Lo sanno tutti, intendo tutti quelli che i fumetti li leggono per davvero, non solo chi guarda i film tratti da essi, che senza gli eroi Pulp degli anni ’30, non ci sarebbero mai stati gli eroi in calzamaglia colorata che popolano la produzione a fumetti americana e da diversi anni a questa parte, anche i cinema. Pare che il monopolio si sia un po’ spezzato, anche se lo dico subito, chi stappa una bottiglia di quello buono per celebrare la morte dei “Cinecomics”, dovrebbe prima rispondermi ad una semplice domanda: come si uccide definitivamente un genere cinematografico?
Sono sempre esistiti i film tratti da fumetto, esisteranno sempre, negli ultimi vent’anni gli americani – che hanno una parola per tutto, altrimenti la inventano – gli hanno solo dato un brutto nomignolo, ma perché esisteranno sempre film tratti da fumetto? Perché ci saranno sempre, a tutte le latitudini del globo, appassionati della nona arte che di mestiere, fanno i registi per la settima.
Uno di questi sicuramente quel genietto di Sam Raimi, perché in un mondo dove tutti amano Batman, il nostro eroe puntava direttamente alla fonte, o per lo meno al 50% non Zorro che ha sempre fatto da ispirazione e modello al personaggio di Bob Kane con Bill Finger, come da formula concordata (altrimenti ti piombano a casa gli avvocati), mi riferisco ovviamente a The Shadow, l’Uomo Ombra, personaggio nato come protagonista di uno sceneggiato radiofonico del 1930, protagonista di un’infinità di libri, molti dei quali scritti da Maxwell Grant, ma nel corso del tempo anche di fumetti (uno firmato anche da Garth Ennis) e ovviamente, visto che ne state leggendo qui sulla Bara, un film, ma andiamo per gradi come direbbe Anders Celsius.
Non riuscendo in nessun modo a mettere le mani sui diritti di adattamento di The Shadow prima e di Batman poi, Sam Raimi fece l’unica cosa sensata per un genio come lui, l’opzione Bender: mi farò un super eroe tutto mio con Black Jack e pelle sintetica di lusso! (quasi-cit.) risultato finale? Ottimo visto che viviamo nel migliore dei mondi possibili, quello dove esiste Darkman di beh, Sam Raimi e non un suo “The Shadow”.
Il legame che balza fuori giocando al giochino dei sei gradi di sperazione, che tanto sono sempre meno di sei? Facilissimo, David Koepp è lo sceneggiatore scelto per portare The Shadow al cinema, lo stesso che anni dopo avrebbe scritto proprio per Raimi il suo primo Spider-Film, quindi come vedete tutto torna, tranne il regista stesso, perché alla fine “L’Uomo Ombra” lo ha diretto Russell Mulcahy.
Australiano, semidio dei videoclip, di cui abbiamo già festeggiato il compleanno del suo film d’esordio, se poi volessimo aggiungere una nota di colore, il film più famoso di Mulcahy resta la sua seconda regia, Highlander, tangenzialmente anche uno dei post più cliccati di sempre della storia di questa Bara, seguito a ruota dal secondo capitolo, quello che ha dettato la fine delle fortune del regista.
La trama di “The Shadow” non inizia proprio all’insegna delle trovate cartesiane, ma per lo meno della continuità con i Radio romanzi dalla trama ad effetto di un tempo: il soldato Lamont Cranston (interpretato da un quasi perfetto Bruce Wayne come Alec Baldwin), traumatizzato dalla prima grande guerra o qualcosa del genere, ora vive come un novello Genghis Khan in Tibet, soprannominato dai suoi nemici Ying KO, “Aquila Oscura” in cinese. Catturato e portato al coperto del potente Tulku, il nostro riceve la classica offerta che non si può rifiutare, o ti redimi o ti ammazzo, in parole povere e quintali di CGI già così così ai tempi. A colpi di pugnali volanti, Cranston diventa seguace di Tulku, che gli insegna come “offuscare le menti altrui”, insomma una specie di ipnosi che serve a piegare la percezione nelle menti deboli, in modo da diventare invisibile, completamente, a parte l’ombra, l’unica cosa di cui non potrà mai sbarazzarsi. A saperlo, sai quante interrogazioni a scuola avrei evitato in vita mia!
Ok, va detto, più che da Radio romanzo, questo passaggio da soldato a signore della guerra Tibetano e ritorno ad eroe dei due mondi, diciamo che è più degno di un foto romanzo, visto che accade nel giro di una manciata di minuti, però è allo stesso tempo una storia di origini e un prequel, il tutto in meno di dieci minuti, oggi ci farebbero su una trilogia, negli anni ’90 non avevamo questo problema.
“The Shadow” diventa l’occasione perfetta per far tornare in auge la mia non rubrica “Quando non erano super” ma anche il film con cui Russell Mulcahy ha provato a rimettersi in carreggiata dopo vabbè, l’altroce scena finale di Highlander II, il problema? Ci è riuscito, anche benissimo, così bene che nessuno se ne accorto, tanto da sospettare che malgrado il suo lavoro, il vero Uomo Ombra fosse proprio lui, che ha firmato il perfetto film di super eroi medio, ma con dieci o quindici anni d’anticipo.
In una New York che l’occhio bionico di Russell Mulcahy rende cesellata e ultra stilosa, meglio della Gotham City di tanti film più blasonati, Lamont Cranston di giorno è il prototipo del riccone sciupafemmine che non si sa come abbia fatto i soldi (con i suoi introiti da signore della guerra Tibetano? Legittimo) e di notte combatte il male, tutto sguardo torvo e voce bassa che fanno del più famoso dei Baldwin la scelta migliore possibile, anche per un’altra ragione, nei panni di The Shadow sembra un altro.
Qualcuno sostiene la teoria per cui per un perfetto adattamento di Batman, ci vorrebbero due attori, uno per Bruce Wayne e uno per la sua controparte, tanto sono opposti nelle caratterizzazioni, Baldwin risolve il problema tanto che la trasformazione del volto del personaggio è la sua vera maschera, per un film che passa dallo stile art déco al fumettone in maniera naturale, un Dick Tracy con meno propensione ai colori sgargianti, che fa ancora la sua porca figura dal punto di vista estetico, specialmente grazie alla regia e alle facce che lo popolano.
Penelope Ann Miller non fa molto nei panni di Margo Lane, ma lo fa così bene (il contrario di quello che le dice il protagonista) da non poterla accusare di nulla, anche perché con quella bellezza, sembra fatta dal sarto per l’ambientazione di un film così anni ’90 da avere in parti di contorno due che oggi sono ultra noti, allora erano “solo” grandi attori specializzati in ruoli da caratteristica.
Ian McKellen inventa la bomba atomica con una gag sul suo nome (lunghissimo), poi allo stesso modo si fa beffe della classica scena dell’ordigno da disinnescare tagliando il filo rosso, con una sola parola: daltonismo.
Tim Curry fa il cascamorto con la bionda protagonista e allo stesso modo, risulta perfetto per coprire il ruolo della viscida spalla del cattivo di turno che io ve lo dico, qui è un redivivo Ghengis Khan (John Lone) perché voglio dire, vogliamo farci mancare qualcosa?
Tra inseguimenti in sidecar e palazzi invisibili, il film schiera comodo in campo due terzi del cast di Grosso guaio a Chinatown ma anche Patrick Fischler, nei panni di un marinaio indotto ad uccidersi (male male) dal cattivone di turno per aver fatto battute di cattivo gusto, insomma il sacrificio necessario a mettere in chiaro che il cattivo è cattivo. Le facce note sono così tante che tra le fila di coloro che L’Uomo Ombra (il nemico della tintarella) ha salvato ed ora lavorano per lui, troviamo anche Peter Boyle nella parte di Borgnine diretto da Carpenter, perché questo film è tutto così.
Nel suo rifarsi ad un’iconografia antecedente a quella di Batman, il film agilmente combina per un titolo che potrebbe essere canone della saga dell’uomo pipistrello, oltre a mettere in chiaro quanto l’estetica che sapeva tirare su Russell Mulcahy era illegale, bastava dargli un abbozzo di trama e di pura estetica sapeva come portare a casa il risultato, specialmente quando nessuno se lo aspettava, che fosse con questo prototipo di (parola brutta in arrivo) cinecomics (vi avevo avvisato) o che fosse un capitolo figo e non richiesto di Resident Evil.
L’andamento della carriera di Mulcahy sarebbe da studiare, intanto io quest’anno avevo due suoi film pronti a spegnere le candeline, ed ora che ho fatto il mio dovere posso sparire, come un’ombra tra le ombre.
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