Fantasy: Genere narrativo e cinematografico caratterizzato da un’ambientazione fantastica e da un’atmosfera di magia, nel quale prevalgono i riferimenti alla mitologia classica, alle fiabe, alle saghe nordiche e a un immaginario Medioevo.
Sappiamo tutti com’è andata, nei primi anni del 2000, quello che ho sempre considerato il fratello neozelandese perduto di Sam Raimi, ovvero Peter Jackson, ha sganciato sul mondo quella bomba della trilogia del Signore degli Anelli, sconvolgendo per sempre l’industria cinematografica. Da allora è stata una corsa agli armamenti per accaparrarsi i diritti di tutti i maggiori romanzi fantasy, possibilmente con il più alto numero di capitoli, da portare al cinema per cercare di vendere tantissimi biglietti.
Se la saga di “Harry Potter” ha sempre vissuto di vita propria, all’ombra della trilogia di Pietro Di Giacomo si sono consumati drammi: “Le cronache di Narnia” sette libri, al cinema ne sono arrivati tre, “Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo” cinque romanzi, ma anche per lui solo due film. Vogliamo parlare di “La bussola d’oro”? Tre romanzi più due aggiuntivi, ma al cinema la saga si è sfracellata a terra dopo un solo capitolo nel 2007, regalandomi quelli che io da allora chiamo con una parola tutta mia, anzi vi do la definizione esatta.
Sfasciasy: Film d’esordio di una saga letteraria famosa dai multipli seguiti, che portato al cinema con fanfare e lanci di mortaretti, raccoglie risate e lascia la saga drammaticamente incompleta scontentando in parti uguali vecchi e potenziali nuovi lettori.
Quando uscirà “Il nuovo Cassidelli minore” ci troverete dentro questa definizione, per ora accontentatevi di sapere che il genere “Sfasciasy” aveva un po’ mollato, fino all’arrivo di “Macchine mortali” film che risponde perfettamente alle caratteristiche.
“Macchine mortale” è il primo di sette libri per ragazzi scritti da Philip Reeve e portati al cinema dal regista esordiente Christian Rivers, uno che si è fatto le ossa come disegnatore di storyboard ed esperto di effetti speciali nella Weta, la storica casa di produzione neozelandese che ha curato gli effetti speciali di tutti i film di… Peter Jackson! Ed eccolo che il giochino dei sei gradi di separazione si interrompe ad un solo misero grado.
Si perché per far calare il polverone dopo quella porcheria di Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate, il nostro Pietro Di Giacomo si è dedicato ad altro, tipo alle regia del documentario “They shall not grow old”, ma il lupo perde il pelo ma non il vizio, e insieme alle sue storiche collaboratrici Philippa Boyens e Fran Walsh, ha scritto la sceneggiatura di questo “Macchine mortali” salvo affidarlo a Christian Rivers, al grido di: «Vai avanti tu che a me mi scappa da ridere». Considerando che in Nuova Zelanda ci sono 27 milioni di pecore al netto di 5 milioni di abitanti (lascio a voi le proporzioni, sono sempre stato una pippa in matematica) Rivers dovrebbe avere bene in testa il concetto di “Agnello sacrificale”.
Ve la dico fuori dai denti, di questo “Mortal Engines” non ho visto nemmeno il trailer, mi è bastato sapere che Jackson ci metteva i soldi e che in qualche modo, somigliava ad una specie di Mad Max per ragazzi per decidere che lo avrei visto, sono un ragazzo semplice, mi piacciono i miei futuri cinematografici post apocalittici e macchine a motore lanciate a velocità criminali, possibilmente destinati ad accartocciarsi malamente contro qualcosa di più robusto di loro. Il risultato finale però è ben lontano dall’essere pesche e crema, anzi, non raggiunge nemmeno la quota minima di soddisfazione percepita.
Dopo aver realizzato non uno, ma due film della vita (il secondo il suo “King Kong” nel 2005), Pietro Di Giacomo deve essersi rilassato troppo, la trilogia dello Hobbit che ancora aveva qualcosa da dire nel primo capitolo, ha pagato nel modo peggiore possibile l’insana idea di trasformare in trilogia un libro di 400 pagine. Ma per me la delusione vera resta “Amabili resti” (2009), ho amato tantissimo il romanzo di Alice Sebold, un calcio in bocca dato con gli anfibi fin dal primo capitolo, per una storia dolente e bellissima, che Jackson, Philippa Boyens e Fran Walsh hanno annacquato in un film in grado di farti rimpiangere ogni pagina del romanzo, compresi i calci del primo capitolo.
“Macchine mortali” per certi versi fa anche peggio, dura due ore ma dopo i primi venti minuti (molto dei quali non tutti da buttare) non ha davvero più niente da dire e scade nella sagra del già visto, ma andiamo per gradi.
La voce narrante ci racconta che la guerra è durata solo sessanta minuti, in pratica la stessa premessa di A boy and his dog ma senza la satira di fondo. Quello che resta della società si è riorganizzata in agglomerati di città che per centellinare le scarse risorse disponibili, si muovono su ruote, alimentati da un motore tipo vecchia locomotiva a vapore. Perché le città devono sgommare su ruote giganti e non possono semplicemente stare ferme non è ben chiaro, ma trattandosi dell’unico spunto originale del film, mi tappo il naso e decido che va bene così.
Anche perché le megacittà sembrano il frutto di uno scambio di idee tra George Miller e Hayao Miyazaki, due signori che godono della mia stima (per quello che vale) e che qui confermano che le idee uscite dai rispettivi testoni, sono così buone che anche con gli scarti, qualcuno ci può campare di rendita. Il film inizia con una piccola città mineraria Bavarese, in fuga dall’enorme città di Londra, una trovata che in qualche modo ricorda un po’ il palazzo della The Crimson Permanent Assurance di Terry Gilliam, ma con un inseguimento che strizza l’occhio a Mad Max – FuryRoad, anche perché guardando la scena continuavo a ripetermi: «Musica ossessiva e ultra ripetitiva… Quando ci facciamo che la colonna sonora è composta da Junkie XL?» (storia vera).
Non mi piace Junkie XL, gli voglio bene proprio per la colonna sonora di Furiostrada che ha un tema principale fantastico (Brothers in arms) ma la sua idea di musica per una scena d’azione è sempre la stessa: Percussioni a caso e casino diffuso. Gli è andata bene con Fury Road perché Miller ha utilizzato le immagini per dare senso a quelle percussioni, ma il resto dei suoi lavori è dimenticabile se non proprio fastidioso. Poi aggiungiamo che quando da un bel pezzo, nel film non lo fanno quasi sentire come accaduto con Alita, ed io gioco é presto fatto.
Se escludiamo la mia altalenante stima per “Drogatone”, i primi venti minuti di “Macchine mortali” non sono niente male. Il film ci porta in un mondo che è “Andato avanti” per dirla alla Stephen King e che raccoglie i resti della nostra società come se si trattasse di reliquie del passato, dovendo correre per farlo, perché ogni vecchio rottame è prezioso per alimentare il calderone che permette alla città di Londra di muoversi. Questa premessa post apocalittica apparecchia il tavolo per uno scenario che da spettatore, mi piacerebbe esplorare, e anche le modeste stoccati satiriche funzionano, due vecchie statue dei Minion vengono conservate nel museo di Londra come se fossero “Dei americani”, e alcuni smartphone spaccati sono ciò che restano di quella che è stata ribattezzata “The screen age”, un periodo storico dell’umanità di cui non è rimasto molto, perché per via di quei così nessuno leggeva o scriveva più, dai sul serio, come hanno fatto a sbagliare un film così!?
Quando mi trovo di fronte a pellicole di questo tipo, che a fine visione mi lasciano così annoiato, mi faccio sempre la stessa domanda: “Se lo avessi visto a 10 anni mi sarebbe piaciuto?” so che non è molto, ma è un’attenuante generica che offro a molti film, considerando che ai tempi sono impazzito per roba molto (ma molto!) lontana dalla perfezione come “Waterworld” (1995) che con i suoi mutanti anfibi, un mondo post apocalittico sommerso e i cattivi che fumavano come se ci non fosse un domani (tanto ormai, erano già sopravvissuti alla fine del mondo che gli frega!) ai tempi mi aveva esaltato, oggi non lo so, ma da un pezzo vorrei rivederlo, e magari è la volta buona che lo farò davvero per riprendermi da questo film.
No, sono abbastanza convinto che anche se lo avessi visto a dieci anni, “Macchine mortali” mi avrebbe fatto due maroni così, se non altro allora avrei potuto rovesciare a terra la scatola dei mattoncini LEGO e costruire città semoventi su ruote, ma oggi? Se Peter Jackson, Philippa Boyens e Fran Walsh non mi spediscono a casa una confezione gigante di mattoncini, tocca sorbirci un film che dal minuto ventuno in poi, ha perso completamente il mio interesse.
Il capo della città interpretato da un barbuto Hugo Weaving, viene aggredito da una mascherata Hester Shaw (Hera Hilmar) accusato di aver ucciso sua madre nemmeno fosse una specie di Inigo montoya nell’era del “Gender swap” (perdonate l’orrido anglicismo), sulle sue piste finisce il raccoglitore di tostapane provenienti dal passato Tom Natsworthy (Robert Sheehan, si quello della serie tv “Misfits” e Umbrella accademy), basta una balaustra ballerina e una bugia di Hugo per capire chi sono i veri cattivi e che ci aspetta un film che in un attimo si trasforma in uno di quei film “Young adult” (perché la definizione “Per ragazzi” fa troppo periodo Giurassico) in cui la trama è piatta, i colpi di scena e la violenza addolciti e in generale, le idee sono poche.
Così poche che anche quella poche che potrebbe funzionare, sembrano fotocopie sbiadite, ad esempio sulle piste dei due protagonisti in fuga, viene sguinzagliato un cyborg inarrestabile con il compito di ucciderli, come dite? Vi ricorda la trama di Terminator? E nemmeno il fatto che il personaggio interpretato da Stephen Lang, si muova, parli e agisca come un Terminator dei meno abbienti, non aiuta di certo, nel film possono anche chiamarlo Shrike, ma più lo si guarda più mi sembra un terminator con le lucine verdi negli occhi.
In generale “Macchine mortali” è uno spreco di buonissimi effetti speciali, ma anche di tanto ottimi design di macchine e mezzi, il classico film dove sarà più interessante guardarsi i contenuti speciali del DVD allegato al Blu-Ray, dove m’immagino già un gran quantitativo di modellini e bozzetti così belli da far sbavare, al servizio di un film scritto con il pilota automatico.
Per darvi l’idea del disastro, una menzione speciale la merita Anne Fang (Jihae) la capa dei terroristi vestita come il cosplayer di Vash the Stampede, il tifone umanoide di “Trigun”, di cui basta vedere la taglia sulla testa, per capire che il personaggio diventerà un’alleata dei protagonisti in tre, due, uno… Dettaglio che puntualmente accade, ma solamente dopo essersi dovuti sorbire anche la scena in cui la tizia fa fuori due sgherri sparando loro in testa, ma tutto senza mostrare l’effetto degli spari, per il solito antico adagio della signora Lovejoy: I bambini! Perché nessuno pensa ai bambini! (cit.).
Ultima prima di andare, ma cosa è successo a Robert Sheehan? Ha lasciato la serie “Misfits” perché aveva mille mila progetti e cosa ha portato a casa oltre questo film? Una roba con Nicolas Cage e dei lupi posticci e il dimenticabile Mute, diciamo bene ma non benissimo ecco, considerando anche che il suo sostituito in “Misfits” Joseph Gilgun sta facendo sfaceli in Preacher. Come dite? “Umbrella academy”? Noooone! Non mi é piaciuta quella!
Insomma, ora mi piazzo davanti alla finestra ad aspettare l’arrivo del corriere dalla Nuova Zelanda, con la mia scatola di mattoncini, altrimenti un film come questo non ha davvero senso di esistere, Peter, Philippa, Fran voglio i miei LEGO… SUBITO!
Sepolto in precedenza lunedì 19 agosto 2019
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing