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L’uomo senza ombra (2000): Ora mi vedi, ora non mi vedi più

L’essenziale sarà
anche invisibile agli occhi, ma l’invisibilità è proprio al centro del film di
oggi, protagonista della rubrica… Sollevate un Paul Verhoeven!

Prima o poi nella
vita, tutti hanno speso un minuto a pensare a cosa farebbero se improvvisamente
diventassero invisibili, qualcuno s’infilerebbe subito in qualche spogliatoio
altri (come me!) si prenderebbero piccole rivincite nei confronti dei vicini di
casa, per esempio (maledetti! Dovete solo sperare che io non diventi mai
invisibile ‘stardi!), ci ha pensato il Maestro John Carpenter a ricordarci che l’essere invisibili porta con sé tutta
una serie di problemi pratici molto fastidiosi e tenetemi l’icona aperta su
questo film minore di Giovanni Carpentiere, perché tornerà di moda più avanti.

Ho sempre avuto
una predilezione per i film dedicati a questo tema, forse perché da bambino
sono rimasto fulminato durante una visione del film “L’uomo invisibile” (1933)
diretto da James Whale, ancora oggi uno dei miei classici della Universal
preferito, pensate che da piccolo uno dei miei pezzi preferiti dei Queen era “The
Invisible Man” (storia vera) non proprio il primo titolo che ti viene in mente
pensando al celebre gruppo.
Sapete, invece, a
chi non fregava assolutamente niente di invisibilità e quant’altro? Al nostro Paul
Verhoeven! Intervistato nel 2013 il regista olandese ha candidamente ammesso
che di tutti i film che ha girato, questo è quello che si è pentito di aver
firmato. Esatto, non Showgirls, ma
questo film qui! Incredibile vero?



“Femo lì Gavino, fammi fare tutti i primi piani prima di scomparire”.

Ma la spiegazione
fornita da Polveròn è sensata, secondo lui al netto del risolutati finali, in
giro ci sono circa venti registi che avrebbero potuto dirigere questo film,
così come lo abbiamo visto, ma non ce ne sono tanti che avrebbero potuto
dirigere roba come Robocop, oppure Atto di Forza nello stesso modo, i vari
sequel e remake aggiungo io, confermano la teoria di Verhoeven.

Falsa modestia da
parte di Verhoeven? Non credo, anzi penso che il regista sia stato fin troppo
duro con se stesso, il nostro Paul ha ammesso, senza girarci troppo intorno, di
aver accettato di dirigere il film per restare nel giro che conta di Hollywood,
comprensibile dopo che Showgirls è
entrato nella storia dalla parte sbagliata e Starship Troopers non è stato il successo sperato per il semplice
fatto di essere stato male interpretato dal pubblico. In ogni caso, io “L’uomo
senza ombra” quando è uscito in sala nel 2000 sono corso a vederlo, ma proprio
di corsa! Dai su, il regista di Robocop,
il protagonista di Tremors, il tema
dell’invisibilità, un film imperdibile che ho gradito fin dalla prima visione,
rivedendolo per questa rubrica posso confermarvi che non ho cambiato idea, è
ancora un ottimo film.Trama e poi andiamo nel dettaglio.
Sebastian Caine (Kevin
Bacon) è un geniale scienziato di belle speranze, ad un passo dalla scoperta
che rivoluzionerà il mondo, quella dell’invisibilità, un processo perfettamente
reversibile che con la sua squadra ha già dimostrato di poter applicare sugli
animali. Ma siccome a pagare tutto il cucuzzaro dell’eccentrico Caine (occhio
al nome Biblico) sono i militari, i signori in divisa vogliono dei risultati, perché
un gorilla invisibile è una figata, ma l’obbiettivo sarebbero soldati
invisibili, vogliamo qualcuno che uccida i nemici dell’America non che lanci
loro addosso la cacca (invisibile).



“Andiamo, visori termici per la cacca di scimmia?” , “E aspetta di vedere lo scopettone laser per pulirla”.

Per somma gioia
della veterinaria Sarah (Kim Dickens)
Sebastian fa di testa sua, la sua ambizione lo spinge a diventare il primo uomo
invisibile della storia dell’umanità, mettete pure in pista che Sebastian
voglia primeggiare per far colpo sulla sua collega ed ex amante Linda McKay (la
sempre guardabile Elisabeth Shue) che nel frattempo all’arroganza di Caine ha
preferito la sicurezza del collega Matt (Josh Brolin) uno decisamente più affidabile
e con meno grilli per la testa.

Da bravo “Mad
Doctor” Caine diventa davvero invisibile, ma il processo per gli umani non è
così reversibile come per le scimmie, quindi il nostro inizia leggerissimamente
a sbroccare, la prospettiva di restate invisibili a vita non è il massimo per
uno con un ego smisurato come Caine che, però, scopre presto che non essere
visti porta anche qualche sinistro e oscuro vantaggio.



Tipo poter fare le boccacce spaventando i bambini, perché voi non lo fareste?

«È incredibile
quello che riesci a fare quando non devi più guardarti allo specchio.»

La frase chiave
di tutto il film, quella su cui ruota tutto l’arco narrativo del protagonista
che, però, è anche il cattivo del film, non a caso Verhoeven per la parte ha
voluto proprio Gavino Pancetta, un attore che ho sempre adorato anche per la
sua capacità di essere totalmente credibile sia nella parte del buono del film, sia in quella del diabolico cattivo, attori che possono
permetterselo? Uno, solo Gavino!



“Chi io Cassidy? Solo perché ho questa adorabile faccia da schiaffi?”.

Ma questa frase
così importante potrebbe essere il grimaldello da utilizzare se qualcuno
volesse demolire il film, qualcuno con il dente più avvelenato di me nei
confronti di questo film potrebbe dire che è lo stesso Verhoeven che senza
remore nel doversi guardare allo specchio svende il suo cinema ad Hollywood pur
di restare nel giro d’orato. Ma ribadisco a questo film non voglio affatto
male, è chiaramente un’opera minore all’interno della filmografia a cui appartiene,
esattamente com’è stato Avventure di un uomo invisibile in quella di John
Carpenter.

In entrambi i
film i due registi hanno chiaramente le mani legate dalla imposizioni della
casa di produzione, ma i risultati sono comunque due film onesti sostenuti da
degli ottimi effetti speciali. Quelli di “Hollow man” sono invecchiati alla
grande, a rivederlo ora, diciassette (quasi diciotto) anni dopo la sua uscita è
ancora un film che potrebbe uscire in sala questo weekend senza risultare
datato, il che non è poco visto la brutta CGI che nasce già vecchia che vediamo
in tanti film contemporanei.
Gli effetti
speciali sono un riuscitissimo utilizzo della Chroma key e del green screen, i
momenti in cui la CGI potrebbe svaccare sospendendo l’incredulità dello
spettatore sono circa un’ottantina, eppure non accade davvero mai e gli effetti
speciali sostengono la storia fino ai titoli di coda. La scena in cui la
gorilla viene riportata nel mondo degli essere visibili è realizzata alla
grande e, poi, dai cavolo, SIMMIE! Sono sempre felice quando in un film qualcuno
mi mette le mie amate SIMMIE!



Verhoeven ci fa vedere le scimmie. Dentro e fuori, questo si che è amore viscerale per i primati!

Il modo in cui Sebastian
Caine diventa invisibile un organo alla volta è ancora impeccabile, Kevin Bacon
viene trasformato nella versione parlante di, vi ricordate il modellino anatomico
dello scheletrino di plastica con gli organi installabili, che quando ero
piccolo io si poteva costruire con le uscite in edicola di “Esploriamo il corpo
umano”? Ecco, mi ricorda un sacco quello. Lo so non sono tutti finito.

Siamo fatti cosi, muscoli scattanti, sempre scalpitanti.

Sul set Gavino
Pancetta ha dovuto recitare in un’aderentissima tuta di colore verde o blu a
seconda delle necessità dei tecnici, il più grosso problema per tutti i suoi
colleghi? Restare seri davanti ad un esibizionista in tuta colorata che si
comporta come un malvagio! (Storia vera)

In “Hollow man” è
facile notare la presenza di tutti i temi cari a Verhoeven, forse in misura
minore, ma comunque tutti lì da vedere (che in un film che parla di invisibilità
non è un dettaglio da poco), la donna forte, bionda e che sconvolge la vita
del protagonista qui è ben rappresentata da Elisabeth Shue, inoltre, non mancano i riferimenti Biblici tanto utilizzati da Polveròn nel suo cinema, il
protagonista (o antagonista?) di cognome Caino che nel film più volte si paragona
all’Onnipotente («Tu non sei Dio, sono io») e che in tutta risposta, è proprio
la bionda in carica a ridimensionare la sua megalomania in un paio di dialoghi
durante il loro scontro finale («Credi di essere Dio ti faccio vedere io Dio»,
«Non Dio, non più ormai»).



“Dammi un po’ di zucchero baby”, “Secondo me hai più bisogno di uno strato di pelle”.

In tutta la sua
carriera, come abbiamo visto, Verhoeven si è mosso agilmente attraverso svariati
generi cinematografici, “L’uomo senza ombra” è l’occasione per l’Olandese per
dirci la sua sul genere horror, sullo Slasher in particolare. Chiusi dentro il
laboratorio con un essere impossibile da vedere ad occhio nudo, gli scienziati
si fanno prendere dalla paranoia, qualcuno non va nemmeno a pisciare senza il
visore termografico, quando poi Caine abbraccia totalmente il “Lato oscuro”,
diventa un mostro invisibile che uccide i protagonisti uno dopo l’altro e gli
scienziati muoiono seguendo l’ordine classico degli Slasher, tizia nera e lo
scemone con le cuffiette nelle orecchie sono i primi a salutarci.

Sempre come da
tradizione, ad arrivare alla fine è la “Final Girl” Elisabeth Shue che tiene
testa al mostro con un po’ di aiuto di un ferito Josh Brolin, ma principalmente
della sua astuzia e della sua resistenza. Da questo punto di vista “Hollow man”
è un film drittissimo, efficace, con un buonissimo ritmo e ancora capace di
farti tifare per i suoi protagonisti, insomma per essere un film minore fatto
quasi contro voglia ho visto davvero di peggio in vita mia!



Elisabeth Shue in versione Ellen Ripley, ma con lanciafiamme improvvisato alla MacGyver.

Ma riguardandolo
alla luce di questa mini retrospettiva dedicata a Verhoeven emergonono due
dettagli legati, ma in netto contrasto tra di loro: da una parte è chiaro che senza
l’estro e le ossessioni cinematografiche di Polveròn, “L’uomo senza ombra”
sarebbe stato un film molto più anemico, ad ogni occasione utile, malgrado il
limite imposto dalla censura, Verhoeven infila nel film la carne e il sangue
che sono l’essenza del suo cinema.

Il corpo
diventando invisibile espone gli organi interni e al sangue ci pensa la trama,
ogni omicidio è grondante sangue, basta guardare la scena in cui la veterinaria
Sarah sparge buste di plasma nella stanza riempiendo il pavimento di sangue per
rendere visibili i movimenti di Caine. A ben guardare, non manca nemmeno il
sesso (che quando c’è Verhoeven nei paraggi non manca mai), a partire dalla barzelletta su Superman e Wonder Woman che onestamente a me fa sempre ridere. Ok lo so sono scemo, vabbè andiamo avanti!



“Quante volte devo dirti che il rosso emoglobina non fa risaltare i miei occhi!”.

I protagonisti
maschili nei film di Verhoeven sono spesso bestie primitive mosse dagli istinti
più bassi (quelli basici direi), l’invisibilità
per Caine è la scusa per lasciarsi andare, liberando i peggiori istinti quelli
che la società civile etichetta come criminali, per questo notte tempo si getta
sui capezzoli della dormiente Kim Dickens, quando esce dal laboratorio sfrutta
la sua maschera di gomma per spaventare bambini mentre aspetta il verde al
semaforo e soprattutto, infrange l’ultimo tabù, passando dall’essere l’arrogante
protagonista per cui comunque si prova un po’ di empatia per la sua condizione,
al diventare solo un gran bastardo, cosa che, ovviamente, accade con l’immancabile
scena di stupro. Devo dire che Verhoeven si è messo d’impegno per curare il
fastidio che provo nel vedere questo tipo di scene al cinema, grazie Paul eh! A
buon rendere!

Dimostrando il
solito enorme buon gusto in fatto di “L’altra metà del cielo”, Verhoeven per la
parte della vicina di casa che tutti gli uomini sognano, quella bona e allergica
alle tende, sceglie Rhona Mitra (Boom!), quindi decisamente una tentazione per
il protagonista a cui cede sacrificando anche l’ultima sua briciola di umanità
(«Non pensarci nemmeno, tanto chi lo saprà?»).

Persino allo specchio cade l’occhio in un punto in particolare.

Ma è proprio qui
che l’altra faccia della medaglia di “L’uomo senza ombra” fa capolino, la scena
di stupro avviene fuori campo, Verhoeven ci mostra come Caine s’infila in
casa, ma omesse le conseguenze (infatti Rhona, purtroppo, sparisce dal film), Verhoeven utilizza l’invisibilità per mostrare il più possibile,
come il pistolino in CGI di Kevin Bacon e le zinne della Mitra, ma allo stesso
tempo è costretto ad usare questo espediente per non incappare nel visto
censura.

Ad esempio, la
scena in cui il nostro uomo invisibile, uccide un cane, a sua volta invisibile,
colpevole di abbaiare troppo (pure questa Paul!!) ci viene “mostrata” solo
attraverso le telecamere termiche ed è l’unica ragione per cui Verhoeven ha
scampato un’accusa da parte dei gruppi animalisti, perché ha potuto dimostrare
che il cagnetto che Gavino Pancetta maltratta era solo un pupazzo di gomma
usato per girare la scena (storia vera).



“Guardiamo il lato positivo, niente più problema di borse sotto gli occhi”.

In questo senso, “L’uomo
senza ombra” è un film in bilico, è molto più esplicito della media dei vostri
moderni blockbuster pieni di effetti speciali in termini di sesso e violenza,
ma rispetto al solito film di Verhoeven è all’acqua di rose, quella voglia di
provocare e di spingere sempre un po’ più in là il confine del mostrabile nel
cinema americano viene un po’ a mancare, forse perché lo stesso Verhoeven non
era il primo a crederci più di tanto.

Da una parte sono
soddisfatto perché “Hollow man” è ancora un film molto solido, dall’altra
è chiaro che il Verhoeven dell’era antecedente ai flop di Showgirls e Starship Troopers
al cinema avrebbe potuto portare qualcosa che probabilmente avremmo paragonato
all’uomo invisibile di Milo Manara, invece è chiaro che l’uomo che stava
iniziando a scomparire, era proprio il nostro Paul Verhoeven.



“Prima di sparire qui, è meglio darsi una mossa e prendere provvedimenti”.

Hollywood lo
desidera ancora, di quasi tutti i film della fase americana della sua carriera
sono stati sfornati dei sequel, spesso
anche parecchio pezzenti, come “L’uomo senza ombra 2” (2006) uscito uscito solo
in home video e con Christian Slater come protagonista, eppure, l’industria
del cinema americano dopo aver fatto soldoni con l’estro dell’olandese, pian
piano cerca di limitarlo, omologarlo alla massa e magari nasconderlo sotto il
tappeto per evitare altri imbarazzi.

“L’uomo senza
ombra” è ancora un buonissimo film minore, ma Verhoeven a questo punto della sua
carriera può fare solo due cose: scomparire nella massa di registi anonimi,
oppure tornare a casa, preparate le valige, tra sette giorni si torna in Olanda.
Amsterdam! Amsterdam! Ce ne andiamo, ce ne andiamo ad Amsterdam!
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