Lo sapete che quando questa Bara fiuta una pista poi continua a seguirla fin dove è in grado di portarmi, dopo aver fatto gli auguri di compleanno al conte Dracula e al mostro di Frankenstein, mi sembra doveroso ricordare gli ottant’anni dell’uomo lupo.
Si perché anche il nostro irsuto amico figura tra i leggendari mostri della Universal, anche se questo film non è stato il primo tentativo da parte della casa di produzione di lanciare un film sui licantropi. Il primo pionieristico tentativo è arrivato nel 1935 con “Il segreto del Tibet” (“Werewolf of London” come un pezzo famoso di Warren Zevon), ma malgrado l’ottimo trucco ideato da Jack Pierce che rendeva l’uomo lupo più simile ad un grosso felino, questa incarnazione del film non ebbe molto successo, alla storia mancava qualcosa che solo lo sceneggiatore Curt Siodmak poteva portare.
Nel 1941 Curt Siodmak ideò una sceneggiatura tutta nuova per l’uomo lupo, pescando a piene mani (e zampe) dalla sua esperienza di ebreo fuggito dagli orrori della Germania nazista, la storia era quella del ricco Larry Talbot, figlio di un gentiluomo gallese, tornato a casa dopo la scomparsa del fratello maggiore.
Ma a rendere speciale la storia è proprio il vissuto di Curt Siodmak, il genere horror è da sempre quello che ha saputo farsi carico meglio di tutti delle paure del pubblico, non è un caso se spesso è stato declinato in chiave metaforica, il cinema di genere utilizzato per raccontare altro. Che poi è quello che è successo con “L’uomo lupo”, un film horror in tutto e per tutto, ma anche una delle prima rappresentazioni Hollywoodiane della condizione degli ebrei nel 1941.
Già perché i riferimenti alla religione ebraica nel film si sprecano, le vittime di licantropie vengono marchiate da questa maledizione con una stella a cinque punte che compare sul loro corpo, un riferimento nemmeno troppo velato alla stella di David. A questo aggiungiamoci anche la famosa poesia, che sembra frutto della tradizione, quando in realtà è tutta farina del sacco di Siodmak, le parole «Anche l’uomo che ha puro il suo cuore, ed ogni giorno si raccoglie in preghiera, può diventar lupo se fiorisce l’aconito, e la luna piena splende la sera», descrivono alla perfezione la maledizione dell’uomo lupo, ma anche la condizione degli ebrei, proprio per questo se per i vampiri non può mancare un certo grado di sessualità nelle storie che li vedono protagonisti, per i licantropi spesso le trame ruotano attorno ad una maledizione, ci sono stati film sulla licantropia che hanno saputo girare attorno a questo tema, sto pensando a titoli come “L’implacabile condanna” (1961), ma sono spesso variazioni su un tema che è stato coniato con “The Wolf Man”, perché da questo film è nata buona parte dell’iconografia sui lupastri come ancora oggi la ricordiamo. Sapete come li chiamiamo i film così su questa Bara vero?
George Waggner aveva i lupi nel suo destino, parliamo di un regista che ancora oggi tutti ricordano per questo Classido, ma che ha iniziato la sua carriera con il film d’avventura “Uomini e lupi” (1939). Ma l’altro nome leggendario legato a questo film è sicuramente quello di Lon Chaney Jr. figlio di cotanto padre, Chaney Jr. si portava dietro tutto il peso del suo notevole cognome e con “L’uomo lupo” non ha fatto altro che accettare l’eredità di famiglia portando avanti la tradizione, anche se ha dovuto sudare sette camice per infilarsi in quella dell’uomo lupo.
Si perché originariamente la Universal voleva affidare il ruolo di Larry Talbot alla loro stella, il grande Boris Karloff, ed ottennero come risposta una campagna di (auto)candidatura da parte dell’acerrimo rivale, ovvero Bela Lugosi, che dopo aver rifiutato Frankenstein, il film che aveva trasformato Karloff in una leggenda, non l’aveva presa benissimo ma tutto quello che il grande attore ungherese riuscì ad ottenere, fu solo un ruolo importante ma di contorno in “L’uomo lupo”, quello dello zingaro che porta il suo stesso nome, Bela, e che trasmette la maledizione al protagonista.
Lon Chaney Jr. è semplicemente perfetto per il ruolo, quando entra in scena nel film, sembra proprio il ragazzone di ritorno al paesello che si atteggia, gli manca solo di avere “Tu vuò fa’ L’americano” di Carosone in sottofondo e poi sarebbe perfetto. Talbot dopo aver fatto pace con il padre mette subito gli occhi sulla bella vicina Gwen Conliffe (Evelyn Ankers). Il suo approccio non è dei più discreti, cerca di fare colpo sulla bionda dimostrandole di conoscere tutto quello che la ragazza conserva sul comodino della sua camera, dopo averla spiata osservata con il cannocchiale di casa Talbot. Oggi Larry si beccherebbe una meritata accusa di molestia, ma nel 1941 bastava a strappare un appuntamento alla ragazza, ma solo dopo aver comprato nel suo negozio un bastone da passeggio, con un manico a forma di testa di lupo d’argento. Solo perché due crocefissi in oro massiccio da mettersi al collo, dei denti d’oro, dei tira pugni con scritto “LARRY” e “TALBOT” e magari una pimper ride parcheggiata fuori con le fiamme dipinte sul cofano, nel 1941 non erano disponibili.
L’appuntamento di Larry e Gwen, che per sicurezza si porterà dietro l’amica Jenny (Fay Helm), finirà con quel tamarro di Talbot in fissa per farsi leggere le carte da un gruppo di zingari, qui sarà proprio il maledetto Bela, trasformato in lupo a morderlo passandogli la maledizione, anche se l’enorme cagnone utilizzato nella scena per rappresentare la bestiale trasformazione di Bela, non avrebbe mai potuto mordere per davvero Lon Chaney Jr. visto che si trattava del suo pastore tedesco (storia vera).
Da qui in poi il film procede come da tradizione, Talbot tra vuoti di memoria e bizzarri risvegli, ci metterò un po’ a comprendere la sua condizione e quello che trovo sempre curioso è che l’uomo lupo completamente trasformato, sia il più ordinato e convenzionale nel vestire di tutti i mostri classici della Universal. Mi fa sempre sorridere l’idea di un uomo che perde tutta la sua umanità trasformandosi in una belva feroce, ma puntualmente si ricordi di infilarsi la camicia dentro i pantaloni.
Ma mettendo da parte il mio inutile puntiglio, bisogna dire che il trucco di Jack Pierce funziona davvero alla grande, anche quando grazie al montaggio, George Waggner ci mostra la trasformazione di Talbot solo inquadrando i suoi piedi, diventati improvvisamente pelosi e da vero lupastro. Non lamentatevi mai più quando non troverete quelle scarpe che desiderate tanto non disponibili nella vostra taglia.
Anche l’argento, utilizzato come una vera arma per fermare la maledizione e uccidere l’uomo lupo è una trovata che è uscita da questo film, per diventare parte della cultura popolare. Continuo a fare lo stesso esempio, perché con i mostri della Universal è quello più valido di tutti: provate a chiedere ad una bambina o un bambino come si uccide un lupo mannaro, e state tranquilli che la risposta sarà l’argento, anche se la domanda sempre una di quelle di ammissione alla Monster Squad, tanto per citare un film che è stato palesemente influenzato da quello di George Waggner. Apriamo l’ululante scatola di Pandora? Occhio che da qui in poi non prendo più prigionieri.
“L’uomo lupo” è un classico che di fatto, è la pietra d’angolo su cui sono stati fondati i maggiori titoli a tema “licantropo” della storia del cinema. Si perché se nel 1941 bisognava accontentarci del bellissimo trucco di Jack Pierce, per assistere non ad una, ma a ben due trasformazioni complete da uomo a lupo, abbiamo dovuto aspettare i mezzi tecnici disponibili negli anni ’80. Quarant’anni esatti dopo questo capolavoro, sono arrivati due titoli universalmente riconosciuti come i migliori film sui lupi mannari di sempre, entrambi pesantemente debitori di “The Wolf Man”, due titoli che hanno saputo omaggiare il film di Waggner meglio del remake ufficiale, arrivato nel 2010, che ricordo fondamentalmente solo per il trucco di Rick Baker. Pensare che ero anche andato a vederlo al cinema (storia vera).
Ovviamente sto parlando di “L’ululato” (1981) di quel genio di Joe Dante e di “Un lupo mannaro americano a Londra” (1981) del mio amico John Landis, proprio su questo titolo vorrei soffermarmi per un secondo, perché in “L’uomo lupo”, nella parte del capitano Montford, il più ardimentoso nel piazzare trappole e aprire la stagione della caccia al lupo, troviamo l’attore Ralph Bellamy. Non può essere un caso se un ragazzone come Landis, cresciuto nel mito del film di Waggner, non si sia esaltato tantissimo nel poter affidare a Bellamy il ruolo di uno dei due temibili fratelli Duke nel 1983. Chissà se il capitano Montford avrà scommesso un dollaro sulla cattura dell’uomo lupo?
In ogni caso, se volete assistere ad un po’ di sano amore per il film di Waggner, provate a guardarlo in dvd con il commento audio di Landis, il vecchio John di questo film conosce ogni singolo fotogramma ma prima di vedermi comparire la domanda mille volte nei commenti ve lo dico subito, la pista fiutata da questa Bara prosegue seguendo la scia di sangue del lupo mannaro, abbiamo altri due pelosi compleanni da festeggiare, quindi tenete le pallottole d’argento a portata di mano e non dimenticatevi di fare gli auguri all’uomo lupo: aaAAAUUUUuuguri!
Sepolto in precedenza martedì 20 aprile 2021
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