inizia il film non si parla, anzi, non si parla e basta visto il film di oggi.
Benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Tutto quel Mel!
del Maestro Brooks, due classici in uscita nello stesso anno, Mezzogiorno e mezzo di fuoco a febbraio e Frankenstein Junior hanno confermato il
nostro come il genio della comicità che tutti conosciamo, uno con abbastanza
credito da poter fare qualunque cosa, anche un film muto da spedire nelle sale
a metà degli anni ’70.
L’idea folle nacque
da Ron Clark, bravissimo autore televisivo del popolare “Jackie Gleason TV Show”,
che Brooks volle nella sua squadra di autori per imbarcarsi in questo progetto,
ma solo dopo averne discusso davanti ai piatti della mensa della Fox, non puoi far
ridere nessuno se ti brontola la pancia e poi laggiù fanno una torta ricotta e
frutta incredibile, almeno stando alla biografia del Maestro Mel.
Dopo aver amorevolmente
sbeffeggiato i Western e i classici horror in bianco e nero, Brooks poteva
alzare l’asticella, da bambino quando i suoi fratelli lo portavano al cinema a
vedere i film muti di Charlie Chaplin, Buster Keaton e Harold Lloyd, tutti
basati su una comicità slapstick fatta di cadute, schiaffoni, salti e
trovate visive, il nostro Mel doveva essere trascinato a forza fuori dalla
sala, fosse stato per lui avrebbe passato la giornata a ridere di quei colpi di
genio (storia vera), quindi ora sulla racchetta aveva l’occasione concentrata
di rendere omaggio, a suo modo, ad un’altra porzione fondamentale della settima
arte, la parte difficile sarebbe stato convincere Laddie.
Laddie, nomignolo
amichevole con cui Mad Mel si rivolgeva al signor Alan Ladd Jr. supremo capo
della 20th Century Fox che
davanti alla proposta del regista rispose: «Ma dici sul serio? Un film muto?
Con Frankenstein Junior hai tolto il colore e ora torni da me con la
proposta di fare un film togliendo anche il sonoro. Che cosa toglierai la
prossima volta? Se ti lascio libero di fare di testa tua, sei capace di
trasformare la 20th Century Fox in un teatro di vaudeville!», il Maestro la
spuntò solo promettendo che sarebbe stata la sua ultima “sfida” al formato
cinematografico, un’ultima follia come il titolo italiano del film si è
prodigato a sottolineare, gettando enfasi sull’originale e ben più diretto “Silent
Movie”, letteralmente “Film muto” che per me sarebbe stato un titolo ad effetto
ben più azzeccato e divertente. Cosa vai a vedere? Film muto, fa già ridere
così.
Ron Clark fu provvidenziale
perché presentò a Brooks anche Rudy De Luca e Barry Levinson, ovvero la squadra
di autori con cui il Maestro ha scritto “Silent Movie”, due aggiunte brillanti
per la loro capace di sfornare trovate comiche e al tempo stesso estremamente
cinematografiche, insomma, l’ideale quando puoi contare più sulle trovate visive
che sui dialoghi che, come da tradizione dei film muti, sono limitati ai
cartelli che compaiono nel corso della storia.
Come sempre, Brooks
prima delle gag, alcune anche dei riusciti tormentoni (come le anziane che
urlano «Fags!» ogni volta che i protagonisti si abbracciano), cerca sempre un
motore necessario a spingere storia e personaggi, in questo caso è l’eterna
lotta tra l’arte e il vile denaro, uno spunto sempre attuale, ma pescato da Mad
Mel dalla realtà. In quel periodo, i magnati pieni di soldi stavano investendo nel
cinema per avere guadagni sicuri (altri tempi…), quindi la Coca-Cola aveva
messo le mani sulla Columbia Pictures, la Transamerica possedeva già la United
Artists e la Gulf and Western aveva “ingoiato e divorato” la Paramount. Da qui
lo spunto iniziale, per salvare la Big Picture Studios, ci voleva un grande
film muto, fatto a metà degli anni settanta, per evitare l’acquisizione da
parte della “Engulf and Devour” un
riferimento nemmeno poi così velato.
Trattandosi del film
più aderente alla realtà mai diretto da Brooks, il rapporto dei tre
protagonisti il Maestro lo ha basato su quello che lui aveva con i suoi
fratelli, proprio quelli che lo portavano a vedere i classici del cinema muto e
poi erano costretti a riportarlo a casa trascinandolo per le caviglie, infatti
la storia di “Silent Movie” è davvero tutta qui: il grande regista Mel Funn (in
italiano Mel Spass) salverà la Big Picture con un grande film muto che viene
proposto al capo dello studio proprio come spunto di partenza. Ad interpretare il
gran capo è Sid Caesar, il comico che con il suo “Your Show of Shows”
lanciò la carriera di Brooks, insomma un omaggio al suo Maestro da parte di… Beh, del Maestro.
Poteva mancare secondo
voi il prediletto? Si poteva fare un film muto senza Gene Wilder? Beh, sì,
perché Gene a sua volta aveva iniziato a seguire il consiglio di Brooks, scrivendo
e dirigendo i suoi stessi film, impegnato nella realizzazione di quel
gioiellino di Il fratello più furbo di Sherlock Holmes il buon Gene
non era della partita, poco male, abbiamo gli altri pretoriani: Dom DeLuise nei panni di Dom Bell (in italiano Trippa,
guardatelo in originale, tanto cambia poco) era pronto a garantire controcampi
spassosi al regista, mentre il fedele Marty Feldman con i suoi celebri occhi
era una gag pronta ad avvenire in un film tutto basato sulle trovate slapstick,
in italiano il suo personaggio si chiama Bellocchio (eh vabbè) mentre in
originale risponde al nome di Marty Eggs, un piccolo omaggio all’attore Ben
Turpin e ai suoi occhi ballerini e sporgenti simili a uova sode, da qui il
cognome del personaggio.
Mel Brooks, per la
prima volta, qui si ritaglia un ruolo da attore e non solo un’apparizione,
ovviamente molto ironico visto che il suo Mel Funn è ad un passo dal ricadere
nel baratro dell’alcolismo (la gag con il segno dello sbevazzamento, fatta con
il pollice, è solo una delle mille divertenti del film), anche se poi
la trama di “Silent Movie” ricalca esattamente come si sono svolti i fatti, la
cronaca della produzione di questo film, resta essa stessa parodia, con tanto
di confronto con Laddie, sullo schermo sostituito da Sid Caesar.
Ma cosa vi dico sempre
dei cinque minuti iniziali di un film? Ne determinano tutto l’andamento. Qui
vediamo Mel, Dom e Marty, stipati a bordo della loro minuscola Morgan gialla avvolti
nel silenzio totale, a folleggiar per la strade di Los Angeles, con trovate
visive tutte matte, come impennare con l’auto per dare un passaggio ad una
donna incinta, per altro interpretata da Carol Arthur, la moglie di Dom DeLuise
(storia vera).
Anche se il mio
momento preferito è quando, una volta arrivati alla clinica, Marty inizia a
fare lo scemo con una stangona di infermiera e Mel gli urla dall’auto, in un
labiale completamente comprensibile le parole “Son of a bit…” mentre i cartelli
traducono “bad boy”, insomma il film non è nemmeno iniziato e già il Maestro prende amorevolmente in giro i pregi e limiti dei film muti. “Silent
Movie” è tutto così: un fuoco di fila di trovate irresistibili, tutta basate
sull’umorismo slapstick fatto di schiaffoni e cadute, ma anche di
trovate visive matte, come bottiglie sovra dimensionate oppure letti a parete
da tirare giù sì, ma dal lato sbagliato. Un film che ha fatto scuola e non
tanto per dire, ma letteralmente!
Il nostro amatissimo
e compianto Paolo Villaggio, aveva fatto della gag che vedeva il suo celebre
ragionier Ugo Fantozzi alle prese con una macchinetta della Cola-Cola un
classico del suo repertorio, declinata in più modi nel corso dei suoi film,
viene ricordata molto spesso nella versione offerta nel film “Fantozzi
contro tutti” (1980), durante la famigerata coppa Cobram l’assetato
ragioniere si trova a lottare con un distributore che spara lattine da tutti i
lati, fino alla scelta tragica di abbracciarlo finendo a parare la lattina con
le balle. Scena celeberrima che indovinate da dove arriva? Proprio da “Silent
Movie” dove ad esibirsi in questa specialità è Dom DeLuise, quindi quando
sostengo che Mad Mel è il Maestro dei Maestri, parlo anche di questo.
“L’ultima follia di
Mel Brooks” si gioca momenti classici della comicità del Maestro, come in Mezzogiorno e mezzo di fuoco, anche qui i cattivi provano ad utilizzare la “bella” per
far fallire il protagonista, in questo caso si tratta della creatura più sexy
del mondo, ovvero Vilma Kaplan interpretata da Bernadette Peters e basterebbe il
sollevamento del tavolo del consiglio d’amministrazione della Trangugia e Divora
a sottolineare quando Vilma sia efficiente nel suo lavoro.
Ma l’elenco di
trovate matte del film sarebbe infinito, alcune sono palesi, altre più sottili
e giocate sulla natura stessa dei film muti, come ad esempio la panoramica su
New York, con la colonna sonora firmata dal fidato John Morris e fondamentale
in un film senza dialoghi che parte intonando un pezzo dedicato a San
Francisco, poi si ferma di colpo come rendendosi conto dell’errore, solo per
mettersi a suonare “I’ll Take Manhattan”, insomma uno spettacolo che riporta ad
un’epoca in cui i film non si guardavano “spimpolando” il telefono, quindi
anche solo per questo, tanta buona educazione cinematografica.
“Silent Movie” è il
film più legato alla realtà mai diretto da Mel Brooks anche perché, seguendo la
premessa matta iniziale di realizzare un film muto a metà degli anni ’70, la
trama si è composta da sola, così come il cast, radunato da Mel (Brooks o Funn
non imposta) in cerca di grandi nomi da mettere in cartellone, il primo è stato
Burt Reynolds, felice di prendere parte a tale mattana solo a costo di poter interpretare
la versione più vanesia possibile di se stesso, un personaggio che si ferma ad
ammirarsi davanti a tutti gli specchi e con le sue iniziali ovunque, anche a
caratteri cubitali sulla facciata di casa, la scena della doccia, poi, fa più
paura di quella di Psycho per certi versi!
Ora, non vorrei che
sembri una brutta battuta legata all’assonanza con il suo cognome, ma James
Caan ha deciso di accettare il ruolo perché abitava ad un isolato di distanza
da Mel Brooks, i due si incrociavano spesso quando uscivano a fare jogging e fu
proprio Caan a far sbarcare a casa Brooks il primo cane di famiglia, Pongo, in
onore di La carica dei 101 e della macchia sul muso, anche se si
trattava di un pittbull terrier (storia vera). Dopo avergli appioppato uno dei
suoi cuccioli era il minimo che Caan prendesse parte al film, la scena della
roulotte in precario equilibrio è un omaggio spudorato alla capanna che scivola
di “La febbre dell’oro” (1925) di Charlie Chaplin.
L’entrata in scena
di Liza Minnelli? Avvenne proprio come la vediamo ricreata nel film, Mel, Dom e
Marty nella mensa della Fox si voltarono trovando la grande Diva seduta al
tavolo dietro al loro e la fecero scoppiare a ridere nel tentativo goffo di
chiederle di prendere parte al film (storia vera), unica variazione rispetto ai
fatti? I tre non indossavano armature medioevali come fanno, invece, in “Silent
Movie”.
Per il gran numero
musicale, tra tango e balletti sui tavoli (sfondati dal peso di Dom DeLuise)
Mel Brooks non è andato lontano, chiedendo a sua moglie Anne Bancroft di comparire
nel film, risposta dell’attrice? «Fammici pensare» pausa scenica, principio di cuore
spezzato per Brooks «Ma certo che ci sarà!». Matrimonio salvo.
Ma anche film, visto
che Anne Bancroft improvvisò quel movimento con gli occhi, spostando prima solo
quello destro e poi solo il sinistro, per essere imitata da Marty Feldman con risultati
comici notevoli. Un po’ meno se siete oculisti ma non formalizziamoci.
Fatto trenta
facciamo trentuno, Brooks scoprì che la birra preferita di Paul Newman era la
St. Pauli Girl, quindi gliene fece recapitare dieci casse a casa, promettendo
che se avesse preso parte al film, avrebbe trovato un modo per rendere omaggio
anche all’altra grande passione di Paolo Uomonuovo ovvero le gare di corsa.
Newman rispose che avrebbe recitato nel suo film anche senza il tentativo di
corruzione al luppolo, ma che comunque la birra se la sarebbe tenuta (storia
vera). Da qui la folle idea di una gara su sedie a rotelle motorizzate,
ovviamente vinta a mani basse dall’imprendibile Paolo, anche perché ogni tre
per due Marty Feldman finiva per ribaltarsi e andare ad abbracciare qualche
cespuglio a bordo strada (storia vera). Forse era avanzata qualche cassa di St.
Pauli Girl.
Nel suo continuo
sfidare Hollywood e la struttura stessa dei film muti, quell’adorabile
anarchico di Brooks ottiene anche una rarità assoluta, l’unica parola
pronunciata dal film, arriva da uno che in carriera è diventato famoso per non
averne pronunciate mai, ovvero il celebre mimo Marcel Marceau. La scena delle
telefonata in Francia, per convincerlo a partecipare al film (come poi ha effettivamente
fatto) è geniale per tempi comici, prima bisogna affrontare il vento contrario
e se non facesse già ridere la risposta secca pronunciata dal mimo, la riga di
dialogo successiva è una lezione su come si compone una battuta finale ad effetto
(«Cosa ha risposto?», «Non lo so, non parlo francese»).
di Mel Brooks” il suo regista si è preso dei bei rischi, anche quello più
palese oltre l’assenza del sonoro, ovvero l’idea balorda di fare un film su tre
personaggi che vogliono fare un film, una trovata che in altre mani sarebbe
stata risibile ed in effetti lo è anche qui, però per i motivi giusti. Insomma,
un altro ottimo successo di critica e pubblico che conferma l’onnipotenza del
Maestro Brooks, uno che ad Hollywood scherzando, si poteva permettere tutto, anche
e soprattutto esagerare.