Che vi piaccia o meno, un giorno quando riguarderemo indietro alla storia del cinema horror di questo primo ventennio degli anni 2000, il nome di James Wan (in amicizia Pupazzo UAN) comparirà inevitabilmente su un paio di pagine del librone del cinema di paura.
Non credo abbia bisogno di ulteriore presentazioni, ma il papà di Conjuring e Insidious a suo modo è diventato il padrino del cinema horror commerciale, quello che riempie le sale di spettatori – spesso adolescenti – che amano i “salti paura” (o “Jump scare”) anche solo per poi poter perculare chi del gruppo si è allegramente scagazzato nelle mutande.
Devo dire che Federico Sfascia mi ha aperto gli occhi, da quando ha fatto notare che i film di Wan di riffa o di raffa parlato tutti di travestitismo, non riesco più a notare altro. L’ossessione per le bambole del regista si sposa alla perfezione con questo discorso, le prove generali prima con “Dead Silence” (2007), seguito dalla saga di “Annabelle” con tre film all’attivo al momento, ed ora questo “Megan” resto graficamente anche come “M3gan” per darsi un tocco G-G-G-Giovane, ma lasciatemi l’icona aperta, su questo punto più avanti ci torneremo.
Da grande appassionato di Chucky, non sentivo particolarmente il bisogno di un’altra bambola assassina, bisogna dire però che ancora una volta Pupazzo UAN ha mandato a segno un film in grado di fare soldi subito al botteghino, per questo sostengo che come padrino dell’horror commerciale (parola che odio ma concedetemela per una volta), anche questa volta ha fatto il suo, anche se “M3gan” non inventa davvero nulla.
Per certi versi potrebbe esser il titolo perfetto per un gioco alcolico, ogni volta che guardandolo vi ritroverete a pensare «Ma è come Chucky!» giù a bere! Ma in generale io ci aggiungerei una sorsata anche per ogni momento alla Terminator o alla Orphan e il coma etilico è dietro l’angolo.
Siccome i capi delegano e i grandi capi delegano anche la delega, Pupazzo UAN butta lì il soggetto e lascia che un’intelligenza artificiale (accreditata come Akela Cooper) firmi la sceneggiatura ricalcona. Dopodiché siccome Gerard Johnstone aveva dimostrato di saper dosare paura e risate con il buon Housebound, gli affida la patata bollente della regia di questo film, che di fatto inizia per colpa del Furby.
O meglio, della sua versione locale, il Furzeez, a tutti gli effetti il pupazzetto Furby che però sa anche defecare artificialmente, perché basta dire CACCA e il pubblico ride, Leo Ortolani docet. Sta di fatto che questo cazzo di Furby cagone sta spaccando il mercato dei giocattoli, costa la metà del costosissimo progetto dei protagonisti e il loro capo, sta a chiappe strette perché i risultati non arrivano. Anche perché la bambola M3gan non è pensata per tutte le tasche, oltre ad essere una bambola, quindi già inquietante di suo, è anche una di quelle realistiche, quindi doppiamente sinistra, ma i vari test si sono rivelati uno più fallimentare dell’altro, quindi messa al muro la zia progettista cosa fa? Appioppa la bambola alla nipotina traumatizzata dalla perdita dei genitori in un incidente stradale. Insomma come creare oggi i serial killer di domani.
M3gan (da qui in poi Megan perché mi sono rotto di scrivere come un bimbominkia, grazie Pupazzo UAN!) prende troppo seriamente la sua missione di proteggere la sua nuova amichetta e visto che non ho più voglia di consumare a caso il tasto “3” della mia tastiera, vi chiudo quell’icona lasciata aperta, come promesso. Perché si chiama “M3gan” la bambola? Acronimo nel progetto “Model 3 Generative ANdroid”. Fermi tutti! Lo sentite? Un urlo in lontananza, come un ululato di dolore? Si tratta di Lucius, che malgrado abbia scritto un intero saggio per spiegare al mondo che le donne artificiali si chiamano Ginoidi, James Wan non lo ha letto e continua a fare questi errori.
“Megan” tenta di buttare nel mucchio un discorso sui bambini lasciati soli, a contatto con troppa tecnologia e senza la supervisione di un adulto, poi però si annoia a svilupparlo e quindi preferisce tentare la via della critica all’industria e al capitalismo, una strada che aveva già percorso Don Mancini nel 1988 e in epoca più recente, persino il remake di La bambola assassina aveva saputo essere molto più satirico. Posso essere brutalmente onesto e anche piuttosto cagaminchia nel mio citare altri esempi? Benny Loves You era cento volte più divertente e grondante sangue di “Megan”.
Anche perché questo film ha il limite del visto censura e non ci prova nemmeno a raggirarlo, la maggior parte delle morti avviene fuori scena (arrrrgh!) mentre l’ironia a cui il film si affida, non allaccia nemmeno le scarpe ai titoli elencati qui sopra. Vedere Megan che strappa e tira in maniera inverosimile l’orecchio al bulletto di turno con una freddura del tipo «Mi ascolti Brandon?» fa cadere le, diciamo braccia, via. Perché le orecchie cadono a Brandon.
Anche la realizzazione della bambola Megan genera risultati alterni, averla affidata alle movenze dell’undicenne Amie Donald è stata una buona idea, peccato che il volto sia un viaggetto nella “Uncanny Valley” e se il recente film su Cip & Ciop ha un pregio è proprio quello di aver sdoganato questo concetto in una sola (spassosa) scena.
“Megan” non è un buon film e allo stesso tempo non è nemmeno un film orribile, possiamo dire che è un film di puro mestiere condito da tanta furbizia, non per forza del tipo migliore. Se avete visto tanti horror nella vostra vita, non vi lascerà nulla, ma visto che devo cercare di essere il più obbiettivo possibile, posso dire che “Megan” è pensato per quel tipo di pubblico che descrivevo lassù, quello di riferimento dei film di Pupazzo Uan, che in quanto Pupazzo è ossessionato dalle bambole, forse anche questa è una spiegazione.
Se volete un guizzo, uno straccio di idea nuova che sia una, non è in “Megan” che dovrete cercarla, di fatto questo film presenta ad una platea di ragazzini che non sono cresciuti con Chucky le stesse identiche trovate riciclate. Questo spiega perché senza motivo alcuno, la bambola decida di assolvere al suo compito di proteggere la bambina, prendendoci anche gusto nel torturare i persecutori o anche solo i cagnetti colpevoli di averla spaventata. Perché Megan si spare le pose, attraversa corridoio brandendo armi improvvisate, ballando senza motivo o cantando una versione melensa della stramaledetta Titanium (pezzo che basta ascoltarlo due secondi per averlo in testa due settimane) e altre menate senza logica di questo tipo? Perché è canone del genere. Una macchina come lei dovrebbe eseguire, stile Terminator, invece siccome il pubblico è andato a vedere un film su una bambola assassina, Megan deve fare quello che fa Chucky, faccia spaccata a metà e battutine prima di uccidere comprese. Tanto consapevole del suo ruolo da minacciare le vittime con frasi al limite del meta narrativo come: «Questa è la parte dove tu urli.»
Sarebbe tutto divertentissimo se fosse usato con un minimo di creatività, che qui è del tutto assente, la trama procede come deve andare, riuscita solo perché aderente alla tipologia di film che “Megan” (e più in generale James Wan) ha deciso di saccheggiare. La parte più spaventosa del film? Il fatto che avendo fatto soldi ci saranno altre due o tre seguiti, oppure se volete urlare per davvero, guardate come si è conciato il produttore Jason Blum alla prima del film.
Insomma, parafrasando il titolo di un altro horror assorto a prova di coraggio per i G-G-Giovani, questa Megan non è missing (ah-ah), ma è generata da un’intelligenza artificiale per essere una Chucky che uccide fuori scena e che non fa arrabbiare Don Mancini, che dai suoi profili social ha dato il benvenuto a questa nuova bambola assassina (storia vera), perché tra colleghi è meglio non pestarsi i piedi gli uni con gli altri. Sarà, ma io continuo a preferire il serial killer rosso di capelli con la salopette oppure quell’adorabile favola nera che era Dolls di Stuart Gordon, come Roger Murtaugh sono troppo vecchio per questa stronzate o più semplicemente, per essere il pubblico di riferimento dei film di Pupazzo UAN e giocare con le bambole.
Sepolto in precedenza martedì 10 gennaio 2023
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing