Dovrei iniziare con un appunto molto arguto, una frecciatina sul fatto che una miniserie come “M – Il figlio del secolo” sia più al passo con i tempi che mai, qualcosa di sagace sul fatto che in tv assistiamo a propaganda di parte che guarda caso, si dimentica di far trapelare il lato negativo dei governi, il nostro ma non solo, quindi una miniserie su Mussolini, abbia trovato la strada spianata.
Anche vero però allo stesso tempo potrei aggredire il post di oggi da un altro punto di vista, che forse è anche la recensione migliore che troverete su questa serie: il vostro – mio non di sicuro – presidente del senato che invece di fare cose da presidente del senato, quindi immagino ben più importanti, abbia il tempo di sostenere che “M – Il figlio del secolo” ridicolizza il Duce, per questo è una pessima serie. Non so voi, ma è un po’ come se l’avesse promossa a pieni voti, non solo dal punto di vista storico, ma anche nella sua utilità, oltre a dire molto di chi ha le fascinazioni e la malinconia di quando c’era LUI.
Presentata all’ultimo festival del cinema di Venezia, la miniserie in otto episodi, scritta da Stefano Bises e Davide Serino e diretta da Joe Wright (che idealmente torna all’argomento sul versante opposto) ha fatto il vuoto, il che lascia già intuire la portata, non solo del cambiamento, se il prodotto migliore di un festival del cinema è una miniserie tv, ma anche l’ideale passaggio del testimone tra grande e piccolo schermo, a cui personalmente non credo, perché non tutte le serie tv sono a fuoco come questa.
Tratta dal romanzo omonimo di Antonio Scurati, “M – Il figlio del secolo” ha un tono greve, pesante, non perché sia difficile da seguire, me la sono divorata in un paio di serate, ma è proprio la pesantezza specifica dell’argomento a non lasciare indifferenti, come è stato possibile che un tale ridicolo orrore si sia scatenato, aprendo alle pagine – ovviamente – più nere della storia del nostro Paese? La miniserie di Joe Wright riesce a raccontarlo in un modo va detto, molto cinematografico.
Anche se alcuni discorsi di Mussolini sono stati modificati per renderli un po’ meno aulici nella selezione delle parole, la continuità degli eventi e la ricostruzione storica dei fatti è piuttosto accurata, a risultare creativa quindi, è l’unica parte che Joe Wright ha potuto e voluto controllare, ovvero la messa in scena.
La storia inizia nell’Italia del 1919 con l’allontanamento di Mussolini dal partito Socialista per via delle sue idee sulla guerra, e già a metà del primo episodio non sembra per nulla l’Italia del 1919, lo dico nel senso migliore possibile. Grazie alle scenografie di Mauro Vanzati, alla fotografia di Seamus McGarvey e alle musiche (spesso fuori contesto) di Tom Rowlands, quella che vediamo più che l’Italia sembra Gotham City, un luogo oscuro che non può che essere l’ideale ricettacolo dello schifo che Mussolini finirà per cavalcare, alimentare e creare, questa “Creatura bellissima che scalderà milioni di cuori” sì, ma di codardi tanti contro pochi, coraggiosi nella massa e ridicoli nella sostanza, ed è qui che Joe Wright vince la sua scommessa.
Il Benito Mussolini di Luca Marinelli (per intere porzioni di miniserie, letteralmente scompare nel personaggio, bravissimo), la sua amante Margherita Sarfatti (Barbara Chichiarelli), sua moglie Rachele (Benedetta Cimatti) sono tutti rappresentati come personaggi grotteschi, perché questo sono, macchiette in odore di cattivi da fumetto, ma nel senso peggiore del termine. Tra calvizie, pancia, occhi cerchiati, sembrano una versione bastarda della famiglia Addams, come se il regista si fosse deciso ad applicare la kalokagathia al contrario, Wright ci mostra questi personaggi orribili, grotteschi, caricature umane che sono una farsa.
Basta guardare i primissimi piani su Gabriele D’Annunzio (Paolo Pierobon) con i suoi denti tutti storti, non c’è nulla di eroico in questi buffoni, sono pagliacci violenti che si nascondono, strisciano per rispondere alle telefonate del governo anche in quello che per anni, ci hanno poi raccontato come un momento eroico, glorioso, ardito come la marcia su Roma, che in realtà è stato un sonoro bluff, reso possibile da un governo debole, ben rappresentato da Vittorio Emanuele III (Vincenzo Nemolato) non a caso raffigurato come un piccoletto, che si muove su gambe malferme e che su quel trono troppo grande per lui, sembra il corvo Rockfeller, con le gambette sospese nel vuoto, un po’ come ha lasciato il Paese.
Questi buffoni ridicoli ultra convinti di stare facendo la rivoluzione, cambiano faccia e pelle ogni volta, lo dice lo stesso Mussolini nei suoi infiniti monologhi, anche con noi spettatori, Luca Marinelli è bravissimo a “venderci” tutta l’auto indulgenza del personaggio, che sbraita, libera i suoi “cani” (come Italo Balbo) e poi si atteggia a politico, a fautore della democrazia quando gli fa più comodo. Perché è normale che se vai al governo urlando solo dei no, sbraitando contro tutti e cercando sempre un nemico (che siano gli immigrati o i giudici) prima o poi, quando la politica dovrai farla davvero, sembrerai solo un pagliaccio incoerente, voltagabbana e con la memoria corda, che fa accordi con chi fino ad un minuto prima demonizzava nei discorsi carichi di odio. Fascisti, sempre questo saranno.
La bellezza di “M – Il figlio del secolo” sta nel suo fare paura, perché guardandola è impossibile non pensare che la sua profezia sia vera, sono ancora tra noi, si sono nascosti nelle fogne come i ratti che sono, ma non sono mai andati via da molti cuori, quel nero piace troppo a fin troppi italiani medi, che il leader forte che urla ancora più forte e dice loro cosa fare, esonerandoli dall’usare il proprio di cervello, piace, piace fin troppo.
Quindi la miniserie risulta satirica, e mette i brividi anche quando diventa spudorata, come far guardare in camera il tuo protagonista più volte (non a caso una soluzione che arriva dalle commedie) e fargli dire «Make Italy great again», esagerato? Esattamente come quello che vuole raccontarci, una pagina di storia grottesca che va ricordata perché come Italiani, dovrebbe essere una vergogna, non un vanto, solo chi non ha capito nulla di quanto questi personaggi fossero patetici, potrebbero avere malinconia per un branco di perdenti.
Ecco perché i discorsi sullo scappare in Svizzera quando l’esito della marcia su Roma era in forse, fanno quasi ridere, quasi perché è successo per davvero, quindi c’è ben poco da ridere. Molti siparietti di alleggerimento con Cesare “Cesarino” Rossi (Francesco Russo) forse sono anche di troppo, ma ad un certo punto, meglio così, con tutta quella techno fuori contesto in sottofondo, Joe Wright ha trovato davvero il modo di rendere il clima pesante di quel periodo. E purtroppo non solo.
Le scelte visive anche fin troppo moderne, in contrasto con il periodo storico, funzionano benissimo, fanno di “M – Il figlio del secolo” una serie chiaramente pensata anche – se non proprio – per i mercati stranieri, altrimenti non ci sarebbe stato bisogna della sequenza animata per spiegare l’olio di ricino.
Difetti veri? Due essenzialmente, il primo che Scurati di libri della serie ne ha scritti quattro, quindi mi aspetto almeno altre tre stagioni e francamente, le guarderei anche subito, atmosfera pesante o meno. L’altro difetto? Strutturale, se ci sono persone in grado di criticare a questa serie di aver ridicolizzato un personaggio già ridicolo e grottesco come il Duce, sul serio diventa difficile pensare che la profezia che apre questa miniserie sia una realtà fin troppo concreta. Marinelli si sarà con difficoltà liberato del personaggio togliendosi la pelata finta e le lenti a contatto, per liberarci per sempre di quella vomitevole piaga nera invece, sarà molto più complicato e richiederà ancora tanta guardia e magari, altre serie come questa.
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing