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Mamma, ho perso l’aereo (1990): un classico per tutta la famiglia (senza la famiglia)

Alla Bara Volante abbiamo una tradizione da rispettare, il 24 dicembre è il giorno dedicato al classico di Natale che, in occasione dei suoi primi trent’anni, quest’anno non poteva che essere Mamma, ho perso l’aereo. Un film che viene trasmesso in televisione almeno una volta l’anno e quando non succede, comunque, molti corrono a rivederlo perché non può essere Natale senza Hans Gruber che cade dal palazzo della Nakatomi… No, scusate, ho sbagliato classico!

Mamma, ho perso l’aereo ormai è una tradizione, una giocosa rilettura di temi tipici del genere home invasion, appiccicata sopra due classici intramontabili del cinema americano: l’importanza della famiglia e la magia del Natale. Caramelle e trappolette, tarantole e battute mitiche, ognuno ha la sua frase preferita del film (la mia? «Ne avete avuto abbastanza o devo continuare?» anche se la mitica «Guarda cos’hai fatto, piccolo delinquente» ha sempre il suo fascino), considerando il quantitativo esagerato di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti spirati portati a casa dal film e la sua influenza sulla cultura popolare e su almeno un paio di generazioni, è innegabile che “Home alone” sia un Classido!

Togliamoci subito il sasso dalla scarpa: Mamma, ho perso l’aereo è un’invenzione tutta italiana, un titolo che mantiene quello che promette, ben più limpido negli intenti di una traduzione diretta “A casa da solo”, ma per tutto quello che avreste voluto sapere sull’adattamento di questo film (e non avete mai osato chiedere) vi rimando al completissimo post di Doppiaggi Italioti.

Il film che nessuno sente il bisogno di chiamare “Home Alone” (cit. Doppiaggi Italioti)

“Mamma, ho perso l’aereo” è stato l’ultimo grande successo commerciale, arrivato proprio all’inizio di un nuovo decennio, uscito dalla mente di un genietto che nella decade precedente aveva rivoluzionato la commedia americana per adolescenti, mi riferisco, ovviamente, al grande John Hughes, prolifico autore la cui capacità di scrivere è ancora oggi oggetto di svariate leggende metropolitane, pare, infatti, che abbia scritto il copione di “Una pazza giornata di vacanza” (1986) in soli sette giorni, anche se in questa storia un ruolo importante lo gioca anche il regista, Chris Columbus.

Cristoforo Columbus è l’uomo più in fissa con il Natale (ad Ovest di Shane Black), come sceneggiatore è responsabile della mitologia trilogia composta da GremlinsI Goonies e “Piramide di paura” (1985), ma la volontà di Columbus era quella di fare il grande salto, zompando fuori da sotto l’ala protettiva di Steven Spielberg, per diventare lui stesso un regista, infatti nulla mi toglie dalla testa che Joe Pesci (che si ritrova con una bella “M” arrostita sul palmo della mano) non sia un lascito di una scena analoga di Raiders, ma resta il fatto che i sogni di gloria di Columbus, si schiantarono contro la dura realtà della fossetta sul mento di Chevy Chase che sul set di “Un natale esplosivo” (1989), film scritto a quattro mani da Hughes e Columbus, fece vedere i sorci verdi al giovane sceneggiatore, a questo aggiungete il disastro al botteghino della sua prima regia “Heartbreak Hotel” (1988) e l’umore di Columbus in quel periodo era tutto tranne che pronto a festeggiare con gioia il Natale.

Si chiama Columbus, ma alla Pasqua preferisce di gran lunga il Natale.

Il regalo, però, gli arrivò proprio dal suo secondo mentore dopo Spielberg, anche qui, la leggenda narra che John Hughes nello stesso fine settimana abbia scritto due sceneggiature (eh!?), di cui una era quella di “Home alone”, il suo tentativo di sfornare un film con un bambino come protagonista, dopo tanti adolescenti. Davvero Hughes era così prolifico? Non ho un singolo dubbio nella mia vita e lungi da me provare anche solo ad instaurarlo, ma per “Home alone” è innegabile che la fantasia di Hughes sia stata aizzata da un piccolo film francese, Un minuto a mezzanotte che, come abbiamo visto, aveva già tutti gli elementi che hanno reso “Home alone” un successo, solo declinati in chiave molto meno hollywoodiana. Ovviamente, il successo è un bel colpo di spugna, forse lo spunto originale sarà anche stato Un minuto a mezzanotte (film che meriterebbe almeno una riscoperta), ma a portarlo al successo globale sono stati Hughes e Columbus.

L’ennesima conferma che i francesi, sono i veri americani del mondo.

A Columbus questa storia di Natale, ovviamente, piaceva moltissimo, Hughes tramite i suoi agganci contava di poterla far produrre alla Warner Bros. per una cifra tutto sommato modesta rispetto ai classici spacca botteghino degli anni ’80: dieci milioni di fogli verdi con sopra ritratti di ex presidenti defunti basteranno per un film così? Ve lo dico subito: non sarebbero bastati, ma andiamo per gradi.

«Mi dovete comunque 12 dollari per la pizza e non me ne andrò finché non li avrò avuti»

Nel tentativo di tenere bassi i costi e di stare lontano dai grandi studi cinematografici californiani, Hughes volle girare nella sua Chicago, anzi, per la precisione tutti gli esterni (compresa la facciata della monumentale casa dei McCallister) sono stati girati nel paesello di Winnetka, una ventina di chilometri a Nord di Chicago, problema: “Home alone” è la storia di un bambino solo dentro casa e quella scelta per la sua bellezza e il suo aspetto così natalizio, aveva comunque stanze troppo piccole per girare tutte le scene. Per ovviare al problema Columbus e la sua troupe di tecnici quasi tutti esordienti quanto lui, si trasferirono nella palestra di un campus universitario vicino a Winnetka, in cui vennero ricostruiti tutti gli interni dove il film è stato girato. Ve ne siete mai accorti guardando mille volte questo film? Magia del cinema!

Pensavate davvero che non avrei dedicato una didascalia ad MJ?

Qui lo scenografo John Muto ha potuto costruire un intero set tutto dominato da colori natalizi, magari non vi sarete mai accorti dei set creati ad arte, ma la casa dei McCallister è un enorme addobbo dominato da due colori: il rosso e il verde. Dai pigiami alle coperte, fino alle piastrelle della cucina ogni dettaglio in casa McCallister è stato realizzato ad arte per suggerire la festa di Natale direttamente a livello subliminale nelle cornee degli spettatori. Ora che lo sapete, non potrete più notare altro, garantito al limone.

Vi ho appena fatto un innesto natalizio nella mente (e Nolan… MUTO!)

Per gli attori la direttrice del casting suggerì Catherine O’Hara per il ruolo di mamma Kate McCallister, dopo averla ammirata in “Beetlejuice” (1988), mentre per i numerosi figli e nipoti della famiglia vennero passati in rassegna qualcosa come 200 giovani attori, perché comunque il film non aveva ancora un protagonista. Il mistero venne risolto da uno dei pretoriani di John Hughes, il leggendario comico John Candy che aveva già lavorato con Macaulay Culkin in “Io e zio Buck” (1989), ma visto che gli amici è meglio tenerseli vicini specialmente quando vuoi girare un grande film con pochi soldi, John Candy venne invitato sul set per il piccolo (ma esilarante ruolo) del re della Polka che corre in soccorso della signora McCallister, un ruolo che non solo Candy ha quasi del tutto improvvisato, creando così un precedente sul set perché fino al suo arrivo, tutti sapevano che le sceneggiature di John Hughes non andavano modificate nemmeno di un sillaba (storia vera), ma Candy ha recitato tutte le sue scene in una lunga giornata di vacanza lavoro di ventitre ore, per cui ha ricevuto un compenso simbolico, molto più basso del sosia di Mauro Repetto che nel film interpreta il fattorino delle pizze (storia vera).

«Un dollaro? Argh ballerà la Polka per ore» (quasi-cit.)

Con un John Candy schiavizzato, ma collaborativo e un Macaulay Culkin perfettamente a suo agio con un regista come Chris Columbus, uno che trattava i suoi attori come tali e non come bambini ritardati a cui spiegare le cose scandendo bene le parole come molti altri suoi colleghi (un dettaglio da cui il film ha tratto estremo vantaggio), il film andava a gonfie vele, anche se quello più capriccioso di tutti sul set era Joe Pesci che una volta ha anche preso per un orecchio il secondo assistente alla regia James Giovanetti colpevole di averlo chiamato al telefono alle sette del mattino, a quell’ora Pesci era sul campo da golf a farsi nove buche veloci, tutti sapevano che Pesci sarebbe arrivato sul set a partita finita alla nove in punto, tutti, tranne Giovanetti.

Lanciategli addosso qualunque oggetto, ma per favore non ditegli mai che lo trovate buffo!

Joe Pesci, per altro, è stato una sorta di rimpiazzo di lusso, il primo a rifiutare il ruolo del bandito Harry Lime fu il suo storico collega Robert De Niro (storia vera), uno che oggi ucciderebbe per un ruolo del genere, con il suo rifiuto ha dato campo libero al primo ruolo “pop” di Pesci, quello con cui ha fatto a cazzotti con le righe di dialogo scritte da Hughes e Columbus. Sì, perché dovete capire che Joe Pesci ogni copione non scritto da Scorsese che riceve, per farlo suo, non fa altro che riempire ogni dialogo di parolacce, una serie di Fuck Fuck Fuck come se avesse colpito il divano con il mignolino che, però, in un film per bambini, non poteva utilizzare, questo spiega perché interpreta il personaggio come un cartone animato, uno dei due banditi del rubinetto utilizza una stramba parlata per mimetizzare le parolacce ad ognuno dei (tanti!) colpi subiti.

Ma il peso di un divo come Joe Pesci ha influito anche sulla scelta dell’altro bandito, Daniel Roebuck, prima scelta per il ruolo di Marv Merchants, non aveva proprio chimica con Pesci che suggerì un altro Daniel: Daniel Stern con cui aveva già recitato in precedenza diventando molto amico e questa è la storia di come Daniel Stern ha ottenuto il ruolo più popolare della sua carriera!

Sono cresciuto guardando Aracnofobia, questa scena resta una passeggiata.

Malgrado i tentativi di tenere tutto in famiglia, il budget del film ha comunque sforato i dieci milioni, arrivando a toccare quasi i quindici, motivo per cui nella pausa delle riprese tra Natale e l’anno nuovo la Warner Bros. spense la luce al progetto e “Mamma, ho perso l’aereo” non uscì mai. Il Natale quest’anno è annullato gente, non abbiamo nessun classico di Natale da presentarvi il 2020 è stato un anno duro per tutt… Ehi, aspettate un momento, ma il film esiste e non è uscito per la Warner Bros, piuttosto è stato prodotto dalla 20th Century Fox. Com’è potuto accadere? Dopo aver fiutato il cattivo tempo, qualcuno (COFF coff John Hughes coff COFF!) ha fatto avere sotto banco alla Fox il copione del film, sottoscrivendo il tacito accordo che in caso di passo indietro della Warner, a produrre il film per la nuova cifra sarebbe stata la Fox, quindi letteralmente nello stesso giorno, Columbus e i suoi tecnici hanno cambiato capo, senza smettere mai di lavorare (storia vera).

Sono l’unico che quando guarda Kevin vede Howard e viceversa?

Le difficoltà più grosse sono state avere una nevicata per la scena finale, sostituita in parte da fiocchi di patate che, però, dopo poche ore all’aria aperta marcivano (bleah!) e trovare un compositore che piacesse a Columbus che a montaggio terminato proprio non amava le musiche del film, quindi memore (è il nome mio, folletto sono io) del suo primo mentore Spielberg, scherzando disse: «E se chiedessimo a John Williams?». Il problema (che non è tale considerando il risultato finale) è che il leggendario John Williams accettò sul serio! Il risultato finale è una colonna sonora incredibile che riassume quello che Columbus voleva: la magia del Natale e il calore di un film sulla famiglia. Ma, se devo essere onesto, il vero capolavoro di Williams in questo film è la straordinaria “Carol of the bell” un pezzo che, durante le mie bimbo-visioni del film, pensavo fosse una famosa opera lirica quando, invece, è un bravo originale che unisce alla perfezione il momento più intimo del film (Kevin che in chiesa conosce e supera la sua paura per “l’assassino della pala” con un dialogo fin troppo maturo per un bambino della sua età), alla successiva preparazione per la battaglia dell’uomo di casa, pronto a proteggere il fortino.

«Non ti sembra un po’ posticcio questo dialogo?», «Che ti frega ci penserà John Williams a pulire tutto con la sua colonna sonora»

Devo davvero raccontarvi la trama di “Mamma, ho perso l’aereo”? Andiamo, lo abbiamo visto tutti così tante volte da poterlo recitare, non credo nemmeno sia necessario parlare delle vere e tante urla sul set, perché è la domanda che viene fatta più spesso agli attori (a partire da Daniel Stern) che da trent’anni raccontano mille versioni della scena dell’iconico urlo e del ragno sulla faccia, ma d’altra parte parliamo di un film in cui proprio un urlo è la sua scena più iconica, il primo approccio con il dopobarba è un momento chiave nella vita di un ragazzo, Macaulay Culkin con la sua prova lo ha reso uno dei momenti impressi nella cultura popolare.

Fun fact: Macaulay Culkin avrebbe dovuto “schiaffeggiarsi” come si fa con il dopobarba, ma non avendolo mai usato in vita sua ha appoggiato le mani sul viso, nella sua personale versione dell’urlo di Munch.

Quello che m’interessa sottolineare è quanto la trama di “Mamma, ho perso l’aereo” sia totalmente irrealistica, Hughes e Columbus si sono impegnati ad eliminare dall’equazione il telefono di casa McCallister, ma non è proprio probabile che un bambino venga lasciato a casa da solo a queste condizioni, andiamo, al check-in nessuno ha controllato i biglietti e il numero di viaggiatori? Capisco la fretta, ma anche nel 1990 per prendere un aereo un minimo di controlli esistevano, quindi questo film non va affrontato dal punto di vista degli adulti, perché la storia semplicemente non reggerebbe, ricordiamoci che Hughes l’ha scritta in un fine settimana mentre guardava Un minuto a mezzanotte, non potete sperare che fosse anche solida.

La verità… Brucia!

“Mamma, ho perso l’aereo” funziona ancora dopo trent’anni perché è tutto a dimensione di bambino, gli adulti nel film sono la sagra dell’asineria, anche quelli che sembrano più con la testa sulle spalle come la signora McCallister, in realtà, sono degli irresponsabili senza possibilità di recupero, non appena messo piede nell’aeroporto a Parigi strappa di mano il telefono ad una povera signora francese, inoltre il suo faticoso viaggio di ritorno a casa le consente comunque di tornare a Chicago solo pochi minuti prima del resto della famiglia che, invece, ha comodamente aspettato il primo volo per il ritorno.

Chi ha detto che non si possono “sentire” le immagini?

No, “Mamma, ho perso l’aereo” è la storia di un ragazzino che, per esigenze di trama, deve restare completamente solo con lo spettrale “uomo della pala” e il suo sale che trasforma i corpi in mummie, un grosso ragno che si aggira per casa e i due banditi del rubinetto, un natalizio romanzo di formazione in cui Kevin McCallister prima si dà alla pazza gioia («Ehi, sto mangiando schifezze e guardo un film da grandi venite a impedirmelo!»), poi, però, deve affrontare tutte le sue paure, dallo scantinato al solitario uomo della pala che una volta conosciuto, non fa così tanta paura.

Il film finto che avremmo tutti voluto vedere (ancora la miglior regia di Columbus)

A rendere mitico il film sono le trovate che funzionano proprio perché Chris Columbus, l’uomo in fissa durissima con il Natale, ha saputo trovare il modo di sospendere l’incredulità quel tanto che basta da far funzionare alla grande le trovate di Kevin, le sue trappole a trappoline sono diventate un giocoso modello di “Home invasion”, con cui tutto il genere deve fare i conti, anche quando applica un registro serio all’invasione. Basta dire che i colpi e le mazzate subite dai due ladri del rubinetto, saranno volutamente girate per risultare dei colpi da cartone animato, ma sono anche colpi letali! Dal 1990 uno stuntman che cade di peso sulla schiena dopo un volo, in gergo di dice che fa un “Home alone”, giusto per ribadire quanto questo film sia entrato a più livelli nella cultura popolare e nella storia del cinema.

Nessun Joe Pesci è stato ferito durante la realizzazione di questo film (ma la sua controfigura si!)

Il primo film dopo Guerre Stellari ed E.T. a superare i 200 milioni di dollari di incasso al botteghino, un record che nessuna commedia aveva toccato e non avrebbe mai più fatto, almeno fino all’uscita di “Una notte da leoni” (2009). Macaulay Culkin da allora non si è mai più ripreso travolto da un successo senza precedenti è rimasto per sempre intrappolato in una goccia d’ambra, il seguito avrà anche incassato, ma non ha smosso le acque per nulla, anzi, lo considero uno dei film meno riusciti di sempre, non solo perché modifica (di poco) l’assunto iniziale del film nel tentativo di replicarlo identico, però a New York, il significato di tutta la pellicola cambia nettamente in peggio, inoltre volete un commento al volo anche del secondo capitolo, eccolo: uguale al primo, ma con Trump. Avete memoria di qualcosa, qualunque cosa, che è migliorata aggiungendo Donald Trump? Io no.

Quello che non è cambiato, invece, è l’importanza di “Mamma, ho perso l’aereo” nella storia del cinema, un film nato da uno spunto poco originale, con una trama ancora meno credibile e un budget ballerino che ha, comunque, saputo creare quintali di iconografia diventando quello che Columbus sognava di dirigere: un classico di Natale. Quindi, con questo classico faccio gli auguri a tutti quanti voi, anzi per dirla meglio… Tieni il resto lurido bastardo!

Buon Natale a tutti!

Se avete voglia di un altro titolo di Natale, passare a fare gli auguri a SamSimon che oggi ci parlerà di “The Family Man” e al Moz che oggi affronta anche lui i banditi del rubinetto.

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