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Martin (1977): il vampiro della Pennsylvania

Essere universalmente riconosciuto come il papà degli zombie al cinema potrebbe oscurare un film considerato minore vero, ma comunque bellissimo, quello che oggi è protagonista del nuovo capitolo della rubrica… Lui è leggenda!

Al suo quinto lungometraggio George A. Romero (la “A” sta per amore, ve lo ricordo) ne ha già viste parecchie, ha rivoluzionato il mondo con La notte dei morti viventi, per poi trovarsi costretto a fare i conti con le difficoltà produttive, purtroppo davvero l’unica vera costante di tutta la sua carriera insieme ad un manifesto talento. La stagione della strega è stato massacrato in fase di distribuzione, mentre La città verrà distrutta all’alba semplicemente concluso nel momento in cui il budget è terminato (storia vera).

Anche per questo motivo Romero non ha mai nascosto di considerare “Martin” uno dei suoi film preferiti, per il semplice fatto di essere riuscito a scrivere e portare per intero sul grande schermo la sua sceneggiatura. Se Romero è universalmente ricordato per i suoi morti viventi, per quanto mi riguarda “Martin” è la cartina al tornasole del suo talento, sarà anche un film minore, ma a mia volta resta uno dei miei preferiti di zio George e, a costo di spararla grossa (ma anche fosse, qui sotto verrete massacrati di argomentazioni a sostenere la tesi), uno dei migliori film sui Vampiri che sia mai stato realizzato. Mica male per uno che ancora oggi viene considerato solo un regista di film di zombie, ztè!

In bianco e nero, come un vecchio film della Hammer.

Le intenzioni della Leggenda con “Martin” sono chiare e dirette: il film nasce con l’intenzione di far capire al pubblico che tutti i mostri della letteratura classica, di cui i vampiri sono da sempre i più nobili rappresentanti, di fatto non sono altro che un modo per esorcizzare e giustificare la parte malvagia presente dentro ognuno di noi. Per Romero quella parte malvagia non può essere eliminata, e faremmo tutti bene a ricordarcelo, “Martin” ci riesce alla perfezione.

Per raggiungere tale risultato, la Leggenda torna idealmente alle origini, un piccolo film, con il solito budget modesto, 250 mila ex presidenti defunti stampati su carta verde, per una pellicola prodotta in casa e tra amici. In casa perché ancora una volta Romero sceglie di girare in Transilvania Pennsylvania, il luogo che sta a zio George come il Maine sta a Stephen King, per la precisione nella cittadina di Braddock, scelta da Romero proprio perché sul finire degli anni ’70, molte fabbriche avevano chiuso e molti erano rimasti purtroppo a spasso, proprio come accade del film al personaggio di Arthur, interpretato da quel gran mito di Tom Savini.

“Ma come Pennsylvania!? Avevo detto Transilvania! Ma guarda in che postaccio sono finito!”.

Sì, perché “Martin”, per essere un film minore, è fondamentale nella filmografia di Romero, proprio qui inizia la storica collaborazione (ed amicizia) tra la Leggenda e il grande Savini che qui esordisce come attore, ma anche come tecnico degli effetti speciali, un settore in cui Tom in linea di massima, due cosette le ha pure dette.

Per dirvi di quanto sia un film in famiglia questo, nella parte di Christina, troviamo Christine Forrest futura signora Romero (dal 1980 fino al loro divorzio nel 2010) e giusto per risparmiare qualche soldo, lo stesso zio George s’improvvisa attore nei panni di Padre Howard, il parroco che tiene messa in una chiesa da poco scampata dalle fiamme di un incendio (elemento reale, inserito nella trama del film) e che interrogato sugli esorcismi, si mette a parlare di cinema, ovviamente di “L’esorcista” (1973) di William Friedkin, insomma un parroco che predica di film, brutto?

Con un prete così, qualche volta sarei andato a messa anche io.

Ma forse l’incontro più importante (almeno ai fini della realizzazione di “Martin”) è quello con il produttore Richard P. Rubinstein che, sempre nell’ottica di tenere bassi i costi, mette una mano sulla spalla del regista (probabilmente salendo sulla sedia, vista l’altezza di Romero) dicendogli: «Oh, ma sai che mio fratello è un musicista mica male? Vuoi fargli comporre le musiche per il film?». Ecco, tra parole e sedia, magari non è andata proprio così, ma sta di fatto che Donald Rubinstein, oltre a comporre le musiche per il film, è diventato uno dei compositori di fiducia di Romero, quindi aspettatevi di vederlo tornare nel corso di questa rubrica.

L’idea originale di Romero era quella di dirigere tutto il film in bianco e nero, ma consigliato dal produttore che teneva di veder scappare tutto il pubblico, si è limitato ad utilizzare il bianco e nero solo per alcuni selezionati momenti (lasciatemi l’icona aperta, che più avanti ci torniamo), allo stesso modo, il montaggio originale di 165 minuti è andato perso, in questo caso poco male perché la versione definitiva del film, quella voluta da Romero della durata di 95 minuti è piaciuta parecchio ai distributori da assicurarsi un’uscita nelle sale americane, purtroppo per il mercato europeo non è andato così bene, tocca aprire una doverosa parentesi.

Un po’ come il successivo “Dawn of the dead”, anche questo film è stato sforbiciato (anche malamente, lasciatemelo dire) di quasi 10 minuti e le musiche di Rubinstein, sono state spazzate via in favore di quelle dei Goblin, ben più celebri anche qui dalle nostre parti. Inoltre, il titolo è stato modificato nel ben più esplicito “Wampyr”. Ecco perché questa pellicola da noi è più ricordata con questo titolo, magari ricordate il pipistrello sulla copertina del dvd della Quinto Piano, popolarissimo per tutti i vecchi frequentatori di videoteche, anche se, personalmente, ho sempre odiato quella versione del film, le musiche dei Goblin non centrano nulla con il film e spesso coprivano i dialoghi, inoltre, tutta la potente scena d’apertura, quella sul treno, era stata tagliata via forse per non turbare troppo il pubblico. Ecco perché per me questo film è e sarà per sempre “Martin”, mi tengo stretto il mio dvd con la versione voluta da Romero, pubblicato attorno al 2010, quindi un consiglio spassionato: recuperate questo bel film, ma occhio alla copia che decidete di guardare.

La tradizione dei titoli di testa, oggi nella doppia versione USA/Europa.

“Martin”, pensate un po’, è la storia di un ragazzo tormentato di nome Martin (chi l’avrebbe mai detto) ed intendo più tormentato della media di qualunque adolescente, perché il ragazzo è convinto di essere un vampiro in circolazione da più di ottant’anni, il problema è che alle parole fa seguire anche i fatti, come vediamo subito nei minuti iniziali del film, quelli sforbiciati nella prima versione europea del film che mai come ora ci ricordano che l’inizio di un film, ne determina tutto l’andamento.

Romero pronti via, non prende prigionieri, ci porta tutti su un treno notturno su cui viaggia anche il nostro Martin (un John Amplas al suo esordio, che recita come se non avesse mai fatto altro in vita sua), il ragazzo punta subito una bella signora che viaggia sola, s’intrufola nella sua cabina per nutrirsi del suo sangue, ma niente canini per Martin, solo siringhe sterili, sonniferi potenti e lamette affilate. Sia in questo potente inizio che nel resto del film, Romero lascia intendere che dopo aver drogato le sue vittime, Martin non si limiti a bere il loro sangue, uno schiaffo di realismo dato in piena faccia, che è la cifra stilistica di tutta la pellicola.

I canini sono così superati ormai, meglio qualcosa di più sterile.

Nel suo abbracciare la vittima e assicurarsi che non soffra, Martin è quasi grottescamente tenero, ma anche meticoloso nel nascondere le sue tracce e sparire dopo aver inscenato un finto suicidio per la donna, il tutto mentre nella sua mente la realtà si alterna a immagini in bianco e nero (così chiudo quell’icona lasciata aperta lassù) che sembrano arrivare dritte dai vecchi film di vampiri della Hammer, oppure della Universal, con cui Romero non fa altro che ricordarci che la realtà e la finzione cinematografica non possono essere più diverse.

Nella sua mente Martin vede la sua vittima in una vestaglia sexy che attende il suo morso, nella realtà la donna urla, ha i capelli raccolti per la notte e pure la crema contro le rughe sul viso. Per tutto il tempo Romero fa una cosa che adoro nei film: non moralizza, non lo fa mai, al massimo racconta e lascia a noi spettatori il compito di farci un’idea su Martin. Il ragazzo è pazzo? Convinto di essere un vampiro perché influenzato dall’ambiente o da troppi film, oppure è davvero un ragazzo problematico e solo (come la protagonista di La stagione della strega) che avrebbe bisogno di aiuto? Romero lancia la palla nel nostro campo e porta avanti la sua tesi, perché Martin è il Vampiro di un’era moderna in cui l’incredulità domina, la mancanza di empatia la fa da padrona e soprattutto i mostri, quelli veri, non vanno in giro con il mantello nero e i canini a vista.

L’immaginazione contro la realtà (Se ve lo state chiedendo no, non è truccata da zombie).

Al suo arrivo a Braddock, Martin va a stare a casa del suo vecchio cugino Cuda (Lincoln Maazel) lituano di origini (come Romero) e cattolico vecchia scuola, la loro camminata verso casa è lunga e silenziosa, poi Cuda rompe il silenzio dando al ragazzo del “Nosferatu”, così, tanto per metterlo a suo agio.

Cuda non le manda a dire, se non potrà curare Martin dalla sua malattia e dovesse scoprire che nel vicinato qualcuno ci ha rimesso le penne per la sua brama di sangue, non perderà tempo a piantargli un paletto nel cuore, non serve nemmeno che Martin gli faccia vedere che croci, aglio e tutto il solito Kit anti-succhia sangue, non abbiano nessun effetto su di lui. Non si discute con i pazzi, regola numero uno.

Koda, fratello orso? Più che altro Cuda, cugino stronzo.

Martin lavora come garzone al paradiso della brugola nel negozio di Cuda, introverso, di pochissime parole, insomma voi e me (io di sicuro) quando avevamo la sua età, Martin stringe amicizia solo con Christina (Christine Forrest) con il suo fidanzato Arthur (Tom Savini), ma soprattutto con l’unica persona in città più sola di lui: la signora Abbie Santini (Elayne Nadeau), un personaggio sfaccettato e ben scritto, se vogliamo, simile alla protagonista di La stagione della strega. Abbiente, di bell’aspetto, i giovani direbbero una MILF se non fosse che non ha figli e anche questo è uno dei motivi della sua tristezza infinita, una tentazione per Martin che, però, ha già i suoi bei problemi.

George A. Romero si mette davvero d’impegno a scardinare uno per uno tutte le caratteristiche chiave dei vampiri cinematografici, sostituiti i canini con siringhe e lamette, l’altro elemento chiave è proprio il sesso. Da sempre la figura del vampiro va di pari passo con la sessualità (cosa c’è di più sensuale di un “bacio” sul collo? Ben poche cose), Martin, invece, non è interessato al sesso, non senza sangue almeno, non con persone vive, anzi il sesso è uno dei metri di paragone della sua normalità, anche se intorno a lui di normalità, ne troviamo ben poca.

No, non è una scena di “Le casalingue” di Fantozziana memoria.

Sì, perché la bellezza di “Martin” sta nella sua capacità di farti affezionare ad un protagonista controverso, un personaggio che anche se guidato da visioni in bianco e nero che sembrano uscite da vecchi film horror, per tutto il tempo disconosce quell’iconografia («Quei film pazzeschi non sono reali, sono tutte stronzate»), eppure è impossibile non provare empatia per lui, anche perché John Amplas è davvero straordinario nel rendere convincente e realistico Martin, i suoi silenzi o le confessioni (come quelle al telefono con il DJ radiofonico) arrivano sempre nei momenti meno opportuni, come solo un adolescente potrebbe fare. Pare che Romero avesse pensato per Martin un attore più anziano, ma dopo aver visto il provino di John Amplas, ha riscritto buona parte del copione per ringiovanire il personaggio (storia vera).

Per avere ottant’anni, te li porti piuttosto bene ragazzo.

Come fa Romero a farti patteggiare per quello che nel caso migliore, potrebbe essere un moderno vampiro e in quello peggiore, solo un pazzo malato e per di più serial killer? Facile, tenendo fede alla sua premessa, che poi è la missione del suo cinema: fare critica sociale usando il cinema di genere per ricordarci chi sono i veri mostri.

Attorno a Martin chi troviamo? Suo cugino Cuda è un cortocircuito di vecchie superstizioni religiose, incapace di provare anche la minima forma di pietà, gli unici personaggi davvero positivi sono Christina e Arthur che sarebbero genitori ideali per il ragazzo, ma devono lasciare una cittadina che sta morendo, in cerca di lavoro altrove. La signora Santini un po’ mamma, un po’ amante, a lungo rappresenta l’unico legame di Martin con una vita normale, prima di uscire di scena in un modo tragico e ironico (considerando le macabre abitudini di Martin), dando l’addio definitivo a tutte le speranze del protagonista.

Christine Forrest, la futura signora Romero, uno dei personaggi chiave della vicenda.

Chi resta? Gli estranei che lo additano come “Strambo” nel negozio in cui lavora o peggio, il DJ radiofonico e i suoi spettatori della notte, gli unici con cui al telefono Martin può parlare liberamente del suo vampirismo e del modo in cui lui lo interpreta, anche se poi, a ben guardare, i veri vampiri sono loro. Sì, perché per Martin quelle telefonate notturne sono l’unico modo per elabora la sua condizione, ma per il DJ il “Conte” come lo chiama lui, è solo il modo migliore per fare ascolti e per gli spettatori che chiamano per fare domande, solo un modo avido di sentirsi un po’ meno strambi, puntando il dito contro il mostro e dimenticandosi per un minuto delle loro vite.

In tal senso, una delle scene migliori di “Martin” resta il suo raid (ovviamente notturno) nella casa di una vittima a lungo tenuta d’occhio dal ragazzo, vestito di nero (altra picconata all’iconografia dei vampiri data da Romero, gli abiti neri non servono per darsi un’aria da Dandy della vecchia Europa, ma per mimetizzarsi come un ninja) e kit per la donazione non-volontaria di sangue, quando entra nella villetta, Martin è costretto ad improvvisare, perché la donna non è sola, ma con lei c’è il suo amante e i due insieme cosa fanno? Realizzano di essere in pericolo? No, si rifiutano di chiamare la polizia per non dare scandalo, molto più preoccupati di cosa potrebbero dire le persone riguardo alla loro relazione segreta, piuttosto che a salvarsi la pelle. Chi sono i veri mostri ora?

Mai visto un mostro con il pullover e la camicia nei pantaloni.

Nemmeno la religione può dare sollievo a Martin, per carità! Anzi Romero non le manda certo a dire, per lui si ritaglia il ruolo di padre Howard, il parroco che predica di cinema, mentre il prete esorcista fortemente voluto da Cuda, ovviamente, non sortisce nessun effetto sul ragazzo, anzi diventa l’occasione per Martin di prendersi gioco delle superstizioni del vecchio cugino. Una delle scene migliori del film è quando Martin attira Cuda in un vecchio cortile con un nebbione da film della Hammer, solo per sfoggiare canini (di plastica) e il classico mantello (fuori nero e dentro rosso che attribuireste al conte Dracula) e farsi due grasse risate alla faccia del cugino.

«Sono il Conte Dracula… Minchia!!» (Cit.)

Per me solo un grande uomo di Cinema, può permettersi di smontare con il cacciavite, uno per uno, tutte le certezze che la settima arte ha sfornato negli anni sui vampiri e dirigere un film che sarà pure povero nei mezzi, ma di certo non nelle idee e nei contenuti. Una pellicola che magari è un po’ invecchiata, ma resta estremamente realistica nel suo intento di trasportare il vampiro dalla gotica Transilvania, alla decadente Pennsylvania delle fabbriche che chiudono e, soprattutto, non smolla il colpo quando è ora di far arrivare il suo messaggio forte è chiaro. Se non avete visto il film, saltate il prossimo capoverso (seguono SPOILER).

Mentre guardi “Martin” fino agli ultimi due minuti ancora non hai pienamente idea di dove la storia potrebbe andare a parare, quando penso ad un horror che trova tutto la sua logica nella manciata di secondi che gli restano prima dei titoli di coda, di solito penso a “Sleepaway Camp” (1983) e a “Martin”, perché da appassionato di basket Romero fa partire l’ultimo tiro nel finale e vince la partita, ma non senza aver dato prima un calcio in bocca al pubblico. Ogni volta che vado a rivedermi “Martin”, finisco ogni volta per fare: «No! Nooo! Ma perché!» (storia vera).

Che sia un vero vampiro moderno, oppure un ragazzo disturbato, alla fine Martin fa davvero la fine di un vampiro, accusato da Cuda della morte della signora Santini, viene colpito a morte con un paletto nel cuore, un effetto speciale cruento e riuscitissimo firmato, ovviamente, dal grande Tom Savini. Sarà… Ma non m’impedisce ogni volta di disperarmi per il protagonista.

Un vero vampiro? Un pazzo? Un ragazzo bisognoso di aiuto? A voi la scelta.

Povero Martin, colpito a morte da un male incurabile della nostra società, l’ignoranza che trasforma tutti in mostri ben peggiori dei vampiri, la critica di Romero non potrebbe essere più potente ed efficace di così, i titoli di coda, con la tomba di Martin scavata nel cortile di casa da Cuda, mentre gli spettatori radiofonici si chiedono che fine abbia fatto quello strambo “Conte”, in qualche modo si ricollega alle fotografie sgranate sui titoli di coda di La notte dei morti viventi. (Fine degli SPOILER).

Insomma, per essere un film minore sui vampiri, firmato da un regista ricordato quasi esclusivamente per gli zombie, “Martin” è davvero un grande film, senza moralizzare, ma anche senza mandarle a dire, George A. Romero firma un titolo fondamentale, capace di distinguersi dalla massa delle pellicole a tema vampiresco in un modo unico, se poi dopo i titoli di coda, sentite ancora addosso degli strascichi delle riflessioni che questo film ti costringe a fare su te stesso e sulla società… Beh, tranquilli, è tutto normale quando siete alle prese con la pellicola di una leggenda cinematografica e non sono complimenti che di solito spreco per nessuno. Guardatevi o riguardatevi “Martin” per vedere se è vero, resta un film che meriterebbe ben più riconoscimento di quello che già ha, proprio come il suo regista.

Tra una settimana, invece, andiamo a giocare con un titolo da tutti riconosciuto come fondamentale, per la filmografia di Romero e per la storia del cinema. Tra sette giorni, sarò ancora in missione per conto di zio George, state pronti, andiamo tutti al centro commerciale!

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