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Megalopolis (2024): un sogno (matto) lungo una vita

I cinque minuti iniziali di un film, quelli che ne determinano tutto l’andamento. I primi cinque minuti del suo nuovo film, prima regia a distanza di tredici anni dal mai davvero compreso e fin troppo sottovalutato “Twixt”, Francis Ford Coppola se li gioca con il suo protagonista, Cesar Catilina (Adam “Bellissimo” Driver) che si sporge dalla sommità di un grattacielo avvolto nella dorata luce del tramonto («Stay gold») mettendo un piede nel vuoto. Ho visto metafore al cinema dirette peggio di così.

Catilina non vuole morire, ma mette alla prova un potere che gli impedisce di precipitare nel vuoto e sfracellarsi, perché al grido di «STOP!», tutto il mondo si ferma davanti a lui, immobile, congelato, come un set cinematografico quando il regista interrompe la scena.

«Oh oh oh! Ma che scherziamo!? Soffro anche di vertigini!»

L’architetto più innovativo di New Rome non è alla ricerca di potere economico, come quello che detiene suo zio Hamilton Crassus III, un banchiere fatto a forma di Jon Voight, nemmeno politico, quello è nelle mani del losco sindaco in odore di gangster da cui prendere le distanze (ricorda nulla?) ovvero Frank Cicero (Giancarlo Esposito). L’unico interesse oltre alla bellissima figlia di Cicero, Julia (Nathalie Emmanuel… che te lo dico a fa), per il nostro architetto è il potere da lui stesso scoperto, il megalon, questo materiale innovativo, gli permette di controllare il tempo, fermarlo, farlo ripartire anche se questo non gli ha permesso di salvare la sua amata moglie, deceduta in un incidente in auto. Accusato dal sindaco per questa morte, Catilina vive una giovinezza senza la giovinezza, attraversando gli oceani del tempo si potrebbe dire. Ma ora, piccolo passo indietro, ok che ho una Bara Volante, ma non sono Catilina.

Il protagonista di “Un’altra giovinezza” (2007) colpito da un fulmine ringiovaniva, nel più dimenticato dei film di Coppola, l’amatissimo Robin Williams, “Jack” (1996), oltre ad avere JLo come maestra di scuola (!) invecchiava quattro volte più velocemente degli altri, ci potremmo ficcare dentro anche il suo Conte Dracula ma l’ho già citato, quindi diciamo che l’idea per “Megalopolis” era nella testa di Coppola dal 1979 più o meno, da quando era nella giungla a girare quel suo film di guerra, quello famosino, il classico sogno matto di una vita, quello per cui Coppola ha pensato bene di tagliare sull’eredità dei figli, mettendo mano ai profitti dei suoi vigneti perché nessuno ha creduto ad un progetto, pensate un po’, fuori tempo.

Bellissimo e semaforico.

Giusto per essere ancora più chiaro, il sottotitolo di “Megalopolis”, scolpito nel marmo dei titoli di testa – letteralmente! – è “A fable”, esattamente come erano una favola (Rock ‘n’ Roll) le strade di fuoco di Walter Hill, anche in quel caso un progetto in parti uguali personale e fallimentare al botteghino, rivalutato pensate un po’? Con il tempo, non come ha cercato in un modo maldestro e disperatamente idiota di fare la Lionsgate, montando un trailer con i commenti d’epoca negativi dei classici riconosciuti (oggi) di Coppola, peccato che lo abbiano scritto con ChatGPT generando così un falso storico e un boomerang negativo di pubblicità per un film, accolto già tiepidamente anche a Cannes, perché? Perché viviamo tempi strani.

“Megalopolis” è pacchiano, barocco e rococò come solo il progetto inseguito una vita su un architetto potrebbe essere, oltre a Hill mi ha ricordato qualcosa di Terry Gilliam, forse accumunato dalla presenza di Adamo Guidatore, l’uomo che sblocca i progetti arenati da decenni dei registi, con questo di Coppola in carriera siamo a tre, e il tassametro corre. Esagerato è il quantitativo di facce note radunate da Coppola anche in ruoli piccolissimi, pescando da coloro che hanno recitato nei suoi film o che sono parte della sua famiglia, tipo Talia Shire, ma è normale che in questo grosso dramma con famiglie, che strizza l’occhio all’antica Roma il taglio sia questo, Catilina si divide tra la sua volontà di cercare di conquistare Julia e dal suo intrattenersi con una giornalista sopra le righe nello stile e nel nome, Wow Platinum, fatta a forma di Aubrey Plaza.

Bellissima, ma Adam Driver biondo avrebbe vinto lo scontro diretto.

Il progetto era nella testa del regista da così tanto tempo che James Caan non ha fatto in tempo a prendere parte, anche se il ruolo del laido cugino Clodio Pulcher, affidato d’ufficio a Shia LaBeouf sembrava fatto dal sarto per quello che è sempre stato l’istintivo nelle famiglie di Coppola, il caro vecchio Sonny, infatti proprio il discorso sulla famiglia sembra tirare parte delle fila della storia e marchia a fuoco il finale, che per alcuni potrà sembrare troppo, anche pacchiano, appunto, per chiudere il cerchio di questi due paragrafi.

Coppola firma un film manifesto, prima che Padre Tempo gli impedisca per sempre di farlo, ora che ha ancora i soldi per produrselo da solo e ovviamente, non moderato, non solo perché è il produttore di se stesso, ma perché questo film è uno che viene dal cuore (occhiolino-occhiolino), non è affatto un remake, ma mantiene viva in qualche modo la fiamma dell’ispirazione originale, che era stato “La vita futura” (1936), visto da Coppola in gioventù e mai dimenticato. Il film diretto da William Cameron Menzies e finanziato dal visionario produttore Alexander Korda ruotava attorno ad un mondo andato alla deriva e ricostruito sull’esempio dell’antica Grecia. Massacrato al montaggio e spesso sforbiciato per adattarsi ai gusti della nazione in cui veniva distribuito, il film fu un sanguinoso fallimento produttivo che ha avuto bisogno di anni, insomma di tempo, per essere riconosciuto come titolo di culto.

Ed io che pensavo che la scrivania della Wing-woman fosse un casino.

Allo stesso modo Coppola ci racconta di Catilina, uno che si tiene lontano dal popolo come il regista in esilio tra i suoi vigneti, che ha messo su un’architettura degna di “Metropolis” (1927) sostenuta da un CGI che a volte fa tenerezza, a volte abbraccia scarti che vanno dalla tragedia di stampo shakespeariano alla commedia, fino a slancio d’affetto nei confronti della famiglia che sono radicati nel regista, con la differenza che il suo Catilina è vittima, non mente dietro alla rivolta che qui, può essere solo di stampo populista (quindi fin troppo attuale) per poter smuovere la pancia del grande pubblico.

L’utopia a cui punta Catilina non può che ricordare il costruttore di automobili Preston Tucker anche se è inutile girarci attorno, il livello di grandiosità ricercata, quell’affetto manifesto e il successivo disastro commerciale, non può che rimandare al titolo della filmografia di Coppola che più si avvicina a “Megalopolis”, ovvero “Un sogno lungo un giorno” (1982) un bellissimo disastro che ancora oggi, non figura mai tra i migliori titoli di Coppola quando invece, meriterebbe di starci.

Un visionario con un sogno, la storia di Francis.

Non so se “Megalopolis” avrà la stessa direzione, forse, chissà, eppure la visione mi è volata, malgrado i momenti da ricostruzione barocca dell’antica Roma, si porta in pancia un certo slancio al miglioramento che per sua natura, a volte, deve abbracciare l’idea di fallimento, due risultati che vanno inevitabilmente a braccetto. Il problema quando si parla di cinema (e non solo) nella nostra società ultraveloce, pensate un po’, è il tempo, sembra che non ce ne sia mai abbastanza per valutare, la corsa è quella per chi arriva primo ad etichettare il titolo del momento come “Capolavorò!” o “Cagata pazzesca” e poi passare ad altro. Ogni titolo che non risulta canonico allo standard, aderente alle aspettative o al nome del regista che lo ha firmato, non viene giudicato all’altezza, la tecnica usata dai “Cinefili del Super Sayan” come li chiamo io, quello per cui tutto deve essere classificato a livelli.

Come lo etichetti un film che alla proiezione a Cannes, prevedeva un momento in cui in sala si è presentato un tizio armato di microfono sotto lo schermo, a ribattere e battibeccare, in un campo e contro campo ideale, un dialogo con Adam Driver in “diretta” dallo schermo (storia vera). Come la adatti una cosa così? Come la fai rientrare in un solco considerato standard, noto, quindi sicuro per il pubblico, per un film che non ha nessuna intenzione di essere normale, classico, rassicurante e canonico.

Bellissima, quasi quanto Adamo Guidatore.

Coppola mette in chiaro che il Cinema ha il poter di fermare il tempo e quindi “Megalopolis” si prende tutto il suo tempo, anche per fallire se necessario, per provare a guardare dall’alto come Catilina, tutta quella smania di etichettare, di giudicare solo sulla base di «Mi sono annoiato» nella dittatura del se è piaciuto a me è bellissimo, altrimenti deve far cagare per forza. Il sogno matto di Coppola è durato ben più di un giorno e con tutta la sua volontà di essere barocco e afflitto da una CGI così così, ti chiede idealmente se vuoi essere un giornalista scandalistico, un banchiere, un politico oppure un sognatore nella città costruita dal regista architetto, scegliete il vostro posto e il vostro punto di vista su un film che se ne frega del budget, della distribuzione, a volte anche del formato e anche della possibilità di fallire, insomma l’arte, quasi allo stato puro, ve la ricordate? Di questo si tratta.

Un film così, in mano a chiunque altro diverso da Coppola, sarebbe stato molto meno artistico, ci è andata bene così.
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