misteri che vengono alimentati nell’era di Internet, la cui popolarità e diffusione cresce in parallelo al successo della serie, ora film e serie tv convivono con i commenti dei proprio fan in rete, è la normalità, ma nei primi anni 2000 tutto questo è iniziato con “Lost”, quindi, nel bene o nel male, segnate anche questo tra i meriti di questa serie.

Ma che ne so! In matematica ero pure una schiappa!

Inoltre, Kate ormai ha una scena sotto la doccia ogni tre puntate, ad Hollywood prendono in considerazione l’idea di togliere la stella di Meryl Streep dal Walk of fame e sostituirla con quella di Evangeline Lilly, rigorosamente sotto la doccia.

«And the Oscar goes to…» (MVP! MVP! MVP!)

I famigerati numeri di “Lost”, quelli che chiunque abbia visto la serie ha imparato ad odiare a memoria: 4, 8, 15, 16, 23 e 42, quelli con cui Hugo vince alla lotteria e che sommati fanno appunto 108 come i minuti tra una “Pulsantata” e l’altra, fanno parte dell’equazione di Valenzetti? Per capirli bisogna essere laureati con il massimo dei voti al MIT? Hanno davvero un senso. Non lo so, ma vi assicuro che se oggi Internet vi sembra una bolgia, ai tempi era una giungla di teorie, alimentate dagli autori che non facevano altro che introdurre nuovi personaggi, tutti con nomi presi in prestito dalla scienza e dalla letteratura, quindi arrivano i vari: David Hume, Michail Bakunin, Michael Faraday, C.S. Lewis senza contare il mio preferito, ovvero John Locke, che ricorda tanto l’omonimo filosofo britannico.

La terza stagione di “Lost” è ancora una delle più avvincenti, arrivano i famigerati “The others”, gli altri guidati dal carismatico Benjamin Linus (Michael Emerson), gli abitanti dell’isola che vivono in capanne fornite dalla famigerata DHARMA initiative, la multinazionale che ha costruito le varie stazioni segrete sparse lungo l’isola. Il finale della terza stagione resta uno dei più grandi cliffhanger mai visti sul piccolo schermo, la nave in arrivo potrebbe essere quella che porterà in salvo i sopravvissuti, Charlie ha tra le mani la verità, la mitica “Not Penny’s boat” scritta sul palmo con i pennarelli ci ha lasciato tutti per mesi a dire: «Ma allora chi sono quelli sulla barca?»

Penny lane is in my ears and in my eyes (così, senza motivo).

Altro Guacamole? Iniziano i “Flashforward” salti in AVANTI della storia, il più celebre dei quali mostra un distrutto Jack che non trova più un senso alla sua vita dopo aver abbandonato l’isola che fino a poco tempo prima voleva lasciare a tutti i costi, tra i tormentoni creati da “Lost” mettete pure dentro Matthew Fox che urla…

A volte una gif dice più di mille parole.

Intanto GIEI GIEI Abrams è diventato un nome, Tommaso Missile lo ha voluto per dirigere “Mission: Impossible III” (2006) di lì a poco avrebbe messo le sua zampacce sul rilancio di “Star Trek” e scopiazzato male Steven Spielberg dirigendo “Super 8” (2011), quindi guarda il suo compare e gli sgomma in faccia: “Direzione Hollywood!”.

Improvvisamente vengono cancellate dallo storyboard alcune scene di Kate sotto la doccia, Evangeline Lilly, però, è ancora tranquilla.

Vogliamo ricordarla così. con quella sua strana voglia di far sempre la doccia.

A questo punto mettetevi nei panni di Damon Lindelof, ancora intossicato dal tubo di scarico di GIEI GIEI, da una parte Internet in fermento che vuole risposte, dall’altra AMC che lo sommerge di soldi, quando lui sa benissimo di essere nella caccona fino al collo, perché quando si tratta di concludere il buon “Cioccolatino” Lindelof ha il talento di centrare il bersaglio di un lanciatore di freccette miope, quindi fa l’unica cosa sensata in un momento del genere, almeno secondo il SUO giudizio: mente, mente spudoratamente, nega l’evidenza giurando e spergiurando il falso anche spalle al muro.

Ancora me le ricordo le interviste in cui tranquillizzava tutti: “Oh, ragà tutto rego! Abbiamo un finale dove spiegheremo TUTTO, tutte le vostre domande troveranno una risposta e no, i protagonisti non sono morti e l’isola non è l’inferno, tranquilli!”.

La posa di chi si atteggia facendo il figo. Lo sguardo sperso di chi pensa “Uccidetemi!”.

Da qui in poi “Lost” diventa un generatore di cazzate mai finito, la sensazione è di guardare una serie in cui le soluzioni vengono scelte pescando bigliettini con suggerimenti da un cappello, tipo: perché non spostare l’Isola con un grosso marchingegno tipo “Ruota della fortuna”? Facciamolo! Viaggi nel tempo li vogliamo mettere? Ideona! Buttala dentro! Non serve nemmeno far venire giù un fenomeno della scrittura come Brian K. Vaughan a metterci una pezza perché ormai la serie è compromessa, le domande si accumulano così come le sottotrame, ad esempio, io ancora non ho capito perché le donne sull’Isola non potevano partorire causa morte, o cosa cercasse davvero la Rousseau bah!

Inoltre, al personaggio di Kate non viene più chiesto di fare scene sotto la doccia, tutti si rendono conto che non ha avuto uno straccio di arco narrativo che sia uno, è ancora identico a quello dell’episodio 1×01, solo molto più docciato. La carriera di Evangeline Lilly va a picco come il Titanic.

Passata dalla doccia al bagno. Vai Evangeline vai, il nostro cuore è con te!

Dove ho capito che “Lost” si era persa su se stessa è quando nella quinta stagione, dopo cinque anni a girare in lungo e in largo l’isola, improvvisamente i protagonisti trovano un faro, una gigantesca torre che svetta e che guarda caso, nessuno aveva MAI notato prima, alla domanda precisa «Come mai non l’abbiamo mai vista?» la risposta fornita ai personaggi idealmente dagli sceneggiatori è chiara: «Perché non l’avete mai cercata». Perché la tessera del sindacato sceneggiatori di Damon Lindelof non sia stata stracciata immediatamente dopo questa trovata è da annoverare tra i grandi misteri non della serie, ma proprio dell’umanità.

Tutto il dualismo tra bianco e nero che trova il suo apice nello scontro tra il “Man in black” e Jacob si risolve con un nulla di fatto da far sanguinare gli occhi, la scena me la ricordo bene, consiste in Jacob (Mark Pellegrino) che indicando una caverna dice una cosa del tipo: «Là dentro ci sono tutte le risposte, ma non ci entreremo», il momento esatto in cui ho deciso che un giorno, sopra il caminetto metterò la testa impagliata di Damon “Cioccolatino” Lindelof.

«Pillola bianca, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua e avrai dimenticato tutte le puntate di Lost»

Il finale dal 2010 spiazza il pubblico, i protagonisti, vivi e morti durante la serie non importa, si ritrovano tutti in una chiesa in cui compaiono i simboli di tutte le religioni, luce bianca, baci e abbracci, alla fine erano davvero tutti morti, però l’isola non era l’inferno, ma una specie di purgatorio fuori dal tempo, in cui passato, presente, futuro e realtà stessa non hanno più senso (come le trame di questa serie), qualcuno ancora sostiene che sia una geniale mossa meta televisiva in cui tutto il cast abbandona i propri personaggi, ma se volete sapere la mia è la più clamorosa mossa paracula della storia del piccolo schermo.

Non so perché, ogni volta mi fa pensare ai Simpson questo finale.

Insomma, “Lost” ha cambiato il modo di vivere le serie tv, è uno di quei titoli responsabili della “Golden Age” della serie tv che stiamo vivendo ora, il suo peso specifico è incredibile e malgrado la sensazione di presa in giro generale, “Lost” mi ha regalato un sacco di momenti mitici, il mio preferito? John Locke nella buca, di nuovo senza l’uso della gambe, che sta per farsi prendere dalla disperazione quando Jacob gli dice: «Alzati John, hai ancora un compito da svolgere», il sorriso di Terry O’Quinn fa il resto.

Non c’è stata una serie in grado di creare attenzione come ha fatto “Lost” con cliffhanger da cardiopalma, ma allo stesso tempo nemmeno una che ha girato così tanto a vuoto, però è chiaro che il lascito di “Lost” è enorme, questa capacità di creare attesa senza dare mai risposte, di mettere su uno spettacolo che sembra una bellissima scatola vuota è andata di pari passo con il successo dei suoi autori. Le trovate idiote di Prometheus sono imparentate con le idiozie sfornate da Damon Lindelof in questa serie e se per caso gli ultimi Star Wars vi sono sembrati una clamorosa fregatura è solo perché GIEI GIEI ad Hollywood ci è arrivato davvero. Quindi i veri naufraghi, non sono gli Oceanic six, siamo noi!
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