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Marnie (1964): l’ultimo grande film di Hitchcock

Avevo ancora un grande compleanno Hitchcockiano prima di concludere il 2024, infatti oggi parliamo di un film che amo molto, forse uno dei più sfortunati e bistrattati di tutta la notevole filmografia di cui fa parte, lo stesso Hitch che a modo suo era piuttosto vanesio, allo stesso tempo giudicava la sua produzione con grande lucidità, anzi, dal mio punto di vista con “Marnie” è stato fin troppo modesto.

Visto che non si può analizzare il lavoro del grande Maestro britannico senza passare dalle parole dell’altro grande Maestro, quello francese, François Truffaut ha definito “Marnie” un grande film malato, come al solito il mio francese preferito è andato dritto al punto. Tratto dall’omonimo romanzo di Winston Graham del 1961, “Marnie” è stato un adattamento vessato da una serie di problemi interni ed esterni, per la sceneggiatura Hitch voleva una scrittrice donna, in modo da dare risalto al punto di vista femminile, per avere Jay Presson Allen il Maestro del brivido rinuncio ai suoi soliti collaboratori, ma in ogni caso i 130 minuti del film non sono abbastanza, molte porzioni importanti del romanzo sono rimaste fuori dall’adattamento, come ad esempio le sessioni dallo psicologo a cui la protagonista accetta di partecipare per assecondare il marito, qui si riassumono in una scena solo senza abbastanza respiro, ma fosse stato solo il minutaggio la pietra legata al collo di “Marnie”.

Non è tanto diverso da come mi immagino le sessioni di scrittura di questo film.

Per il ruolo principale il regista pensava da tempo alla sua preferita, Grace Kelly, ma l’attrice dovette tuttavia rifiutare, il popolo monegasco non era d’accordo a rinunciare alla sua amata regnante, per di più per un ruolo così controverso. Hitch quindi dovette ripiegare su Tippi Hedren, con cui aveva già lavorato in Gli uccelli ed è qui che sono iniziati i casini veri, ad un certo punto della produzione regista e protagonista finirono a parlarsi solo per interposta persona, perché senza girarci troppo intorno, l’ossessione per le bionde di Hitch era esplosa e Hedren era il suo oggetto del desiderio, non solo Hitchcock tendeva a controllare tutti gli aspetti della vita lavorativa dell’attrice, ma anche della sua sfera privata, una cotta? Un amore non corrisposto? Tutta roba per cui oggi Hitch si ritroverebbe senza lavoro, ma anche benzina sulla trama del film.

Scene iniziali notevoli ne abbiamo?

Dopo averla tormentata e terrorizzata a colpi di uccelli (ehm, questa mi è venuta fuori un po’ equivoca…), in questa seconda collaborazione Tippi Hedren è al centro di un altro thriller fortemente caratterizzato da elementi di psicoanalisi, come già fatto in “Io ti salverò” (1945), Hitch mescola l’elemento morale a quello della psicanalisi e fa giocare la trama su entrambi i tavoli da gioco, quindi se da una parte siamo in tensione per una ladra affetta da cleptomania a cui ci siamo affezionati e come spettatori, speriamo di non veder finire dietro alle sbarre, dall’altra vogliamo arrivare al nodo gordiano del suo problema, quel terrore atavico per i temporali che le scatena paralisi e che il regista punteggia grazie a tocchi di rosso della fotografia, alternati al bianco e al verde, che invece sulla protagonista hanno un valore calmante.

Non a caso si dice vedere rosso, no?

Insomma, abbiamo un’altra protagonista con una fòbia, e ancora una volta un’ossessione, se non proprio un feticismo alla base della storia, non è la scopofilia di Jimmy Stewart, non è nemmeno quella strana forma di necrofilia beh, sempre Jimmy, ma è un elemento che sarebbe ancora quasi tabù nel 2024, figuriamoci sessant’anni fa. La protagonista del film è frigida, nel corso del film scopriremo il perché, ma la repulsione per il sesso è sempre stato un argomento scivoloso, specialmente in una società che ha sempre iper sessualizzato le donne, in tal senso il contro altare ideale, il protagonista maschile perfetto non poteva che essere Sean Connery.

Tre lettere, inizia per “S”.

Marnie è una ladra che ogni volta che scappa con il malloppo della cassa, cambia identità e si fa assumere in un nuovo posto, Mark Rutland (Sir Sean) attratto da questa ragazza “dalle gambe belle”, si accorge di tutto ma la copre facendole una corte spietata, rimbalzato sistematicamente Mark ottiene quello che vuole (con la forza) quando becca la donna con le mani nella cassa della sua famiglia, invece di denunciarla, la sposa, ma il viaggio di nozze in crociera è disastroso, Marnie quasi tenta il suicidio dopo la prima notte d’amore, anche qui non del tutto consenziente (facciamo proprio no), la sua frigidità è una parte della sua nevrosi, che si manifesta con il panico durante i temporali, per capire l’origine del problema della moglie, Mark la trascina a Baltimora, l’incontro con la suocera Bernice (Louise Latham) sarà rivelatore.

Rivelazioni finali grosse e dove trovarle.

Si può usare un film per analizzarne un altro? Non sarò certo il primo a farlo, nel film “The Girl – La diva di Hitchcock” quando il regista Alfred Hitchcock (Toby Jones) spiega alla sua di diva, ovvero Tippi Hedren (Sienna Miller) che il protagonista maschile del film sarà Sean Connery, lei, provocando più di una punta di gelosia in Hitch risponde: «Ma la protagonista non doveva essere frigida?», per altro ritengo molto più riuscito questo film rispetto alla biografia uscita lo stesso anno con Anthony Hopkins nello stesso ruolo di Toby Jones, ma questo ci dice anche di quanto spostasse, anche in termini ormonali, il buon Connery, già allora alla ricerca di ruolo per prendere le distanze dal suo agente 007, eppure finito in una parte anche qui, da sciupafemmine che uno schiaffone alla donzella di turno, non lo nega di certo, insomma, una variazione sul tema James Bond.

Non ci vuole Freud però per capire che in un certo modo, Hitch scegliendo Connery si sia creato un alter ego virile, alto, muscoloso e con (allora) i capelli che nel film, riesce ad ottenere da Tippi Hedren – con le buone o con le… No, solo con le cattive – quello che desiderava, i problemi sono molteplici però, malgrado tutto sia molto garbato e piuttosto esplicito in parti uguali, il personaggio di Mark Rutland sembra il classico maschio degli anni ’60 fin troppo protettivo, quindi ridimensionato nelle sue ombre. Nel fondamentale “Il cinema secondo Hitchcock” a Truffaut il regista confessa che con un diverso utilizzo del minutaggio, avrebbe inserito la voce narrante di Rutland, che avrebbe creato una doppia tensione per il pubblico, come già fatto in precedenza nel suo film inglese “Murder”, se avesse fatto arrivare al pubblico il desiderio di Rutland di possedere carnalmente la ladra, nel momento esatto in cui lei sta svaligiando la cassaforte, saremmo stati in tensione per l’esito del furto e per gli sguardi di Connery su Hedren, perché anche di questo parla “Marnie”, abbiamo un maschietto eccitato da una specifica categoria di donna, non una rossa o una bionda, ma una ladra, non solo agogna l’atto sessuale da consumarsi durante la rapina, ma anche il senso di potere che ne deriva dall’avere tra le mani una donna che lui, potrebbe consegnare alla polizia in qualunque momento. Oggi roba torbida gente!

Se ve lo state chiedendo, non è un Aston-Martin.

A tutto questo aggiungete una produzione che è stata una guerra, gli scontri tra il regista e il suo compositore di fiducia Bernard Herrmann sono stati tali che i due hanno rotto la loro storica collaborazione, allo stesso tempo il film alla sua uscita è stato considerato verboso, fuori moda, e criticato per gli effetti speciali. Infatti molte delle critiche sono andate ai “matte painting”, i fondali dipinti che in certi momenti esaltano l’elemento surreale e onirico alla base della storia, ma ai tempi fecero storcere il naso al pubblico, insomma, più le cose cambiano più il pubblico vuole vedere solo gli effetti speciali nel film, anche a sessant’anni dall’uscita di “Marnie”, in tal senso è cambiato poco.

La tintura per capelli è un travestimento, perché Hitch preferisce le bionde.

Per anni “Marnie” è stato quindi maltrattato, a mio avviso più del necessario, per far fare soldi al botteghino a questo film, Hitch ha ottenuto di poterlo proiettare in doppio spettacolo con il ben più famoso Gli uccelli (storia vera), titoli diversi, stessa ossessione per Tippi Hedren, eppure io ho pochi dubbi, con tutta la passione che ho per titoli come “Il sipario strappato” (1966) o “Frenzy” (1972), penso che “Marnie” sia l’ultimo film davvero grande di Hitchcock, in onore degli incubi rossi della protagonista, qui ci vuole il logo dei Classidy!

Quello che ho sempre amato di questo film è il suo andare in territori così torbidi, facendolo con così tanta grazia e allo stesso tempo, senza mandarle a dire, oggi ogni elemento sarebbe urlato e sottolineato dodici volte con il pennarellone a punta grossa, in realtà mentre lo guardi o quando l’ho visto per la prima volta da ragazzino, pensavo: ma davvero Hitch parla così apertamente di sesso e in maniera così torbida e poco convenzionale?

Dove lo avete mai visto un altro film che tratta il tema della mancanza di desiderio sessuale femminile? Ve lo dico io, bisogna andare a bussare alla porta di Roman Polański, infatti il suo “Repulsione” è del 1965 ma allo stesso tempo, siamo abituati a pensare a Sean Connery come ad uno dei buoni, mentre qui interpreta un maschietto che è tutto tranne che un principe azzurro, di base siamo davanti ad una storia tipo il principe e la mendicante, solo molto più torbida e legata a filo doppio al rapporto per nulla semplice, ben oltre l’ossessione, tra Hitch e la sua bionda protagonista, non credo sia un caso che nel suo solito cameo, Hitch compaia mentre l’inquadratura segue la protagonista (e la sua borsa).

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Raramente Hitchcock è stato così crudo e diretto, tutta la rivelazione finale è una lunga sessione di psicoanalisi che porta alla radice del problema della protagonista, se uscisse oggi “Marnie” verrebbe tacciato di maschilismo e di femminismo in parti uguali dalle diverse fazioni, nel 1964 era solo una gran modo per dimostrare come un autore potesse parlare delle sue ossessioni, ma anche di tutte quelle sfumature di grigio dei personaggi che sembrano essere andate perdute al cinema.

Sarà anche un grande film malato stando alla definizione di François Truffaut, ma resta comunque un grande film, malgrado i difetti, lucidamente analizzati dallo stesso regista, forse anche uno dei più coraggiosi e controversi da portare in scena, ci tenevo ad averlo qui sulla Bara in occasione dei suoi primi sessant’anni.

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