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MaXXXine (2024): omicidi a luci rosse

Non accetterò una vita che non merito. Ormai conosciamo bene il mantra di Maxine Minx, l’anti-eroina creata da Ti West e impersonata alla grande da Mia Goth nel ruolo della vita, nel giro di tre film assorta allo stato di icona del cinema di genere, grazie ad X e all’ottimo Pearl. Tra i due ancora non mi sono deciso quale sia il mio preferito, di sicuro il tanto atteso “MaXXXine”, relegato ad uscita estiva in uno strambo Paese a forma di scarpa ne rappresenta la solida conclusione, visto che sono reduce dalla maratona con proiezione in sala di tutta la trilogia, oggi parliamo dell’ultimo atteso capitolo, in uscita questa settimana.

Affrontiamo immediatamente l’elefante nella stanza: ho letto parecchi «Mah!» e «Boh!» legati a questo film, perché tanto lo so che molti di voi Horror-maniaci, non avete resistito e ve lo siete sparato pirata a casina vostra, poi mi raccomando lamentatevi se da noi i film escono dopo e che so, in piena estate eh? Detto questo, tutte queste lamentele a cosa sarebbero legate esattamente? Ve lo dico io, aspettative, di due tipi per la precisione.

Mia Goth nella posa delle eroine della Bara, ormai lo è a pieno titolo.

Chi sperava di nuovo vedere Mia Goth fare le cosacce su schermo, potrebbe restare deluso perché malgrado tutto, le scene esplicite sono meno di X, quindi vecchi sporcaccioni che non siete altro, vi conosco… Degenerati. Il resto? Essendo il tanto atteso terzo capitolo di una trilogia che ha stupito con il suo esordio e forse ancora di più con il secondo capitolo, “MaXXXine” risente della sfiga dei terzogeniti, ma è anche un film con una sua precisa idea di cinema, limpida e per quanto citazionista (lo erano anche i primi due capitoli) molto creativa, sarà anche un film pieno di morti ammazzati ma è vivo, dal punto di vista della messa in scena, il più variegato, frizzante e riuscito di Ti West, che qui ha ancora una volta scritto, diretto e montato forse il suo film più stilisticamente completo, oltre che banalmente, più stiloso.

L’obbiettivo principale di “MaXXXine” era dichiarato, dare una conclusione alla storia della sua protagonista, continuando quel discorso iniziato con il primo capitolo di sovrapposizione tra cinema per adulti e cinema Horror, che in modo diverso sfruttano entrambi i corpi, ecco perché quando ritroviamo Maxine Minx, lo facciamo subito dopo due dichiarazioni d’intenti, il prologo in bianco e nero in formato filmino girato in famiglia e una citazione a Bette Davis, una delle tante grandi dive che aleggiano su “MaXXXine”.

Già solo per la ricostruzione storica, il film è una gioia per gli occhi.

Il provino per cui si presenta la nostra protagonista è per un film “vero”, non più uno di quelli per adulti di cui ormai è una Star, il parallelo del suo perfetto provino si ricollega a quello invece disastroso di Pearl, anche se alla fine sempre di sfruttamento di corpi parliamo. Con pungente satira Ti il terribile sottolinea come puoi anche essere perfetta al provino, ma comunque ti verrà sempre chiesto di mostrare il seno, altro termine di paragone, perché la nostra Maxine sembra ricalcare le orme di un’attrice che nel qui viene citata più volte (più o meno apertamente), ovvero Marilyn Chambers, resa celebre dal secondo film per adulti più famoso del pianeta, “Behind the green door”, e poi lanciata proprio da un Horror.

Se “X” omaggiava gli anni ’70 e Pearl i classici, “MaXXXine” sulle note degli ZZ Top ci porta nel 1985 non di Marty McFly ma dell’edonismo drogato dalla politica di Reagan, di Dee Snider a difendersi da accuse di oscenità per la sua arte in tribunale, di una Los Angeles turpe e basata su un’industria, quella del cinema, dove se non sei abbastanza determinato non arrivi e noi sappiamo che la nostra Maxine lo è, molto, e come conferma la scena del vicolo. Per mettere in difficoltà una così, ci vuole un assassino ribattezzato dai giornali “Night Stalker” che sta mietendo vittime tra le belle ragazze della città, college di Maxine.

Per me è sì! (ci metterete un attimo, ma poi vi sarà chiara)

Ammettiamolo, la parte “whodunit” ben presente nel film è debolissima, perché Ti il terribile gioca a carte scoperte fin dal prologo del film, lo sappiamo tutti di essere qui per la fine della storia di Maxine, quindi l’indagine è un po’ il segreto di pulcinella, ma West riesce a far prevalere lo stile e la sua maturità come regista, pescando ancora a piene mani, dimostrando di a er fatto sua la lezione di tutti, perché il suo cinema – e questa trilogia – sono citazionisti, ma facendolo davvero alla grande non cinema fotocopia stile GIEI GIEI Álvarez, vi avviso, segue elenco telefonico dei nomi, non perché siano tutti per forza modelli di riferimenti dichiarati di West (qualcuno sì, palesemente) ma per darvi l’idea di che razza di vitalità cinematografica ci sia nella pancia di “MaXXXine”.

Per certi versi la ricostruzione di Hollywood nell’anno 1985, il periodo degli horror al videonoleggio e di St. Elmos Fire in sala, ha qualcosa di dettagliato e amorevole come Tarantino aveva fatto per quella del 1969, però è lurida, violenta con le donne e carica di sesso (anche a pagamento e non per forza sanissimo) come la New York di Lucio Fulci, e con tutti quegli assassini con guanti di pelle nera è normale che riecheggino nella mente echi al Giallo all’italiana, che da sempre è stato cugino dello Slasher (ovvero il punto di partenza di questa trilogia) e di conseguenza, se ne sapete a pacchi di cinema o più semplicemente, siete vecchi lettori di questa Bara, chi è il regista citazionista che nei suoi film ha raccolto anche fascinazioni prese dal Giallo all’italiana facendole convivere con echi di Hitchcock? Ovviamente mi riferisco a Brian De Palma.

Maxine viene scelta come protagonista del chiacchierato “The Puritan II”, il finto-film diretto dalla regista Elizabeth Bender, fatta a forma di Elizabeth Debicki, i cui intenti sono quelli di fare un B-Movie con spunti da film indipendente, insomma è l’alter ego di Ti West. Per farlo porta la protagonista sui set della Paramount e in visita alla casa di Psycho, che poi altro non era che il primo grande Slasher della storia del Cinema, giusto per chiudere il cerchio.

«Perché quel tipo con la parrucca ci guarda dalla finestra di quella casa?», «É Anthony Perkins, sta pensando a “Psycho III”, dice che gli ho fregato l’idea.»

Quindi con “MaXXXine”, Ti il terribile rende omaggio a tutti i suoi ispiratori, dall’uomo che lo ha tenuto a battesimo, ovvero Larry Fessenden a cui affida il ruolo del guardiano dei set storici della Paramount, passando per zio Hitch e su fino a De Palma perché era inevitabile che West passasse di qui, se la tua protagonista è un’immaginaria stella dei film per adulti degli anni ’80, è con Omicidio a luci rosse che dovrai fare i conti, West lo sa e nella scena della discoteca, si gioca a sua volta i Frankie Goes To Hollywood dimostrando di aver fatto sua la lezione, perché dal punto di vista stilistico “MaXXXine” è una gioia per gli occhi, un film vivo per essere come detto, così pieno di ammazzamenti.

Maxine went to Hollywood

A ben guardare il personaggio del losco detective privato impersonato da Kevin Bacon (migliore in campo ad Ovest di Mia Goth) fa da collante tra gli anni ’70 di “X” e il 1985 di “MaXXXine” visto che con il passare dei minuti finisce anche lui con un cerottone sul naso (non si scappa dai classici) e la trama anche qui, procede per accumulo, anche di fascinazioni interne al cinema stesso di West, che a furia di giocare con il cinema in una scena non resiste alla tentazione di strizzare l’occhio al Western (genere che conosce bene) e a ben guardare, nella sua satirica critica all’industria, ci scivola dentro anche un po’ del suo “The Sacrament” (2013), quindi possiamo dire che “MaXXXine” è un punto di arrivo per regista e per la sua protagonista, ancora una volta in una prova straordinaria. Togli Mia Goth a questo film e in un attimo, perderemmo l’altro 50% della grande vitalità che lo caratterizza, anche perché a livello di ritmo, parliamoci chiaro, “MaXXXine” non ha nemmeno uno dei cali che aveva X, ed ha anche più split-screen in odore di De Palma, brutto?

Lascia perdere Kevin, è Chinatown Perfection (quasi-cit.)

In tutto questo, Ti West non si dimentica di stare anche facendo un film dell’orrore, quindi non solo porta avanti il discorso iniziato con X, ma lo fa lasciando un quantitativo di morti notevoli a terra, tutti massacrati con dovizia di trucchi prostetici vecchia scuola, anche se l’identità del killer con guanti neri è praticamente dichiarata, se non proprio già nota, il film funziona alla grande perché il fuoco è tutto su di lei, la protagonista basta guardare il ruolo dei due detective Williams (la rediviva Michelle Monaghan) e Torres (prezzemolino Bobby Cannavale), volendo ci sarebbe un film nel film dentro “MaXXXine” tutto raccontato dal loro punto di vista, anche se i loro personaggi poi si consumano quasi come funzioni narrative nella storia di Maxine Minx, lei che ha sempre tenuto gli occhi (di Bette Davis) sul premio, utilizzando un’espressione cara agli americani, ed è sempre stata pronta a tutto per diventare una grande stella. Non accetterò una vita che non merito, anche a costo di accettarli tutti.

Michelle Monaghan, anche a te tocca la posa delle eroine della Bara.

Dal un punto di vista squisitamente narrativo, “MaXXXine” non riesce a fare il punto sul genere Slasher come invece era stato in precedenza quasi in grado di fare X, non è una ricostruzione in costume e al tecnhicolor come Pearl, azzoppato dal compito per cui è nato, ovvero dare una conclusione alla storia di Maxine Minx, quella parte, quella con il mistero del killer è la più debole della trilogia, non si scappa, ma è innegabile allo stesso tempo che dei tre film sia anche il più vivo ed energico. Se le vostre aspettative vi imponevano un indefinito qualcosa di più, più morti, più tette o che altro ne so io, mi dispiace per voi, Ti West ha optato per una strada solida e sicura per chiudere la sua trilogia, la coerenza narrativa con cui lo fa e con cui ha dimostrato di aver capito le varie lezioni dei maestri sono qui per chi è pronto a gustarsele.

Il trucco alla Daryl Hannah in Blade Runner possono permetterselo in poche, Mia è una di quelle.

Ed ora che l’unico limite sembra il cielo, che faranno Ti West e Mia Goth, che per la terza volta ha avuto l’occasione di interpretare il personaggio della vita? Senza rovinare la visione a nessuno, in quel «Voglio solo non finisca mai…» che apre ad una carrellata che dalla Mecca del cinema americano va alle stelle, non è chiaro chi stia parlando tanto sono mescolati tra di loro, Ti West? Mia Goth? Maxine? Magari tutti quanti loro. Ora andate, non accettate una vita (artistica) che non vi siete meritati.

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