Quando si parla di film in uscita, ho un approccio molto semplice, aspetto il post del giovedì di Lisa e scelgo. Liscio come l’olio. Per quanto riguarda gli horror invece? Li guardo tutti e basta, sono un ragazzo dai gusti semplici. Figuriamoci poi quando mi trovo davanti ad un film dalla locandina incazzata intitolato “Malum”. Anche io che ho un livello base di lingue antiche tarato su “Yankee nei film che fanno finta di parlare latino”, il significato del titolo, bello dritto, lo capisco al volo.
Dopo il prologo in 4:3, con la setta, un po’ famiglia Manson un po’ culto di Jim Jones, realizzo che la regia del film è di Anthony DiBlasi, oh bentornato! Poi inizio a guardare il film e Tony stacca sull’agente di polizia, l’eroico Will Loren (Eric Olson), che ha salvato tre ragazze dal culto del malvagio beh, John Malum, capo della setta ma anche malvagio di turno, non solo perché ha la faccia da carogna di Chaney Morrow, ma perché di nome si chiama Giovanni Male. Bene ma non benissimo a livello di creatività, ma parliamo di DiBlasi, uno che è sempre stato un po’ carente da questo punto di vista.
Bisogna dire però che la vera conclusione del prologo del film funziona, perché lo sbirro Loren ha risentito della sua indagine di Malum e prima dei titoli di testa, ormai è passato al Lato Oscuro, prima di farsi saltare il cranio insieme a quello di un paio di colleghi.
Tempo dopo, nello stesso distretto dove ha lavorato (ed è morto) papà, prende servizio come volontaria sua figlia, l’agente di polizia Jessica Loren (Jessica Sula), il suo compito, piuttosto inutile va detto, quello che si assegna all’ultima arrivata, consiste nel presidiare da sola il distretto di polizia che domani mattina verrà chiuso e dismesso, in attesa che i ragazzi della scientifica passino a ritirare alcuni campioni di vecchie prove. Un lavoro di tutto riposo, libro, Sudoku, Candy Crush, YouPorn, in qualche modo te la fai passare, ma io so esattamente cosa state pensando, ho ben tre opzioni!
Opzione uno: con il cavoletto che Jessica potrà leggere il libro, fare il Sudoku, giocare a Candy Crush o vabbè, approfondire la sua conoscenza cinematografica, perché come minimo ciccieranno fuori i membri del culto. Opzione due: ma è tipo Distretto 13 del Maestro Giovanni Carpentiere, con meno Napoleon Wilson e più pazzoidi in odore di DIMONIO (quindi zolfo) che tormenteranno la protagonista. Opzione tre: minchia ma è la stessa identica trama di “Last Shift” (2014), diretto da pensate un po’? Anthony DiBlasi!
Di casi di registi tornati sul luogo del delitto è piena la storia del cinema, lo stesso Carpenter è tornato sui suoi assedi, come il suo Maestro Howard Hawks prima di lui ma potrei andare avanti per ore con gli esempi. Dopo essere arrivato ai titoli di coda di “Malum”, ho fatto quello che faccio sempre, mi sono messo a fare i compiti.
Cosa vi dicevo di DiBlasi? Bravino quando si impegna, ma carente nel reparto creatività, infatti in carriera ha firmato anche qualche titolo fetente, però nel 2014 ha mandato a segno un film che di Carpenteriana aveva la premessa e in parte, l’atmosfera piena di riuscite scene… BUUU! Che voglio dire, in un horror, brutto?
“Last Shift” aveva giustamente fatto parlare nel giro degli horror indie, funzionava, faceva benissimo il suo dovere e si è guadagnato tanti ammiratori, contate anche me, quindi curiosa scelta tornare sul tuo film più famoso e riuscito caro Anthony DiBlasi, facendo così hai messo in chiaro la questione sulla carenza sul lato creatività, ma va detto che questo “Last Shift 2.0”, funziona piuttosto bene.
Un po’ “auto-reboot” un po’ “reimagination” (a patto di averla l’immaginazione Tony), questo film è una “paraculation” che mantiene premessa, situazioni, atmosfera, barboni dalla vescica facile e apparizioni spaventose del film originale, però con un budget più adatto.
Va detto che forse “Last Shift” puntava più sull’effetto terrorizzante evocato da una giovane recluta, gettata in una situazione da incubo, tra apparizioni mostruose e pentacoli rovesciati. In “Malum” invece DiBlasi punta più su una lenta e inesorabile discesa nella follia, gestita con buona dose di spaventi e apparizioni eh? Ma forse un tantinello più raffinato (anche nel montaggio) del già gustoso fratellino quasi gemello del 2014.
Il buono di “Malum” (ah-ah) sta nel suo scoprire le carte poco alla volta, ci vogliono una ventina di minuti per entrare nel vivo e poi l’atmosfera e il mestiere di DiBlasi fanno il resto, infatti in questa versione ha ben più spazio il culto satanico del titolare. La protagonista, attraverso i filmati degli interrogatori, scoprirà qualcosa su Malum dando maggiore senso alla sua presenza nel distretto, aver potuto girare in un vero ufficio di polizia dismesso, risulta essere un’ottima aggiunta che il regista ha sfruttato in lungo e in largo, facendo valere il suo set.
Se amate i film che sanno raccontare la discesa nella follia, “Malum” ha tutte le cosine al suo posto, litrate di sangue comprese, anche se devo dirlo, capisco perché lo facciano, il sangue finto negli occhi brucia, ma ogni volta che vedo in un horror, la protagonista ricoperta di emoglobina da capo a piedi sì, ma tranne i due cerchi per salvaguardare gli occhi, penso alle ore al trucco e un po’ “esco” dal film.
Ma visto che parliamo di trucco, menzione speciale alle creature, ai mostri incappucciati che in “Last Shift” facevano bella mostra (o dovrei dire brutta?) di loro sulla locandina, ma qui sono di più, più sinistri. Per altro mettendo subito in chiaro perché per un bel po’ si è parlato di DiBlasi come regista di un nuovo Hellraiser, anche se ad esclusione di voi ed io, per quel ruolo, credo che abbiano nominato un po’ tutti.
Mettiamola così, non ho tanto capito il senso di rifare “Last Shift” nove anni dopo, se non nell’ottica di futuri nuovi capitoli, però abbiamo due film in odore di Carpenter che fanno paura, avete presente la paura? Quella data un po’ per scontata nei film Horror? Ecco qui la trovate, il che non è mai un male.
Ma se escludiamo le carenze alla voce “creatività” di DiBlasi, rifare il suo film più riuscito, quasi uguale, ma con alcune differenze comunque riuscite, potrebbe essere… Anche qui vi do tre opzioni. Opzione uno: un modo per compensare le sue carenze creative. Opzione due: una gran paraculata!
Opzione tre: con “Last Shift” Anthony DiBlasi ha corso un bel rischio, il film gli è venuto fuori bene, ma immaginate se lo avesse sbagliato? Con quel titolo? Groooooosso rischio perculata da parte dei detrattori dietro l’angolo. Meglio rifarlo e chiamarlo con un titolo livello “Yankee nei film che fanno finta di parlare latino”. Beh dai, magari per la terza versione del film riuscirà a trovare un titolo definitivo, dai Tonino, io credo in te!
Sepolto in precedenza giovedì 22 giugno 2023
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