Per alzata di mano, quanti di voi stavano aspettando la
seconda stagione di Love, Death & Robots? Ok abbassate le mani, ho capito
abbassate le mani! Tanti, quasi tutti. La serie prodotta da David Fincher e Tim Miller realizzata con “Heavy
Metal” (1981) nel cuore, una serie antologica d’animazione che ha fatto colpo
sul pubblico, era chiaro che la seconda stagione, fosse molto attesa.
La prima notizia è che dai diciotto episodi della prima
stagione (o “volume” seguendo la definizione data da Netflix), siamo scesi ad
otto nuove puntate, tutte abbastanza buone, nessuna davvero memorabile anche se
un paio che mi sono piaciute parecchio ci sono state. La sensazione è quella di
un Black Mirror al contrario, in quel
caso con il passaggio sotto l’ala protettiva di Netflix, erano aumentati gli
episodi, qui invece sono diminuiti ma con loro anche la qualità generale. Vediamoli
al volo tutti quanti!
clienti automatico
Titolo originale: Automated Customer Service
Regia:
Meat Dept (Kevin Dan Ver Meiren, David Nicolas, Laurent Nicolas)
Scritto da: John Scalzi, Meat Dept
Tratto dall’omonimo racconto di John Scalzi
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Urca, la nonna di Van damme! |
piena di anziani disegnati con un capoccione stile “Teste di gomma” (per chi le ricorda), vivono circondati da droni che possono portare fuori il cane a fare la
pupù oppure pulirti casa da cima a fondo, sempre che non decidano improvvisamente
di ucciderti, in una critica luddista all’eccesso di tecnologia nelle nostre
case – e alle voci automatiche dei call center – urlata ma spassosa. Purtroppo
con I Mitchell contro le macchine
ancora negli occhi, il paragone resta implacabile.
Titolo originale: Ice
Regia: Robert Valley
Scritto da: Philip Gelatt
Tratto dall’omonimo racconto di Rich Larson
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Complimenti per la falcata, davvero notevole. |
colonia extra mondo in stile Alaska, l’adolescenza non può che fare schifo, cioè fare ancora
più schifo. Tutti i coetanei e il fratello minore del protagonista, sono stati
potenziati diventando di fatto dei super umani che non sentono nemmeno il
freddo. Vedere le balene del ghiaccio è l’occasione per mettersi alla prova
cementando rapporti, il risultato è storiella di amore fraterno in stile “Volemose bene” se
non altro animata in uno stile 2D potenziato come alcuni dei personaggi. Il risultato intrattiene ma lascia freddini, ma forse mi sono fatto influenzare dal titolo.
Regia: Jennifer Yuh Nelson
Scritto da: Philip Gelatt
Tratto dall’omonimo racconto di Paolo Bacigalupi
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“Sushi. Così mi chiamava la mia ex-moglie. Pesc… no scusate, questa l’hanno già detta” |
“lavori in pelle” ma di bambini. Perché in una società dove tutti sono
immortali, non può esserci spazio per tutti, tanto meno per i nuovi arrivati.
Forse uno degli episodi più interessanti di questa seconda stagione, purtroppo
si passa il tempo a riconoscere gli elementi identici al celebre film dello
Scott sbagliato, quindi la sua natura estremamente derivativa gli tarpa un po’
le ali sul nascere.
Titolo originale: Snow in the Desert
Regia: Leon Berelle, Dominique Boidin, Remi Kozyra,
Maxime Luere
Scritto da: Philip Gelatt
Tratto dall’omonimo racconto di Neal Asher
Un cacciatore di taglie albino di nome Snow è l’uomo più
ricercato nel deserto in cui vive e il gioco di parole (non adattato nella
versione Italiana) viene fuori da solo. Le ehm, gonadi di Snow contendono il
segreto per la vita eterna e l’uomo dovrà combattere per tenerselo, anche se
troverà presto un’avvenente allenata sulla sua strada.
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Che bello vedere qualcuno con la mascherina indossata giusta, sarà per questo che è una serie di fantascienza? |
Animazione 3D di buon livello, guardando la bella
protagonista a tratti sembra di stare guardando un’attrice in carne ed ossa, se
non fosse per qualche movimento del corpo poco realistico. Questo episodio riesce quasi a
raggirare l’effetto che un volto animato non perfettamente realistico, può scatenare nello spettatore, inoltre la dinamica delle sparatorie non è affatto male, con
sangue senza tirar via la mano.
Quello che invece scompare è il sesso, abbondante nella
prima stagione della serie, quasi totalmente bandito qui, come se la falce
moralizzatrice sia passata, portandosi via una delle caratteristiche che aveva
messo “Love, Death & Robots” sulla mappa geografica. Inutile girarci
attorno, la prima serie era piaciuta tanto anche per questa ragione, non fate i santarellini con me.
Titolo originale: The Tall Grass
Regia: Simon Otto
Scritto da: Philip Gelatt
Tratto dall’omonimo racconto di Joe R. Lansdale
Il tocco di Champion Joe si vede subito, siamo su un treno che corre in un campo di erba alta nel mezzo della prateria
del West, il protagonista sembra la versione animata di H.P. Lovecraft e il
racconto per stessa ammissione di Lansdale, proprio al solitario di Providence
si ispira, esattamente come aveva già fatto Stephen King in un racconto
(scritto con il figlio) dal titolo molto simile.
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Qui signora mia una volta era |
Segmento che vola via velocissimo, lasciandoci con la
voglia di vedere altri dieci racconti con “Le avventure del giovane H.P.
Lovecraft”, anche se temo che non le vedremo mai.
Titolo
originale: All Through the House
Regia: Elliot Dear
Scritto da: Philip Gelatt
Tratto dall’omonimo racconto di Joachim Heijndermans
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Dicono che Natale dovrebbe essere un giorno felice, dicono. |
mi è piaciuto di più perché parte da una premessa semplice: perché porre limiti
alla fantasia? Sappiamo tutti che Babbo Natale è immaginario (non vi ho rovinato la festa vero?) eppure quando
pensiamo a lui lo facciamo con i canoni estetici imposti da una fabbrica di
bibite gassate di Atlanta. Se Babbo Natale facesse le stesse cose, bere il
latte lasciato dai bimbi alla vigilia, portar loro i doni giudicandoli in
base al loro comportamento, ma non avesse pancione e barba bianca? A mani
(attorno alla bocca) basse, l’episodio che ho apprezzato più della stagione.
Titolo originale: Life Hutch
Regia: Alex Beaty
Scritto da: Philip Gelatt
Tratto dall’omonimo racconto di Harlan Ellison
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Dopo Creed, ora voglio anche Rocky in digit… no, l’hanno già fatto. |
in cerca di soccorso raggiunge la cabina di sopravvivenza, ma dovrà vedersela
con il malfunzionamento dell’unità robotica adibita alle cure mediche. Altro
episodio piuttosto riuscito che fa il suo dovere grazie allo scontro tra uomo e macchina, ma temo verrà dimenticato presto.
Titolo originale: The Drowned Giant
Regia: Tim Miller
Scritto da: Tim Miller
Tratto dall’omonimo racconto di J.G. Ballard
Tim Miller dirige di suo pugno l’ultimo episodio, una
sorta di storia di Gulliver, condita in salsa di J.G. Ballard. Dove un gigante
morto su una spiaggia, diventa l’occasione per alcuni riflessioni, rese fin
troppo ridondanti dalla voce narrante, presa di peso dal racconto ma che a mio
avviso, non fa che appesantire questo segmento.
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“Allora avrà un enorme Schwanzstück!” (quasi-cit.) |
Tempo di scaldare i motori e il secondo “volume” di “Love,
Death & Robots” finisce subito, dato in pasto ad un pubblico vorace nell’accaparrarsi intere stagioni, più degli umani con le parti del corpo del gigante
dell’ultimo episodio.
Dal punto di vista dell’animazione la serie resta un ottimo spettacolo, la sensazione è che nello scegliere solo otto episodi, sia
mancato quello in grado di rendere questa seconda stagione memorabile, il
risultato finirà per deludere quello stesso pubblico voracissimo che aveva
determinato il successo della prima annata.
Peccato, perché la mia passione per la fantascienza e le
storie antologiche andava a nozze con questo progetto, che temo sia già uscito
dalle grazie del pubblico, perché su Netflix essere molto amato o molto odiato
è facilissimo, non ci sono tante sfumature nel mezzo. In ogni caso per me è arrivato
il momento per quel post su “Heavy Metal” (1981) che ho in cantiere da tempo, ormai è
proprio ora.