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L’uomo invisibile (2020): scomparso (purtroppo) anche dalle sale

I mostri della Universal sono creature tragiche e piuttosto sfortunate, anche nella distribuzione, in questi giorni assurdi, persino l’uomo invisibile è stato travolto, il suo film che avrebbe dovuto uscire in sala beh, è scomparso. Lo trovate in streaming a noleggio per gustarvelo a casa in questi giorni matti, ma mentre aspettiamo di vederlo (si spera proprio in sala), mi sembra giusto provare a dare un po’ di visibilità a “L’uomo invisibile”, paradossale lo so, ma mai come le nostre giornate.

Sono letteralmente cresciuto con i mostri classici della Universal e con Scuola di mostri, quindi facevo un po’ il tifo per il loro ritorno, anche se La Mummia con Tommaso Missile è stato un passo falso che ha rispedito in soffitta il progetto del “Dark Universe”. Il cui secondo capitolo sarebbe stato un uomo invisibile interpretato da Johnny Depp, e questo si mi sembra paradossale! Come avrebbe fatto Depp a fare facce e faccette da invisibile?

Mi immagino quasi la scena, con il campanello che suona negli uffici della Universal e i dirigenti che in allarme rispondono: «Co’ ‘sta pioggia e co’ ‘sto vento, chi è che bussa al mio convento?». Davanti allo spioncino con un sorriso da tempia a tempia, quel drittone di Jason Blum pronto a mettere sul tavolo ben nove milioni di fogli verdi con sopra le facce di altrettanti presidenti defunti, per prendersi i diritti del film lasciando alla Universal il compito di distribuirlo.
“Oh Giasone per fortuna sei arrivato! Ho temuto il peggio!”

La cura Blum funziona, malgrado la sua sparizione dalle sale, “L’uomo invisibile” è riuscito a portare a casa trenta milioni insieme ad un altro primato, un film scritto e diretto da Leigh Whannell valido? Gente non è certo roba garantita! Leigh Whannell a sua volta, è una sorta di uomo invisibile, messo in ombra spesso dal suo compare più famoso James “Pupazzo” Wan, insieme hanno scritto il primo “Saw” (2003) e quel gioiellino di “Dead Silence” (2007), salvo poi perdersi per sempre con la saga di “Insidious” su cui preferirei non dire nulla, anche perché mi sono già espresso con dovizia di dettagli in passato.

«Quella? Ma no è tutta roba vecchia, sai per far contento James Wan»

Upgrade scritto e diretto da Whannell era un bel film passato troppo inosservato e sono felice di constatare che per “The Invisible Man”, quel ragazzaccio di Leigh è riuscito a stare bello concentrato, sfornando un horror che funziona molto bene anche come Thriller. Segnate anche il suo nome nella lunga lista di autori vitaminizzati dalla cura Blum, un austerità economica che costringe tutti a tirar fuori la creatività.

Ma poi andiamo, non credo che esista un personaggio dell’immaginario più economico da realizzare (quindi perfetto per la Blumhouse) dell’uomo invisibile, basta inquadrare una stanza vuota, e il personaggio potrebbe esserci come non esserci, era ovvio che venisse scelto da Jason Blum, un po’ meno ovvio che fosse anche un buon film, ma per fortuna, pericolo scampato.
Si perché ci sono alcune cosette al cinema che costano proprio poco e che di solito garantiscono la riuscita, una trama che regge, e dei personaggi caratterizzati decentemente e affidati agli attori giusti. In questo senso Elisabeth Moss è un nome abbastanza famoso, una delle attrici più talentuose in circolazione, quindi se per avere lei sono stati necessari alcuni bigliettoni in più, poco male, sono soldi in banca considerando il suo talento, e poi, la CGI e un po’ di chroma key per garantire l’invisibilità necessaria, nel 2020 non è roba che viene via per troppi soldi.
Lo sai cosa dicono gli americani degli uomini con le mani piccole vero?

L’uomo invisibile del romanzo di H. G. Wells, è stato raccontato al cinema in moltissime versioni, a partire dal classico del 1933 diretto da James Whale. Molti autori si sono cimentati con i poteri e la (non)responsabilità che il non essere visti garantisce, lo ha fatto John Carpenter ma anche Paul Verhoeven, ma Leigh Whannell fa una scelta azzeccata e al passo con i tempi, decide di raccontarci tutta la storia dal punto di vista di una donna, costretta a convivere con l’incubo di un uomo, che poi diventa anche invisibile.

Cosa dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Ne determinano tutto l’andamento, vale anche qui. Cecilia Kass (Elisabeth Moss) è in fuga, dalla casa/prigione del suo fidanzato Adrian (Oliver Jackson-Cohen, che si vede poco, ma ha una faccia davvero poco rassicurante), il film è appena iniziato e siamo già in tensione, sembra l’altro giorno che stavamo in ansia per la fuga dell’Ancella June, e Lizzy Moss è di nuovo qui a scappare da un uomo che la tiene prigioniera.
«Almeno questa volta non ho quel dannato paralume in testa»

Cecilia ora vive con la sorella Emily (Harriet Dyer), il suo enorme fidanzato poliziotto James (Aldis Hodge) e sua figlia Sydney (Storm Reid), ma è come una reduce di guerra che ha il terrore anche di mettere il naso fuori di casa, traumatizzata dalle attenzioni di un uomo che controllava ogni sua azione e che l’ha resa paranoica. Adrian è un ricco milionario specializzato in innovative invenzioni nel campo dell’ottica, con un laboratorio che sembra la Bat-caverna, è una capacità di manipolare le persone notevole. Ma la notizia della sua misteriosa ma liberatoria morte, forse è la fine di un incubo per la ragazza, ecco forse. 

Strani eventi cominciano ad accadere nella vita di Cecilia, si parte con cose da poco, come una pentola lasciata sul fornello che prende fuoco, per arrivare fino a visite indesiderate nel cuore della notte. Leigh Whannell si prende tutto il tempo che serve per portarci dentro l’ossessione della sua protagonista, “L’uomo invisibile” dura 124 minuti e il primo atto è tutta costruzione della paranoia, oltre che un’altra enorme prova del talento di Elisabeth Moss.
«Ti richiamo, sento un rumore in soffitta», «Ma tu non hai la soffitta», «Appunto»

Davvero Adrian è ancora vivo e in qualche modo invisibile? Oppure siamo di fronte ai deliri di una donna che ha vissuto gli ultimi anni nel terrore di un uomo tirannico? Quello di Whannell è lo stalker perfetto, proprio come quello di “Unsafe” di Steven Soderbergh, però con la critica sociale al sistema sanitario, sostituita da una maggiore predisposizione a momenti horror.

Con davvero pochissimo e malgrado il minutaggio abbondante, Whannell tiene sempre alta la tensione e proprio perché più predisposto al cinema horror, si ricorda anche della lezione di classici come “Entity” (1981), sfornando un film che sarà pure un remake del film del 1933, ma è perfettamente calato nei nostri strambi tempi.
«Le sembro Barbara Hershey? No, quindi mi deve ascoltare, un uomo invisibile, come nella canzone dei Queen»

Una donna perseguitata da uno stalker, di fatto non è minacciata da un uomo invisibile ma fin troppo presente? Non è abbandonata spesso da tutti (autorità, amici e famiglia) e creduta semplicemente matta oppure bisognosa attenzioni? Sembra incredibile, ma l’uomo dietro a molte delle trovate sceme dei vari Insidious, qui resta concentratissimo riuscendo a sfornare un thriller davvero riuscito, che riesce spesso a farti abbracciare ai braccioli della poltrona, ma senza che le tematiche sociali (comunque presenti e belle in vista) soffochino mai la storia. Vi ricordate quando i Queen cantavano «I’m in your room, and I’m in your bed / And I’m in your life, and I’m in your head»? Ecco, la loro The Invisible Man riassume alla perfezione questo film.

«No! Non Luigi il cosplayer! Ho detto i veri Queen!»

Ho una predilezione per i film che riescono ad essere totalmente di genere, ma con una lettura di secondo livello anche squisitamente politica (o sociale) come in questo caso, Leigh Whannell ci è riuscito grazie a davvero poco, bastano piccoli tocchi, un coltello qua e là, la condensa del respiro nel freddo della sera, che compare alle spalle della protagonista, fino ad arrivare a momenti eclatanti, con lunghe sequenze di lotta e combattimento contro un avversario invisibile, il classico personaggio che ti fa pensare: se ti metto le mani addosso…

«Mi sento leggerissimamente osservata…»

Quando poi tutto si poteva risolvere in maniera più semplice e convenzionale, mantenendo inalterata la buona riuscita del film, Leigh Whannell non molla l’osso e manda a segno un epilogo davvero riuscito, che è la perfetta conclusione dell’arco narrativo dei personaggi, ma anche di quello che è a tutti gli effetti un thriller, uno di quelli che ti lascia in tensione fino ai titoli di coda.

Non credo sia necessario, perché è una delle migliori attrici in circolazione, ma mi prendo volentieri altri due minuti per decantare le lodi di Elisabeth Moss, una che qui ricopre ancora il ruolo di donna maltrattata dagli uomini, che in carriera ha già recitato in svariate sfumature da “Mad Men” a The handmaid’s tale, e che forse avrebbe anche un po’ potuto campare di rendita proprio per questo. Invece niente, anche lei non molla un colpo, incredibile come un’attrice che sotto il “paralume” da ancella, ha già dato così tanto al ruolo di una donna costretta a combattere per la sua libertà (e la sua vita), qui riesca ad aggiungere ancora qualcosa, la sua Cecilia Kass è un personaggio tosto ma totalmente realistico, e se ogni tanto la storia si lascia andare a qualche stereotipo tipico del genere (perché il telefono di Adrian continua ad essere attivo anche dopo la sua morte?), è proprio grazie al talento di Elisabeth Moss, e al suo totale coinvolgimento che non si esce mai dalla storia.
Insomma, questo film sull’uomo invisibile, rischia di restare fin troppo invisibile, ma comunque spero di poterlo vedere al cinema, cioè per una volta che Leigh Whannell riesce a firmare un bel thriller sarebbe proprio un crimine non poterlo vedere no?
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