No, ma sul serio siamo già all’ultimo film? Lo so che lo dico sempre, ma questa volta più che mai questo omaggio a Cronenberg mi è volato via, ma non perdiamoci d’animo, c’è ancora l’ultimo capitolo della rubrica… Il mio secondo Canadese preferito!
Ci sono registi che restano fossilizzati in eterno, continuando a ripetere, o cercando di farlo, quello che il pubblico si aspetta da loro, non che ci sia nulla di male, ma ormai dopo tutti i capitoli di questo omaggio, dovrebbe essere chiaro che David Cronenberg, fa ogni cosa a modo suo. L’andamento della sua carriera è unico, non so in quanti avrebbero avuto il coraggio di abbandonare una cifra stilistica così marcata come quella del body horror, per portare il suo cinema in nuove direzioni.
Ho ripetuto questa frase in ogni capitolo di questa rubrica, ormai è diventata un mantra, ma lasciatemela ripetere ancora, perché ne sono profondamente convinto. Il virus sparso nel mondo con Il demone sotto la pelle si è lentamente evoluto, rivoltando carni prima esternamente, poi interiormente ed ora il virus del cinema di David Cronenberg ha vinto, tanto da essere ormai completamente radicato. “Maps to the Stars” è l’ultima fase dell’infezione, l’ultima prova della soffocante continuità tematica di David Cronenberg. Ok, ho usato la frase anche oggi! Ora potete tirare un sospiro di sollievo, non mi sentirete più usarla! Ma se volete potete prenotarvi una delle magliette su cui la farò stampare.
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Mentre aspettate le t-shirt, beccatevi gli ultimi titoli di testa, ormai sono una tradizione. |
“Maps to the Stars” lascia storditi, la storia in sé si lascia seguire, a volte anche solo per capire dove vuole andare a parare e pare davvero che in questo melodramma fatto di scandali al sole della California, il grande assente sia Cronenberg che, in realtà, questo progetto lo ha inseguito per dieci anni, cercando tutti i modi per portare al cinema la sceneggiatura del romanziere Bruce Wagner (storia vera).
Inizialmente gli attori coinvolti avrebbero dovuto essere Rachel Weisz e il solito Viggo Mortensen, ma dopo il rifiuto di entrambi, impegnati su altri set, il film ha rischiato di non vedere mai la luce, incredibile, ma vero, come se ci trovassimo all’interno della storia stessa, sapete perché i produttori si sono convinti? Perché a bordo Cronenberg ha fatto salire Robert Pattinson, notizia che avrà fatto venire gli occhi a forma di dollaro ai produttori. Poi ditemi se non è un caso di arte che imita la vita e che, a sua volta, imita l’arte.
La struttura di “Maps to the Stars” è estremamente classica, anche nella regia, di fatto questo è un altro melodramma di Cronenberg, specializzato in storie di questo tipo, la coerenza del mio secondo Canadese preferito sta nel fatto che tutti i protagonisti di questa sgorbia storia, sono già infetti da tempo, la mutazione in loro è già avvenuta, ormai siamo ad una fase in cui il virus della mutazione è diventato la normalità, ogni personaggio risulta marcio fino al midollo, anche le mutazioni e le deformità fisiche, come le ustioni sul viso di Agatha Weiss (un azzeccata Mia Wasikowska, la ex Alice di Tim Burton) non sollevano più domande, al massimo vengono scambiate come succede nel film, per trucco prostetico di scena. Secondo voi, dove può accadere che tanta decadenza e marciume sia considerato perfettamente normale? Facile, ad Hollywood!
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Alice Agatha nel paese delle meraviglie di Hollywood. |
Dopo aver dovuto ricreare il nord Africa in uno studio canadese ed essere stato a Vienna, per la prima volta Davide Birra sbarca negli Stati Uniti, per girare il suo primo film nella terra della torta di mele, verrebbe quasi da citare la frase del Freud di Viggo Mortensen: secondo voi lo sapevano che Cronenberg stava portando loro la peste?
Agatha Weiss arriva a Los Angeles su un bus come il cliché di tante aspiranti attrici richiede, ma i suoi piani sono ben diversi e qui ad accoglierla trova il classico sottoprodotto dell’industria del cinema, perché per emergere nella città del cinema sono tutti “barra”, come Jerome Fontana che è un aspirante attore “barra” aspirante sceneggiatore “barra” per ora autista ed è chiara l’ironia di Cronenberg, nel chiamare nuovamente Robert Pattinson, affidargli un ruolo minore, farsi produrre il film e poi tenerlo per tutto il tempo nuovamente dentro una limousine, proprio come in Cosmopolis. Diavolo di un Dave!
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Solo che è stato degradato da passeggero ad autista di Limousine. |
Agatha ha una famiglia molto incasinata, suo padre John Cusack (che secondo me prende soldi dall’industria delle sigarette elettroniche, visto che nei suoi film le utilizza sempre) è uno psicologo televisivo molto in voga anche se somiglia più ad un ciarlatano. Sua madre Olivia Williams, invece, si dedica a tempo pieno a rilanciare la carriera dell’altro figlio, il fratello minore di Agatha, Benjie Weiss (Evan Bird) che è l’equivalente cinematografico di quello stronzetto di Justin Bieber, al netto di un solo successo cinematografico, la commedia “Bad Babysitter”, il biondino ha già una lunga carriera di droga alcool e riabilitazione, quattordici anni vissuti pericolosamente e già quasi troppo vecchio per Hollywood.
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Il principale azionista dell’industria delle sigarette elettroniche. |
Agatha, però è ossessionata dal film “Acque rubate”, tanto che ne ripetete una delle frasi chiave ossessivamente e finirà presto a lavorare per l’unica persona nella Città degli Angeli che ci è andata ancora più sotto di lei con quel film, ovvero l’attrice Havana Segrand (una Julianne Moore da applausi), lei decisamente troppo vecchia per Hollywood e decisa a conquistarsi il ruolo di protagonista nel remake in cantiere di “Acque rubate”, il film che ha reso famosa sua madre Clarice Taggart (interpretata da Sarah Gadon, al terzo film in fila di in fila con Cronenberg).
Ad una prima occhiata, il tema ricorrente di tutto il film è fuoco e acqua. Il fuoco che ha bruciato Agatha, dove la madre di Havana ha trovato la morte e anche quello orribile (ma davvero orribile in pessima CGI) protagonista di una delle scene più drammatiche nel finale, una scena che qualcuno più snob di me potrebbe cercare di giustificare dicendo che è Cronenberg che si prende gioco della moderna Hollywood e della sua ossessione per la computer grafica, utilizzandone di orribile nel suo film, io, invece, mi sento più a mio agio a dirvi che quel fuoco posticcio è inguardabile ed è il secondo film in fila con John Cusack in cui mi capita di vedere delle fiammelle finte da fare tenerezza, quindi secondo me è lui che porta sfiga, sarà che da ex fumatore non vuole più avere accendini a portata di mano?
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Solo a me ricorda un video dei Manic street preachers? |
L’Acqua, invece, è quella della vasca da cui emerge la visione di Sarah Gadon, lo spettro della madre di Havana che perseguita l’attrice, oppure l’acqua dove affoga il bimbetto biondino figlio della rivale per la parte di Havana, in quello che sembra una rivisitazione delle piscine con i cadaveri a mollo di “Viale del tramonto” (1950) di Billy Wilder, che è chiaramente uno dei titoli di riferimento per questo film e quando si parla di celebrità di Hollywood in generale.
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«Vedo la gente morta» (Cit.) |
Ma la verità è che se guardate bene, il marciume e lo stato avanzato, ormai irrecuperabile dell’infezione del virus Cronenberghiano è quello che domina tutto il film, ogni personaggio è a suo modo disgustoso, lo è Benjie Weiss nel suo disprezzo contro tutto e tutti che arriva ad uccidere un bambino, solo perché nella sua ossessione indotta dalla droga, pensa che gli stia fregando le battute migliori del film, a guardarlo sembra uno dei bambini di Brood, solo un po’ cresciuto, ossigenato e pronto per essere masticato dall’industria del cinema.
Un personaggio in preda alle allucinazioni dovute alle flessioni della sua mente è un classico di Cronenberg, così come il fatto che quando i suoi personaggi maneggiano una pistola, qualcosa di tremendo sta per accadere, ho visto il film alla sua uscita e me lo sono riguardato per questa rubrica, devo dire che la scena del cane mi ha colpito in faccia come uno schiaffo, sarà perché non sopporto la violenza sugli animali? Forse, o magari perché Cronenberg infrangendo uno dei tanti tabù Hollywoodiani (tu non ucciderai un cane in un tuo film!), ci vuole dire che da spettatori, ci disperiamo più per il cucciolone morto, che per il destino dei protagonisti del film che con i loro comportamenti sono davvero imperdonabili… Diavolo di un David l’ho già detto?
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Appoggia il ferro bimbo, mai scherzare con le pistole in un film di Cronenberg. |
Anche perché come fai a provare empatia per una come Havana che alla morte del figlio della rivale, esulta cantando quella che per gli Americani è LA canzone della vittoria (“Na Na Hey Hey Kiss Him Good Bye” degli Steam, la preferita dei palazzetti sportivi USA)? Una delle tante scene gelide che l’occhio da anatomopatologo di Cronenberg ci regala.
Come detto, tutti i personaggi di questa storia sono marci fino al midollo, dicono e fanno cose schifose, i dialoghi scatologici ruotano intorno a fan esaltate pronte a pagare bei soldi per la merda del loro divo del cuore (eh ma che schifo!) e tanto di cappello alla bravissima Julianne Moore, voglio vedere quante attrici ad Hollywood sarebbero pronte a recitare una scena seduta sul cesso, mentre produce rumori degni del miglior Alvaro Vitali. Nella gara delle attrici per mostrarsi eteree, la Moore vince tutto entrando a gamba tesa con un personaggio trucidissimo che potrebbe mettere fine a molte carriere, mentre lei ha saputo sfruttare alla grande, ennesima dimostrazione della capacità di Cronenberg di saper tirare fuori il meglio dai suoi attori.
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«Ho davvero troppo mal di testa per mettermi a fare la diva» |
Voi direte: “Ma l’altro tema caro a Davide Birra, il sesso, dov’è in questo film?”. Non manca nemmeno questa volta, non tanto l’atto vero e proprio, comunque presente (citofonare la solita Havana), quanto gli effetti e le mutazioni che il sesso nei film di Cronenberg comporta. Ad un certo punto, Agatha dice che l’incesto in una trama è una trovata così anni ’80, sembra quasi una battuta interna al film stesso, visto che l’incesto è il tema che serpeggia e che unisce tutti i personaggi.
Agatha che ripete il rito di “sposare” suo fratello Benjie, è il suo modo per esorcizzare la rivelazione sui suoi genitori (in realtà, fratello e sorella) e allo stesso modo Havana vive un rapporto non proprio sano con sua madre, una specie d’incesto che Cronenberg ci suggerisce in maniera quasi subliminale.
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Ecco, giusto due foto a caso per supportare la tesi. |
La Hollywood moderna che, in qualche modo, continua ad essere fisicamente attratta dalla vecchia Hollywood (quanti remake avete visto negli ultimi mesi?), è qui ben rappresentata da Havana e sua madre e proprio il personaggio di Julianne Moore che fingendo di aver superato la delusione per il ruolo materno non assegnato, dice che risolverà i suoi problemi in terapia, invece che al cinema.
Ma dove il riferimento diventa palese è quando entra in scena Carrie Fisher, nei panni di… Carrie Fisher. Ecco, se volete un film per ricordare l’attrice da poco scomparsa, questo è ideale, non poteva esserci scelta di casting più adatta per un’attrice che ha sempre incarnato pregi e difetti di Hollywood, la Fisher in vita sua non le ha mai mandate a dire, quindi è davvero perfetta (Diavolo di un David! Terzo ed ultimo estratto), quando ad Havana dice che ogni figlia dovrebbe avere l’opportunità di interpretare il ruolo di sua madre, la mente vola subito a Debbie Reynolds che anche lei ci ha purtroppo salutato da poco, per altro il giorno dopo la scomparsa della figlia, ve la ricordate la frase lassù dell’arte che imita la vita e tutto il resto, ecco appunto.
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I ruoli in cui Carrie Fisher è stata davvero se stessa? Questo e l’ironico cameo in Scream 3. |
Nella parte centrale del film, assistiamo solo alle vicende dei protagonisti, quasi come se Cronenberg li lasciasse in balia di loro stessi, salvo poi riprenderli in quel finale, nerissimo e melodrammatico, le uniche stelle che vedrete ad Hollywood le troverete in cielo, nessuna “Mappa dei vip” vi servirà davvero, qui ormai è tutto infetto.
Superato lo straniamento iniziale e digerito l’orrendo fuoco posticcio in CGI, “Maps to the Stars” è un lavoro pienamente Cronenberghiano, che ha forse come vero difetto di essere arrivato dopo altri film sulla corruzione di Hollywood più efficaci, tipo “Mulholland Drive” (2001) di David Lynch, ad esempio, eppure è un punto di arrivo per il cinema di Cronenberg notevole, un’ideale chiusura del cerchio, i ricconi laidi ed infetti non sono chiusi all’interno del loro lussuoso palazzo come ne Il demone sotto la pelle, ma sono le star più pagate di Hollywood, una volta scappavamo da loro, ora sogniamo di imitarli. Il virus ha vinto, l’infezione è completa.
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We don’t need no water let the motherfucker burn, burn motherfucker burn… (Cit.) |
L’anno scorso David Cronenberg ha dichiarato che potrebbe ritirarsi dalla scene, detta fuori dai denti: prima di lui mi vengono in mente altri trentadue nomi che meriterebbero la pensione. La mia speranza, ovviamente, è quella di vedere altri film firmati dal mio secondo Canadese preferito, ma “Maps to the Stars” forse più del suo effettivo valore, funziona anche come punto di arrivo quasi ideale, di una lunga e coerente carriera, per ora, a terminare è solo questa rubrica, per quello che conta, io mi sono divertito un sacco, spero sia stato così anche per voi.
In attesa di un nuovo Cronenberg, vi saluto, ricordatevi di controllare che non ci siano estranei nella vostra telecapsula, di dubitare di quello che vedete e, come sempre: gloria e vita alla nuova carne!