Home » Recensioni » Matrix Resurrections (2021): 1999 fuga dalla matrice

Matrix Resurrections (2021): 1999 fuga dalla matrice

Dopo aver fatto un giro completo di tutto il tabellone del Monopoli, le sorelle Wachowski sono tornate alla prima casella, quella che le ha messe sulla mappa geografica, anche se per il nuovo capitolo della saga di Matrix abbiamo perso Lilly, quindi “Matrix Resurrections” è tutto farina del sacco di Lana, che come cantava Prince ha pensato di organizzare una festa in stile 1-9-9-9, una festa di 148 minuti di cui lo ammetto, ne ho apprezzati più di quelli che avrei mai pensato e meno di quelli che avrei voluto.

Possiamo dire molto delle sorelle Wachowski, ma non di certo che siano mai state narratrici sottili, con la loro tendenza agli “spiegoni” e al ribadire le metafore anche due o trecento volte, anche in questo quarto film della saga Lana non si smentisce, infatti passa l’intero film a ribadirci di smetterla di pensare in termini di uno o di zero, di femmina o di maschio, di uomini o di macchine, insomma un’invocazione a rompere lo schema binario fatto di assoluti e opposti. “Infernet” come ha risposto all’appello di Lana Wachowski? Dividendosi in due fazioni, da una parte chi considera “Matrix Resurrections” un “Capolavorò!” e chi “Una cagata pazzesca”. Bene ma non benissimo.

Da parte mia come sapete, ho sempre avuto un certo grado di distacco nei confronti delle sorelle Wachowski, il che mi permette di provare ad analizzare “Matrix Resurrections” sperando di offrirvi quel punto di vista non binario che invocava Lana.

«Hai sentito Lana? Cassidy parla di binari», «Quello faceva deragliare anche il trenino elettrico»

Per questa sua festa in stile 1999, Lana Wachowski è riuscita a rimettere insieme quasi tutta la vecchia banda, ad esclusione di Hugo Weaving e Laurence Fishburne che comunque lasciano un vuoto in termini di carisma, che i loro sostituti non riescono a colmare pienamente, ma il piano di Lana è un altro, per illustrarvelo lasciatemi fare quello che faccio sempre: appellarmi ai precedenti.

Nel 1990 Joe Dante agguantò i soldi messi a disposizione dalla Warner Brothers (la storia si ripete, ripetutamente cit.) per dirigere il suo capitolo preferito di Gremlins, ovvero il secondo. Il suo piano? Per sua stessa ammissione dirigere Gremlins 2 in modo che nessuno dopo di lui, potesse mai dirigere un Gremlins 3 (storia vera).

Nel 1994, dopo aver a lungo battibeccato con la New Line Cinema, Wes Craven riuscì a rimettere le mani sulla saga di Nightmare con un capitolo metacinematografico, Nightmare – nuovo incubo mescolava personaggi immaginari e reali, un’operazione ambiziosa che non venne premiata dal botteghino ma che resta uno dei lavori più interessanti del regista di Cleveland.

«WOAH! Forse sarebbe stato meglio recitare nel quarto Bill & Ted»

Concludiamo questa trilogia con il 1996, l’anno in cui John Carpenter mise le mani sul budget più alto della sua carriera per dirigere la fuga definitiva di Jena Plissken. Ripeto sempre che un giorno Fuga da Los Angeles verrà compreso come il capolavoro che è, un artistico gesto di anarchia oltre che il più chiaro attacco (coltello tra i denti) alla politica dei seguiti a tutti i costi che piace tanto ad Hollywood e purtroppo, a una grossa fetta di pubblico. Questi tre titoli sono i più fulgidi esempi di creatori che hanno avuto le palle e la statura morale artistica per prendere la loro opera e distruggerla, in modo da evitare l’eterno proliferare di seguiti, perché ci sono film che dovrebbe fare da modello per gli altri, senza trasformarsi in infinite saghe in grado di sfornare capitoli sempre più scoloriti. Forse Matrix dovrebbe far parte di questa categoria e per una quarantina di minuti, Lana Wachowski ha seriamente rischiato di potersi sedere allo stesso tavolo insieme ai migliori, John, Joe e Wes.

Come sempre le sorelle Wachowski possono contare sull’opzione “budget infinito” e sulla totale carta bianca concessa loro dalla Warner (succede quando sei sotto l’ala protettiva di Joel Silver), quindi per scrivere la sceneggiatura di “Matrix Resurrections”, Lana ha chiesto e ottenuto di poter collaborare con David Mitchell e Aleksandar Hemon, già al lavoro con lei sulla serie “Sense8” (detta “Sensotto”). L’idea per tornare dopo tutti questi anni di un quarto capitolo consapevole di essere fuori tempo massimo? Giocarsi la carta meta narrativa in tutto e per tutto, infatti come da tradizione, si comincia con Trinity (Carrie-Anne Moss) in fuga dagli agenti, questa volta osservata dai nuovi personaggi introdotti nella trama, una su tutti Bugs (la lanciatissima Jessica Henwick), che si chiama così in onore di Bugs Bunny del coniglio bianco da seguire nella sua tana, ve l’ho detto che le Wachowski non sono mai state sottili narratrici vero?

«Ehi, che Succede amico?» (cit.)

Matrix è una modal, un vecchio programma salvato sul computer di un programmatore malinconico, depresso e pigro di nome Thomas Anderson (l’inossidabile e mai così scazzato Keanu Reeves), il gioco sta tutto qui, Matrix per quello che conosciamo è solo una serie di videogiochi molto famosa che ha generato pupazzetti e action figure a tema (le stesse che Anderson ha sulla sua scrivania), un gioco geniale di un programmatore in stile James Halliday, che invece di fondare il suo impero lavora come impiegato per una grande azienda, dove passa il suo tempo a sviluppare un nuovo videogame di nome ehm… Binary, le solite metafore sottili Wachowskiane. Visto che “Matrix Resurrections” va detto, è un film che gioca completamente a carte scoperte, l’odioso direttore dell’azienda dice chiaramente che un Matrix 4 si farà comunque, perché tutto il cucuzzaro di diritti e di proprietà appartiene alla Warner Brothers, quindi il nuovo capitolo è inevitabile, tanto vale che tu caro signor Anderson sia a bordo no? Insomma, “Matrix Resurrections” è un viaggetto negli uffici della Warner proprio come lo è stato il non proprio irresistibile Space Jam New Legends, per essere ancora più spudorati, avrebbero dovuto far incontrare in una scena LeBron James e Thomas Anderson in ascensore.

Ora questa scena assume un significato tutto nuovo.

Da qui in poi vale tutto, Lana Wachowski si mette a giocare con l’immaginario che lei stessa ha creato nel 1999, quindi Carrie-Anne Moss è la ragazza con cui il nerd sociopatico Thomas Anderson non è mai riuscito a spiccicare parola, una donna di nome ehm, Tiffany (non mi ripeterò più sulla sottigliezza, ormai avete assimilato il concetto) mentre suo marito è interpretato da una breve apparizione di Chad Stahelski. Visto che la chimica tra Reeves e Carrie-Anne Moss è l’unico elemento che mi ricorderà di questo film tra qualche settimana, spero di rivederli entrambi in un John Wick a caso, ne guadagneremmo tutti a partire proprio da loro due.

«Restate in forma voi due, ci vediamo nel prossimo John Wick»

Bugs diventa la nuova coniglietta bianca da seguire per liberare il signor Anderson dalle ganasce di Matrix, anche se il programmatore è titubante, perché il suo analista (un Neil Patrick Harris che ultimamente è tornato, il che mi fa molto piacere) gli ricorda del suo crollo nervoso, di quella volta in cui preso così tanto dalla sua creazione, si era convinto di essere l’eletto svolazzante destinato a salvare l’umanità. Giocare a carte scoperte, Lana Wachowski è bravissima a farlo e nei primi quaranta minuti di film (quelli più riusciti) si toglie qualche sassolino dalla scarpa divertendosi a demolire l’iconografia di Matrix, ho davvero creduto che Lana avrebbe finito per accomodarsi accanto a John, Joe e zio Wes, anche solo per la trovata di inserire una scena dopo i titoli di coda assolutamente inutile (per non dire idiota), giusto per prendersi gioco di un’industria cinematografica ormai costruita sulle scene “post credits”.

Nei dialoghi si scherza sul fatto che per tanti “Matrix” è solo “Bullet Time” o sul fatto che i reboot siano bancomat per portare a casa soldi facili, ma si fa di tutto anche per demolire il mito dell’eletto, Keanu Reeves infatti compare seduto sul cesso, o nella vasca da bagno con una paperella di gomma in testa. Se Carpenter scherzava sull’altezza non proprio da cestista di Kurt Russell, Lana Wachowski fa lo stesso con il suo eroe, vederlo in crisi alle prese con le “pillole blu” prescritte dal suo analista, è un ironico sfottò alle crisi di mezza età maschili.

Questo è il ballo del qua qua, e di un Keanu che sa, fare solo qua qua qua, più qua qua qua.

Anche per questo il nuovo Morpheus di Yahya Abdul-Mateen II (fin dal cognome, il destino di arrivare sempre secondo) è un pagliaccio che fa battutine, vestito con colori pastello che sono un pugno in un occhio, che per tutto il tempo ride e scherza sulla seriosità della sua precedente incarnazione, insomma i nuovi personaggi che sembrano usciti dai racconti di William Gibson (ovvero una delle tante fonti d’ispirazione per il film del 1999), portano avanti la tradizione di Joe Dante, di Carpenter e di zio Wes di demolire tutto, poi però il fattore “W”(achowski) entra in circolo e “Matrix Resurrections” passa dall’essere una gioiosa operazione anarchica, che nasconde dietro allo scherzo una certa voglia di prendere il “sistema” alla giugulare, ad essere un film perfettamente allineato al canone moderno, uno di quei seguiti che in realtà sono dei reboot (se non proprio dei remake non autorizzati) alla pari di Il ritorno di Mary Poppins o Il risveglio della Forza. Bene ma non benissimo insomma.

«Vuoi un po’ di malinconia? Il primo giro è gratis, ma sappi che crea dipendenza»

Parliamoci chiaro, un’autrice o un autore dovrebbe parlare al pubblico attraverso le proprie opere, per anni alle sorelle Wachowski è andato benissimo che Matrix fosse “letto” dal pubblico come un film pieno di chiavi di lettura Bibliche (i nomi dei personaggi, l’idea stessa dell’eletto e via dicendo), fino a “Sensotto”, fino al loro percorso di transizione, a quel punto in particolar modo Lana, spingeva attraverso le interviste, dichiarando che il film del 1999 era tutto un METAFORONE sul cambio di sesso (Smith che insiste a chiamare il protagonista signor Anderson, con pronome maschile, giusto per fare un esempio). Negli anni Matrix è diventato così tanto parte della cultura popolare da aver influenzato anche il linguaggio, sono sicuro che abbiate tutti sentito parlare dei “Redpilled”, che pur prendendo il nome dal film di Lana Wachowski, promuovono uno stile di vita opposto a quello della regista.

«Onda Keanuhameha»

Quindi con la solita delicatezza da auto blindo che la caratterizza quando si tratta di narrare, Lana riempie il suo film di continui rimandi al concetto stesso di binario, giusto per continuare (giustamente) a sventolare la sua bandiera, il problema è che allo stesso modo dopo tutti gli anni e i film diretti, risulta ancora una narratrice didascalica, incapace di suggerire un concetto senza urlarlo a pieni polmoni in un megafono al pubblico. Che “Matrix Resurrections” fosse pedissequamente ricalcato sul Matrix del 1999 era già chiaro dalla trama, basta guardarlo per capirlo: a questo punto nel film del 1999 iniziava un inseguimento? Bisogna farlo anche nel nuovo (ma poi, davvero così nuovo?) film, nel 1999 Neo e Trinity affrontavano un elicottero sul tetto di un palazzo, rifacciamolo! Solo peggio, in maniera più svogliata della recitazione di Keanu Reeves (che non c’ha cazzi di essere di nuovo qui, però ha devoluto il 70% del suo assegno alla ricerca sulla leucemia, storia vera e sempre stima per il vecchio Keanu!) perché se da una parte prendersi gioco delle scene memorabili del film originale è parte di questo schema anarchico messo su da Lana, dall’altra è piuttosto chiaro che nella coppia, la sorellina forte a girare le scene d’azione deve essere di sicuro Lilly, perché questo film sembra girato da Lana spesso con i piedi, inutile girarci attorno.

Neo, con la sola imposizione delle mani, come il mago Oronzo, così può stare ancora più immobile del solito.

Il limite tra risultare brillanti nell’esprimere un concetto, oppure pedanti, banali e anche un po’ spocchiosi è molto sottile, le sorelle Wachowski non sono mai state in grado di capire il momento esatto in cui fermarsi, sforando spesso nel ridicolo involontario come ampiamente dimostrato nei seguiti di Matrix. Qui è la stessa cosa, quando Neil Patrick Harris smette di essere credibile diventando risibile nel suo ruolo? Quanto ha senso mostrare la nuova Zion (che qui si chiama IO, strizzando l’occhio al linguaggio informatico o al verso dell’asino, fate voi) una gigantesca città con diciotto comparse e due interni per puzza? Ma soprattutto quanto risulta imbarazzante far tornare il Merovingio a blaterare frasi contro il Faccialibro e i Social-Così, ribadendo che la parte importante della storia sono i continui bla bla bla e non i momenti d’azione (praticamente il manifesto programmatico del cinema di Lana Wachowski)? Secondo me molto velocemente, ma i miei gusti li conoscete, a me lo stile paraculo delle sorelle Wachowski ha sempre fatto pena anche quando avevano il pene, ma devo essere onesto, in questa operazione di distruzione del mito di Matrix, purtroppo si ricade nello schema binario che Lana era partita per distruggere, quindi chi amerà il film troverà la regista geniale, chi non lo apprezzerà invece bollerà tutto questo come ridicolo. Che poi è quella zona grigia di paraculaggine in cui le Wachowski da decenni sguazzano, pur promuovendo trame e messaggi che di rivoluzionario non hanno poi molto.

How I met your Matrix

Trovo che non ci fosse affatto bisogno di ribadire in modo così palese (e maldestro) quanto questo “Resurrections” sia stato ricalcato scena per scena sul film del 1999, sovrapporre Neo che attraversa nuovamente lo specchio, alla scena identica in cui faceva lo stesso nel primo capitolo per me non è segno di brillantezza, ma solo di pigrizia e di una certa pedanteria come narratrice da parte di Lana. Scherzare sul fatto che Neo non vola più smette presto di essere decostruzione del personaggio per sfociare nelle gomitate date al pubblico per solleticarlo, insomma Lana poteva sedersi al tavolo dei migliori con John, Joe e Wes ma ha preferito andare dietro la lavagna insieme a GIEI GIEI.

«Wachooooooooooooowski! Avresti dovuto distruggere GIEI GIEI non unirti a lui!»

Perché ammettiamolo, John, Joe e Wes per tutta la carriera hanno faticato a trovare i fondi per i loro film, si sono dovuti arrangiare e spesso sono stati messi ai margini da Hollywood che li considerava dei ribelli, i loro film erano per davvero una parata di dita medie del pugno sollevate e sventolate in caccia alla Mecca del cinema americano, possiamo dire lo stesso di Lana? Nella sua filmografia solo “Cloud Atlas” (la più grossa co-produzione con la Geemania, tanto da superare in classifica anche La storia infinita, storia vera) risulta essere la vera anomalia nella produzione delle sue sorelline, per tutti gli altri film (anche quelli che hanno solo supervisionato) le due sorelline hanno sempre potuto contare sulla carta bianca offerta loro dalla Warner, garantita dal fatto di essere sempre state le due cocche di Joel Silver.

Vecchi, fighi, ancora innamorati, come Robin e Marian alla ricerca del tempo perduto (per fortuna senza più occhiali da sole orribili sul naso)

Ed ora qui mi tocca inserire un grado di incertezza nel mio post, come dico sempre Padre Tempo è il più grande critico cinematografico del mondo. Questo sarà l’ultimo Matrix? Il Matrix pensato per impedire a chiunque altro di dirigere un nuovo capitolo (Joe Dante docet)? Oppure Lana ha semplicemente ripulito il tavolo da gioco per lasciare spazio ad altre registe e registi? Ma soprattutto, domani Lana prenderà altri soldini dalla Warner per un suo nuovo progetto? Questo solo Padre Tempo potrà dircelo, ma prima di parlare di “Resurrections” come del dito medio di Lana piazzato davanti al grugno di Hollywood, tenente in considerazione tutti questi elementi, vi avevo promesso un’analisi non binaria no?

Ultime due prima di chiudere giuro, sarò un lampo, la prima: visto che è tutta la vita che sento dire in giro che Fuga da Los Angeles (ma anche Gremlins 2) rientrano nella categoria binaria delle “cagate pazzesche”, spero almeno che qualcuna delle persone che in questo momento sta incensando “Resurrections”, come la vera risposta a operazioni malinconia come l’odioso (per me) Ghostbusters Legacy, abbia almeno l’onestà intellettuale di rivalutare i film di Carpenter e Dante. Anche se dei 148 minuti di “Resurrections”, più di cento stanno tranquillamente dalle parti di un Il risveglio della Forza qualunque, anche perché i tre Maestri “liberavano” i loro personaggi alla fine dei rispettivi film, Lana invece li ha riportati alla prima casella del Monopoli, quella del 1999. Prince era sempre quello più avanti di tutti.

Si Neo, sei ancora incastrato nel rivoluzionario (si fa per dire) messaggio “siate liberi e voi stessi”, bentornato nel 1999 da cui non sei mai uscito.

Ma tutta questa analisi, che ho provato a fare usando più il cervello (o presunto tale) che il cuore, devo concluderla aggiungendo una piccola critica a Lana, questa volta del tutto personale, soggettiva, quindi se volete anche completamente trascurabile, però concedetemela vi prego: Lana, ti voglio bene, però se nel tuo cast tu hai Christina Ricci, non la fai recitare per quarantadue secondi in un generico ruolo che avrei potuto ricoprire che so… Io! No eh!? Non si fa, puoi fare quello che vuoi tanto la Warner ti darà sempre fondi e carta bianca, ma questo torto a noi e a Christina Ricci no. Enne-O.

Sepolto in precedenza martedì 11 gennaio 2022

0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

I Tre Caballeros – Ghost in the shell

«Tu Biancaneve io Ghost in the shell» (cit.), forti di questa citazione noi Tre Caballeros ci siamo lanciati in una puntata cyberpunk, con un classico che compie trent’anni come Ghost [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing