Oddio il film nuovo di Fede Alvarez! Mamma mia sono tutto in fregola per il nuovo film di Fede Alvarez! Hey, frena la mula, Fede Alvarez, dove ci siamo già visti io e te?
Ah, già! Il remake de “La casa” (Evil Dead) uscito nel 2013, ora so che la responsabilità di rifare un classico del cinema horror come il film originale di Sam Raimi, non deve essere un lavoro semplice, reso ancora più complicato dal fatto che a produrlo è la Ghost House Pictures, di proprietà proprio di Raimi. Fede Alvarez scelto per l’impresa ha dimostrato due cose: la prima, di essere un regista capace, uno da tenere d’occhio, aprite pure il vocabolario alla voce “Talento”. La seconda è leggermente meno positiva: proprio con il remake di Evil Dead Alvarez ha anche dimostrato di essere molto bravo ad inchinarsi alle esigenze della produzione, qui più che il vocabolario bisognerebbe consultare il Kamasutra.
Ho trovato il remake de “La casa” un film squilibrato nel senso peggiore del termine, coraggioso nel tentare di stare in piedi con le sue gambe, ma senza una direzione precisa, l’idea del gruppo di amici che portano la loro amicona in un capanno nel bosco per aiutarla a disintossicarsi dalla droga era una buona promessa, per un film paranoico, in cui se la ragazza vede cose strambe, è solo perché è tudafatta e ripiena di droCa.
Alvarez molla subito la strada del film paranoico (incapacità di gestirlo? Nessun interesse nel farlo? Chissà) per mandare a segno almeno un paio di scene sanguigne e sanguinose davvero ben fatte, il vocabolario alla voce “Talento” di cui sopra. Salvo poi farsi pavido nel finale, evidentemente qualcuno si è preoccupato del fatto che questa nuova casa, non somigliasse troppo alla vecchia casa e nel finale avranno pensato: “Mettiamo dentro della robe alla Ash”. Risultato: spunta una motosega, sangue a fiotti e la protagonista che, molto poco convinta, snocciola qualche punch line presa in prestito al più celebre personaggio di Bruce Campbell. Un finale stonato, evidentemente imposto e ben accettato da Alvarez, forse un passaggio obbligato per lui, per entrare a far parte del giro che conta. Per chiudere il discorso sul remake, che come avrete intuito non è proprio tra i miei film preferiti, posso solo ringraziare che abbiano almeno avuto il buongusto di non prendere un poveretto e dirgli: “Sai che c’è? Tu ora devi interpretare il nuovo Ash Williams. Buona notte e buona fortuna”.
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Fede Alvarez ricorda con piacere l’esperienza di Evil Dead (notare la faccia). |
Quando ho scoperto che Alvarez aveva diretto un secondo film, di genere completamente diverso, mi sono detto: “Dai Fede! Facci vedere cosa sei capace di fare libero da imposizioni, prendi i soldi della Ghost House Pictures e fai il tuo film!”. Infatti, il nostro Alvarez abbandona lo splatter del suo primo film su commissione optando per un genere tutto diverso: l’home invasion. Com’è andata? Peggio che andar di notte!
A Detroit tre amici campano di furti e furtarelli nelle case dei ricchi, un bel giorno (si fa per dire, visto che agiscono di notte) pensano di prendere di mira un veterano della guerra del golfo rimasto cieco per una ferita riportata in azione, l’uomo, inoltre, ha incassato un grosso risarcimento a molti zeri dopo l’incidente che ha tolto la vita a sua figlia, più avanti nel film scopriremo che il non vedente si chiama Norman Nordstrom, ma vista la sua storia Fortunato, sarebbe stato il nome più adatto.
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«Ragà non ci vede una mazza qui dentro, ma chi ci vive un cieco?!» |
Ruba i soldi al cieco e scappa in California, cosa può andare storto? Tutto, a partire dal lavoro dei titolisti italiani, che, beccami gallina, un loro colpo di genio non lo negano a nessuno, titolo originale? “Don’t Breathe” che volendo ricorda anche un episodio del Doctor Who, in questo strambo Paese a forma di scarpa, perché non tradurlo con un titolo sempre in Inglese, ma molto meno incisivo come “Man in the dark”? Seguono applausi per l’ottima scelta.
“Don’t Breathe” o “Man in the Dark” non brilla certo per originalità, soltanto quest’anno ho già visto almeno due home invasion che prevedevano personaggi con un handicap fisico, come la protagonista sorda di Hush di Mike Flanagan, o ancora meglio, quella agorafobica di Intruders, un film che ha molto in comune con quello di Alvarez anche per il ribaltamento di fronte tra invasori e invasi, tra vittima e carnefice, insomma: visto che non puoi contare sull’originalità, almeno manda a segno una messa in scena impeccabile, no? Ecco, qui cominciano i guai veri del film.
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I nostre tre fresconi, ehm protagonisti! volevo dire protagonisti. |
Iniziamo dai protagonisti. Rocky (la bionda Jane Levy, bel nome però!) è giovane e carina, anche se vive con la sua detestabile madre e il suo ancora più odioso nuovo fidanzato, il tempo libero lo passa a fare da madre a sua sorella minore, sognando la California come i Dik Dik e il gruzzolo necessario per raggiungerla. Non manca nemmeno il trauma infantile sul bagagliaio della macchina e la coccinella che sa tanto di METAFORONE, ma bisogna ribadire che la mamma di Rocky è cattiva, no?
Il fidanzato della ragazza si chiama Money (Daniel Zovatto, visto in It Follows), è quello che cerca i bersagli da rapinare, uno che non si fa troppe remore morali per di mettere la mani sul malloppone, d’altra parte con il nome che si ritrova.
Ultimo, Alex (il Dylan Minnette di Piccoli brividi): occhi a forma di cuore per Rocky, ma incastrato in piena “Friend zone” come dicono i giovani, mezza riga di dialogo di lui ci dice che lascerebbe la devastata Detroit, ma beh, suo padre è ancora qui. Sulla base di queste informazioni che vi ho dato, provate ad indovinare chi muore per primo, chi si salva e chi arriva (se lo fa) alla fine del film. Se avete visto più di due film in vita vostra indovinate facile al primo colpo.
Il proprietario di casa è interpretato da Stephen Lang, che recita con i bicipiti la canotta e il suo Rottweiler (tenetemi l’icona aperta sul cagnone che più avanti ripasso…), l’attore di “Avatar” e “Nemico Pubblico” sembra riprendere il suo ruolo il suo stesso ruolo in “White Irish Drinkers”, film che avremo visto in due in cui Lang era minaccioso uguale.
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«Uhm che alitino, cosa ti hanno dato come pappa? Acciughe marinate?» |
“Man in the Dark” snocciola motivazioni decenti per i suoi tre protagonisti, spiegandoci in modo logico perché dobbiamo fare il tifo per questi ragazzotti, anche se di mestiere rubano nelle case altrui, il cattivo sarà anche cieco, ma è un cristone tutto muscoli con esperienza militare e un’ossessione per la figlia morta, insomma: sarà pure in odore di disturbo post traumatico da stress (il modo gentile per dire che è fuori come un geranio), ma barricato nella sua casa, armato fino ai denti e con le luci spente che costringono anche chi ci vede a muoversi a tentoni, non è più lui quello in pericolo.
A questo aggiungete la location di Detroit, un posto in cui è del tutto credibile che se esci in strada gridando aiuto, nessuno verrà in tuo soccorso, oppure dov’è tranquillamente possibile trascinare corpi sanguinanti in mezzo al vialetto dell’area residenziale (scena di apertura del film). La città dei motori era un posto pericoloso già prima della crisi economica, ora ha davvero preso le sembianze della città dove si aggirava Robocop e recentemente al cinema più di un film ha deciso di sceglierla come scarsamente popolata location.
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«Ok giuro che la smetto con le battute su Andrea Bocelli!» |
Ora, dovrei dirvi che quando le luci si spengono e i protagonisti sono costretti a non fare rumore per non essere beccati da Stephen Lang, il nostro Fede Alvarez ha saputo tenermi incollato allo schermo, purtroppo devo dire che tutta la parte centrale del film, che poi è quella in cui la storia dovrebbe entrare nel vivo dell’azione, mi ha parecchio annoiato. Ma Alvarez ha saputo fare di peggio, perché la cosa che azzoppa davvero “Man in the dark” è il modo in cui il regista depotenzia ogni colpo di scena e invece di creare tensione, oppure orrore, sembra più preoccupato ad attenuare le mazzate sui denti che la storia dovrebbe dare al pubblico, come se non volesse turbare nessuno dei suoi spettatori, il che per uno che dirige Horror non è proprio il massimo.
Ad un certo punto della storia, arriva un colpo di scena che mette in chiaro che gli invasori domiciliari sono finiti a fare la parte del topo, purtroppo per spiegarvi il modo in cui Fede Alvarez si spara in un piede da solo, mi tocca descrivere alcune scene, cercherò di restare sul vago, ma comunque SPOILER!!!
Stephen Lang colpisce in testa Alex e il primo pensiero che coglie lo spettatore è: “Ok, kaput, abbiamo perso uno dei protagonisti”. Se, invece, non siete propriamente dei novellini, capirete che il personaggio in questione non è morto davvero e tornerà in azione per fermare il cattivo quando la trama lo richiederà, cosa che puntualmente accade, ma nel frattempo il colpo di scena è già bruciato, lo spettatore nella sua testa inizia già a pensare al resto del film, senza Alex sulla scacchiera. Quando poi Lang uccide (questa volta davvero) il ragazzo, la sensazione è: “Ah ok, questa volta è morto sul serio” con lo stesso trasporto con cui si dice “Mi puoi passare il sale”, il che per un film che dovrebbe farci tifare per i protagonisti è un errore mortale, anche perché la morte di Alex avviene fuori capo, non mostrata, vuoi mica che qualcuno si spaventi guardando un film dell’orrore?
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«Oddio una cosa orribile che per fortuna il pubblico non vedrà mai!» |
Alvarez fa lo stesso errore banale anche con IL colpo di scena del film, quando il ciecato ci spiega le sue motivazioni e minaccia di inseminare la bionda Rocky per mettere al mondo un’altra figlia di cui prendersi cura, Alvarez s’inventa la trovata (al limite del ridicolo) dell’inseminazione artificiale fatta in casa, raffazzonata alla bene e meglio pur di non dirigere qualcosa che fa paura davvero, tipo uno stupro. FINE DELLO SPOILER!
Ma io dico, caro il mio Alvarez, ma perché dirigi dei film Horror se poi fai di tutto per non spaventare lo spettatore? In soldoni, le uniche scene un po’ riuscite di questo film sono quelle in cui Lang sguinzaglia il suo Rottweiler all’inseguimento dei protagonisti (ecco l’icona che avevo lasciato aperta che torna di moda), cosa che, per altro, non è nemmeno originale. Il Rottweiler che corre dietro ai protagonisti, inseguendoli nelle intercapedini della casa lo aveva già fatto Wes Craven nel 1991 quando ha diretto La casa nera (The People Under the Stairs), oh, ma Alvarez? Ti sei messo in testa di fare il remake di tutti gli Horror con la parola “Casa” nel titolo italiano? No, perché avrai parecchio da lavorare allora!
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«Cucciolone cosa ti ha dato da mangiare lo Zio Wes?» |
Lo scontro a distanza ravvicinata in abitacolo tra Rocky e il Rottweiler (no, non è la trama di “Rocky VIII”) è anche ben diretta, motivo per cui Alvarez mi fa incazzare e nemmeno con questo suo secondo film è riuscito a convincermi, non gli manca il talento, ma dalle mie parti si dice sei più furbo che bello, detto che si adatta al nostro Alvarez. Mi toccherà aspettare il tuo terzo film per vedere se sei davvero bravo o solamente un bluff, adesso ho capito perché i tuoi genitori ti hanno chiamato Fede, con te c’è ne vuole parecchia!