Il gran casino globale della pandemia pare non aver
intaccato la professionalità della Pixar, certo molti dei suoi titoli recenti
sono stati dirottati dalla sala al paginone di DisneyPlus, il povero Onward è sicuramente quello che ha
pagato il prezzo più alto in termini di visibilità. Ma seguendo il buon
risultato di Soul, uscito direttamente sulla
piattaforma di streaming è arrivato anche la loro ultima fatica, ovvero “Luca”.
Un film che ha fatto subito discutere fin dalle prime
immagini, la rappresentazione – per alcuni – eccessivamente stereotipata di uno
strambo Paese a forma di scarpa ha fatto storcere più di un naso, ma per tutti
i nasini che si sono arricciati, altrettanti si sono rivolti all’insù, orgogliosi
di vedere un po’ di Italia al cinema. Sapete come sono tanti dei nostri compatrioti, che
siano i Maneskin o Danilo Gallinari che porta gli Atlanta Hawks in finale di
conference, qualcuno ha sempre il tricolore pronto da sventolare a portata di
mano. Salto sul carro del vincitore, sport nazionale.
La Pixar non cambia il suo stile, se qualcuno dei suoi
animatori si dimostra particolarmente abile, con il tempo avrà prima o poi la
sua occasione. Dopo essersi fatto le ossa (di dinosauro) come supervisore degli
storyboard di Il viaggio di Arlo e
aver diretto il cortometraggio “La luna” (2011), Enrico Casarosa ha potuto
scrivere il soggetto e dirigere questo film, pescando dai cassettini della
memoria.
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“Dest sinist, dest sinist, qui e lì, notte e dì, questo il mondo fa girar” (cit.) |
L’ispirazione per il regista infatti arriva dalla sua
infanzia e dalle estati passate in Liguria, la cittadina immaginaria di
Portorosso per questa storia ambientata tra gli anni ’50 e ‘60 (tra i tanti e
curati dettagli del film, anche una locandina di “Vacanze Romane” quindi siamo
attorno al 1953 almeno), tra le cui tante ispirazioni sfoggia palesemente anche
abbondati dosi di Federico Fellini e di Hayao Miyazaki, a cui potremmo
aggiungere volendo anche “La sirenetta” (1989), vista la passione dell’amico
del protagonista Alberto, di pescare e collezionare manufatti degli umani come
faceva un tempo Ariel. Visto come sono preparato? Li guardo i cartoni animati, che credere!
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Tenere lontano dall’acqua, come ci hanno insegnato i Gremlins. |
“La dolce vita” continua a fare una gran presa sui nostri
amici che vivono dall’altra parte dell’oceano, mi riferisco agli americani, non
al popolo sottomarino da cui arriva il protagonista Luca. Sorrentino soltanto
strizzando l’occhio a Fellini si è portato a casa un Oscar per “La grande
bellezza” (2013), quindi è chiaro che “Luca” sia pensato per piacere ai nostri
cugini Yankee ma non altro, a garantire una certa veridicità ci pensa
proprio Enrico Casarosa, infatti nel suo film i cartelli, le etichette sulle
confezioni di cibo e i titoli sui libri, sono tutti scritti in vero Italiano e
non in aberranti parole tradotte malamente usando Google Translator, quelle che di solito diventano il
bersaglio preferito di Doppiaggi Italioti.
Anche se devo dirlo, Casarosa è classe 1971 quindi le sue estati Liguri saranno
state negli anni ’80, forse ci è andata bene così, altrimenti questo “Luca” sarebbe
stato un altro Stranger Things.
Certo il prezzo da pagare oltre alla rappresentazione
dettagliata di tutti i maggiori piatti di pasta (al centro della particolare
gara di Triathlon locale, la Portorosso Cup) restano sicuramente le espressioni
italiane, che vanno di pari passo con il nostro caratteristico gesticolare che
si sentono anche nella versione originale del film. In quella doppiata invece, devo dire che non ho particolarmente accusato il colpo, ho scoperto la presenza
di alcune personalità di spicco – nello specifico, Orietta Berti, Luciana
Littizzetto e Fabio Fazio, tre che secondo me, se pagate il giusto vengono
anche a farvi la spesa o a cambiarvi la lettiera del gatto – solo leggendo i
crediti nei titoli di coda, giusto perché il miglior doppiaggio del mondo,
continua ad affidarsi a doppiatori non professionisti. Rimettetelo pure via il
tricolore, non è il momento di sventolarlo.
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“Tu, perché sei vestito come Conan ragazzo del futuro?”, “Disse l’aspirante Giulietta degli spiriti” |
La storia è quella di Luca (ovviamente), pastore di triglie
in una famiglia di “mostri” marini con coda, squame e pinne. I parenti del
ragazzo sono ultra conservatori e per una vita, gli hanno insegnato che bisogna
restare nascosti dai terribili umani, sempre pronti con i loro arpioni. Ma Luca
è giovane e in quanto tale in cerca d’altro, seguendo il principio Kinghiano
per cui nessuno avrà mai più gli amici che aveva a dodici anni, Luca conosce
Alberto, che vive solitario in una torre mezza diroccata e se per caso vi
ricorda (anche negli abiti) il Conan di Miyazaki, penso sia solo perché Enrico
Casarosa da bambino, guardava i nostri stessi programmi tv.
Alberto ha una passione per tutto quello che riguarda gli
abitanti di superficie, a partire dalla mitica Vespa. Ora, non ho idea di quanto
abbia finanziato la Piaggio, ma in quanto simbolo storico della “dolce vita”,
la leggendaria due ruote passa dall’essere un marchettone pubblicitario (anche
quello a ben pensarci, tipico del nostro cinema, fin dai tempi delle bottiglie
di J&B in bella vista nei nostri film) a vero punto di svolta della trama.
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La tradizione delle marchette nei film nostrani, si aggiorna al nuovo millennio. |
Per conquistarsi una Vespa tutta loro, Luca e Alberto sono
pronti a spingersi fino alla città degli umani, la piccola Portorosso dove
faranno la conoscenza di Giulia, che da sempre sta cercando il modo di battere
l’odioso Ercole Visconti, indiscusso e insopportabile campione della Portorosso
Cup. Anche perché per Luca, in fuga dalla famiglia, molto meglio la nuova banda
di amici sfigati – che ricordano molti i perdenti, quindi ancora Stephen King
che torna a grattare alla porta – piuttosto che una vita negli abissi oceanici
con lo strambo zio Ugo, doppiato in originale da Sascha Baron Cohen
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“Mio nome Borat. Io vengo di Kazakistan” (cit.) |
Voi prendete “Stand by Me” (1986), la versione amichevole
delle creature degli abissi di Dagon,
impanate tutto con abbondanti dosi di Hayao Miyazaki (gli sguardi scuri del
gatto Machiavelli sembrano usciti da un suo film, ma non solo quelli) e
condite con abbondanti dosi del cinema di Fellini, a cui Enrico Casarosa non si
avvicina nemmeno in termini di qualità e inventiva, anche se resta chiaramente
il suo modello di riferimento.
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Il gatto Machiavelli è senza ombra di dubbio il migliore (MVP! MVP! MVP!) |
“Luca” è un film immediato, quasi scontato per noi abitanti
di uno strambo Paese a forma di scarpa, visto che sarà istintivo ritrovarci
nella sua storia e nella sua ambientazione. La Pixar con questo film gioca sul
velluto, tutti questi elementi così giusti, così classici, tutti insieme, non
possono non funzionare infatti lo fanno alla grande, ma se volete l’originalità
che ha reso grande la Pixar, forse questo non è il titolo più indicato.
Certo per voler male ad un film così, devi essere costituzionalmente proprio senza cuore, perché “Luca” contiene tutti gli elementi
stronzo
giusti a partire dall’amicizia dei due protagonisti, ben sottolineata dall’uso
di “Il gatto e la volpe”. Sono felice che Edoardo Bennato si sia visto
recapitare a casa un bell’assegno da parte della Pixar, un po’ meno per l’altro identico, arrivato in Svizzera a casa di Rita Pavone per la sua pappa
col pomodoro. Sono un fan dei Pearl Jam e con la Pavone abbiamo dei conti
aperti, quindi non fateci troppo caso.
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Avrei preferito molto di più un pezzo famoso di Gino Paoli. |
Il rapporto tra Luca e Alberto è ben esemplificato dalla
frase che è destinata ad uscire da questo film, per diventare patrimonio
comune, quella «Silenzio, Bruno» monito contro tutti i Bruno del pianeta
tutte le paure nella testa, che è destinata a diventare un tormentone
motivazionale azzeccatissimo.
Per il resto “Luca” è un film che gioca a carte scoperte, ha
una lettura di secondo livello che potrebbe farlo diventare uno dei preferiti
della comunità LGBTQIA+ (A, E, I O, U… Ypsilon!) visto che l’invito a celare la
propria vera identità, il rapporto (del tutto platonico) con Alberto e tutto il
resto, potrebbe far passare il film per un grosso METAFORONE, quando invece è
una più generica storia sulla capacità di accettare se stessi e gli altri,
utilizzando le estati dell’infanzia e una buona dose di “Dolce vita” come
contorno.
“Luca” è un film che in puro stile Miyazaki, ha in un
inseguimento (la Portorosso Cup) uno dei momenti chiave e che pescando un po’
da “Ponyo sulla scogliera” (2008) e “Conan il ragazzo del futuro” (1978)
assolve il compito alla perfezione. La Disney (scientifica) ha fatto benissimo
a distribuirlo proprio ora, all’inizio dell’estate, il momento giusto per
apprezzare di più un film così, ma più di questo in “Luca” non cercate, la sua
estrema e derivativa semplicità è il suo maggior pregio ma anche il suo principale difetto.
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La lezione di Hayao, una corsa rombante non deve mai mancare. |
Penso che finirò per dimenticare il film abbastanza presto ma devo essere onesto, forse 95 minuti sono troppo pochi per andare oltre una
rappresentazione semplificata di tutti i personaggi, anche quelli di contorno,
ma se non altro il film non ha un solo calo di ritmo che sia uno, anche se
parliamoci chiaro, “Luca” parla al ragazzino interiore di tutti quanti noi e
non ha nulla di nuovo da dire a chi conosce bene i modelli di riferimento di Enrico
Casarosa. Insomma Fellini e Miyazaki restano imprendibili (grazie al ca…
tamarano, oserei direi), quindi il modo migliore per godersi il film resta zittire
tutte le voci nella testa e goderci la corsa in bici, non sarebbe male per i
più giovani partire da questo film, per andare a scoprire i modelli di
riferimenti del regista, ma per quello ci vuole la curiosità di Luca e magari qualche
genitore connivente con la pazienza di suggerire i titoli giusti per il resto…
silenzio, Bruno Cassidy!