Ci sono delle regole fisse ad Hollywood, una di questa recita che se fai abbastanza soldi, ti becchi il seguito senza nemmeno pensarci, e poi c’è la regola aurea dedicata ai seguiti, che devono essere uguali al primo, ma di più! Vale anche per “Men in Black II” anche noto con l’acronimo MIIB, che è identico al capostipite, solo meno scintillante, di una tonalità di nero più scolorito verrebbe da dire.
Originariamente la sceneggiatura avrebbe dovuto scriverla David Koepp, salvo lasciare il compito per via di precedenti impegni a Barry Fanaro e Robert Gordon, che arrivava da Galaxy Quest gioiellino drammaticamente sottovalutato.
Per la regia Barry Sonnenfeld non ha dubbi e nessuna voglia di ripetere il disastro di “Wild Wild West” (1999), va bene il sodalizio artistico con Will Smith, però grazie a quel film Barry ha capito che al pubblico piacciono i protagonisti con la schiena dritta, ma se sono innamorati della bella di turno anche meglio. Sarà, ma secondo me avrebbe dovuto portarsi a casa la lezione di non assecondare la mania per i ragni giganti di Jon Peters.
Sta di fatto che la trama fa di tutto per cancellare più in fretta possibile lo scenario creato alla fine del primo film, ecco perché la bella Linda Fiorentino – che pare sarebbe anche tornata volentieri nei panni dell’Agente L – viene rispedita al suo obitorio con una riga di dialogo e tanti saluti a quel bel paio di gambe. Che spreco.
La produzione di MIIB prosegue bella liscia almeno fino ad una brutta mattinata di settembre dell’anno 2001 che cambia il mondo e in maniera decisamente meno importante, costringe la produzione a riscrivere e rigirare il finale del film, ambientato sul tetto del World Trade Center (Storia vera). Un problema che fa lievitare i costi, slittare l’uscita e innervosire gli animi, già tesi.
Si perché pare che a Will Smith la trama non piacesse più di tanto, dettaglio che vedremo meglio parlando del terzo capitolo (prossimamente su queste Bare), ma il ragazzo si è impegnato lo stesso nella promozione del film, anche qui seguendo regole non scritte di Hollywood. Se il videoclip del primo film aveva lanciato la pellicola (e la carriera musicale di Smith), l’ex Principe di Bel-Air ci riprova con Black Suits Comin’ (Nod Ya Head) e il suo roboante video pensato per farti dolere la cervicale e diretto da Francis Lawrence, che non è un omonimo, ma proprio lo stesso Francis Lawrence che dirigerà Will Smith in “Io sono Le… No. Non riesco nemmeno a scriverlo, vi giuro, mi si annodano le dita, andiamo avanti.
Bisogna dire che “Men in Black II” è un po’ più sciolto nel gestire le parti comiche, ma cerca anche di evitare ogni possibile polemica scegliendo una trama fotocopia del film precedente – un nuovo misterioso oggetto da trovare, la Luce di Zartha – ancora più ripulita da ogni possibile lettura di secondo livello. Vuoi mai che qualcuno pensi che un film così potrebbe essere metafora della migrazione e dei problemi di integrazione no? Ma va! Buttiamola sul ridere, tanto che la battuta migliore di tutto il film, quella riguardo al pilota automatico che spunta dal volante della macchina – un po’ alla L’aereo più pazzo del mondo – improvvisata sul set da Will Smith, finisce dritta nel trailer del film, facendo storcere il naso a Barry Sonnenfeld. Perché ammettiamolo, sentire l’agente J dire «Prima la davano con un nero al volante, ma lo fermavano sempre», fa morire dal ridere la prima volta, ma se lo senti ripetere ad ogni spot televisivo, perde uno zinzinello della sua freschezza.
A proposito di gag divertenti anticipate prima del tempo, se avete sempre visto il film doppiato, sembrerà solo un segno di continuità la comparsata di Michael Jackson, che qui chiede a Z (Rip Torn) di diventare anche lui un MIB. L’MJ non cestistico era citato anche nell’ultima riga di dialogo del doppiaggio Italiano del primo film, ma in originale il personaggio citato al suo posto era il compagno di squadra di MJ (questa volta quello cestistico) ovvero Dennis Rodman. Quindi possiamo dire che il nostro doppiaggio ha evocato Michael Jackson, ma se nel film fosse comparso al suo posto Dennis “Il verme” Rodman, avrei fatto le capriole sulle mani!
Ricordo di averlo visto al cinema alla sua uscita questo MIIB, ricordo anche di essermi divertito, salvo poi ritrovarmi dopo pochissimo tempo come uno dei personaggi del film, uno di quelli che viene “Sparaflashato” dai Neuralizzatori degli uomini in nero. Ho dimenticato prestissimo tutto della trama, ricordavo giusto una strappona come cattiva (un tipo di dettaglio che la mia mente tende a salvare) e qualche trovata spassosa, come quella dell’armadietto, che poi altro non è che una versione in grande – come richiede la regola aurea dei seguiti – dell’ultima scena del primo film, ma poi? Boh, vuoto totale.
Me lo sono rivisto qualche tempo fa in vista di questo ripassino, e mi sono ricordato perché questo film non mi ha mai detto nulla. La cattiva è tutta estetica e zero sostanza, la trama è la stessa del primo film ma con una caccia al tesoro abbastanza auto referenziale, e per tutto il primo atto, il film risente dell’assenza del carisma dell’agente K, finito a lavorare in un ufficio postale di provincia, perché qui le poste sono gestite da impiegati alieni, come gli uffici erano gestiti dai suicidi in “Beetlejuice” (1988… fate un grosso saluto a Crepascolo per questa brillante associazione), e mi viene da chiedere: ma i commerciali da che pianeta vengono? Avete presente agenti immobiliari, venditori di auto? Se dico Urano è una battuta troppo scontata vero?
L’inizio è strambo ma non male, il disperso episodio 27 di “Misteri della storia” sembra una puntata di vecchie serie di fantascienza come “Ai confini della realtà” una roba che viene definita “Quasi alla Spielberg”, giusto per strizzare l’occhio al produttore esecutivo (quando dico che è fin troppo auto referenziale). Un inizio che serve a raccontarci di come i MIB siano interceduti tra gli Zarthani, e la malvagia Kylotiana di nome Seerlena, per proteggere l’artefatto più importante, la luce di Zartha su cui la viscida (in tutti i sensi) aliena vuole mettere mani e tentacoli.
Il ritorno in scena dell’agente J (Will Smith) è meno roboante perché l’ex “Junior” sarà anche diventato un agente “Senior”, ma tocca scontrarsi fin da subito con i problemi di un “green screen” invecchiato maluccio, quando lo vediamo cavalcare l’enorme vermone Jeffrey nei tunnel della metropolitana. Opposto ai trucchi prostetici di Rick Baker non c’è davvero gara, i suoi alieni fatti di trucco plastica e fatica, battono la CGI dieci a zero, palla al centro.
Se poi il primo Men in Black si giocava ancora qualche momento capace di mordere e mordicchiare, restano all’interno del visto censura, qui si vede che ormai siamo nel 2002 e il cinema per tutti, deve essere edulcorato. Una delle scene più memorabili resta di sicuro l’atterraggio della (mini) astronave di Seerlena, che passa da vermetto strisciante a “corpo da reato” prendendo ispirazione da una pubblicità di Victoria’s Secret. Non credo ci siano dubbi sul cosa vorrebbe farle l’aggressore nel parco, ma è anche chiaro che venga divorato da Seerlena fuori scena, quindi scordatevi anche quel poco di violenza che nel 1997 ai tempi del primo capitolo, era ancora possibile.
Pare che la prima candidata per il ruolo di Seerlena fosse Famke Janssen già impegnata con un altro seguito, quello di X-Men. Ed ora prendetela con le pinze perché qui rischiamo di finire in piena zona gossip, pare che Lara Flynn Boyle sia stata suggerita da Jack Nicholson, in quanto sua allora “fidanzata” chiamiamola così. Perché il vizio di presentarsi in prima fila alle partite dei suoi Los Angeles Lakers, con accanto una di venti o trent’anni più giovane, il vecchio Jack non l’ha mai perso. Sta di fatto che Lara Flynn Boyle qui è irriconoscibile, la vera trasformazione non è da vermetto a modella di Victoria’s Secret, quando da brava ragazza di Twin Peaks a “Elga frusta e manette” (cit.), per un personaggio che esteticamente funziona, ricorda un po’ uno stile da Morticia Addams che Barry Sonnenfeld conosce bene, ma oltre a quello non fa più di tanto.
Non aiuta nemmeno che accanto abbia una spalla interpretata dalla doppia testa – una in CGI così così – di Johnny Knoxville, al secondo film con Sonnenfeld in fila dopo “Big Trouble – Una valigia piena di guai” (2002).
Will Smith è abbastanza in palla e si vede che ci tiene a fare un bel lavoro, ma per la prima parte del film tocca sorbirci la sua veloce trasformazione in K, ovvero un agente esperto che ne ha viste già tante ma sa che non avrà mai una vita normale, ecco perché non riesce a “Sparaflashare” la testimone Laura Vasquez quando questa gli fa gli occhi dolci. Per altro oggi sembra la normalità, ma Rosario Dawson nel 2002 non era ancora così nota (magari la ricordate in “Kids” 1995), il botto vero lo avrebbe fatto con quel capolavoro di “La 25° Ora” (2002), quindi allora era ancora relativamente sconosciuta e di bell’aspetto, da non destare sospetti e funzionare nella parte della bella di turno con svolta finale.
Trovo però abbastanza clamoroso il fatto che nessuno si sia fidato a lasciare solo Will Smith, prima gli appioppano un nuovo collega che dura lo spazio di un mattino (Patrick Warburton) poi gli tocca fare da spalla al carlino Frank che si mangia la scena, anche troppo! Ok è un cane che parla, ok ha la giacchetta da MIB anche lui, ma la sensazione è: Quando la finite di fare gli scemi e iniziamo con la trama?
Se Frank faceva ridere nel primo film, la regola aurea dei seguiti impone di dare al carlino più spazio, ma il film comincia per davvero solo quando per ritrovare la luce di Zartha bisogna richiamare in azione l’agente che gestí la mediazione negli anni ’70, grazie Tommy Lee Jones mi sei mancato!
Sempre seguendo il principio “Uguale ma più grande” J e K sono a ruoli invertiti, ora è Tommy Lee Jones quello che non sa nulla del mondo degli uomini in nero, una situazione che crea anche momenti simpatici come il “Beatbox” all’ufficio postale, ma che non può essere tirata troppo a lungo infatti quando l’agente K viene “De-neuralizzato” si spera di poter avere finalmente un’indagine di “Strambi sbirri” come si deve.
Invece l’umorismo resta tutto di grana abbastanza grossa, e quando dico grossa intendo che l’evacuazione della base dei MIB avviene letteralmente tirando la catena di un enorme sciacquone (Ah-Ah), e il gruppo di vermoni tabagisti, passano il tempo a fare battutacce a doppio senso che fanno ridere una volta, due, ma dopo sessantatré magari anche no grazie. Quando li vediamo giocare a Twister con Rosario Dawson al grido di «Se provi il vermone non cambi opinione», viene da rimpiangere i dialoghi del primo film che filavano via lisci come l’olio, senza inciampare mai in battutacce del tutto fini a loro stesse, pensate per far fare quella grossa al pubblico. La risatona intendo! Quella che poi sputazzi tutti i pop-corn, laggiù fino alla prima fila e un attimo dopo, ti sei dimenticato perché ridevi.
Insomma “Men in Black II” è tutto sommato divertente, mentre lo guardi ridi ma è impossibile non notare la differenza di brio e stile rispetto al capitolo precedente, una formula che evidentemente non ha regole scritte, perché lo stesso cast e lo stesso regista non sono riusciti a replicare. E visto che lo avevo citato anche scrivendo del primo capitolo, più o meno qui ritroviamo una situazione tipo “Ghostbuster 2” (1989) che non è brutto, solo, beh, non ha più la freschezza del primo.
Devo anche dire che per fortuna mi avete convinto a scriverne, siete i migliori lettori del mondo anche per questo. Per la seconda volta MIIB mi stava facendo l’effetto Neuralizzatore, stavo già cominciando a dimenticarlo nuovamente, un po’ come se mi fossi sparaflashato da solo negli occhi. Che imbarazzo. Prossimamente su queste bare, completiamo l’opera, e diamo una ripassata anche al terzo capitolo, non mancate!
Volevo dedicare questo post, e il prossimo relativo alla saga di “Men in Black” a Rip Torn, che ci ha lasciati ieri, oppure è semplicemente tornato sul suo pianeta. Ciao Rip, ci vediamo nei film!
Sepolto in precedenza giovedì 11 luglio 2019
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