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Men in Black – International (2019): Non servirà il Neuralizzatore per dimenticarlo

Non si tratta di un Men in Black, anche se è sempre vestito
di nero, però per questo spin-off anche questa volta mi tocca citare Ian Malcolm: Quanto mi secca avere
sempre ragione!

Era abbastanza prevedibile che il ritorno dei MIB sarebbe
stata l’ennesima operazione fuori tempo massimo, non potevo prevedere che al
netto di così tanta iconografia creata nei film precedenti, il risultato sarebbe stato qualcosa di così, dalle mie parti
diremmo “gnecco”, tipo i grissini quando sono vecchi di troppi giorni.

Lo ammetto candidamente, il nome del regista mi ha fatto
storcere il naso, F. Gary Gray oltre ad avere uno scioglilingua al posto del
nome, è uno che ha firmato il “The Italian Job” sbagliato (il remake del 2003),
roba tediosa come “Giustizia privata” (2009), ma in generale è uno che esegue quello che gli viene chiesto di fare,
e in qualche caso, se messo a capo di una macchina ben oliata, può anche fare
un buon lavoro.

“Che guardi? Il girato di oggi?”, “No Giustizia privata. Mamma mia che schifezza ho fatto”.

Una critica che avevo mosso al secondo capitolo della saga – quello più somigliante per spirito a
questo spin-off – era stata quella di aver spazzato via i riferimenti alla
situazione internazionale, sostituendo ogni possibile lettura di secondo
livello sulla migrazione e sulle difficoltà delle convivenza, con una serie di
battute cretine, il più delle volte a doppio senso, molte delle quali per nulla
divertenti. Incredibilmente per questo “MIB – International” mi tocca prendere
le parti di F. Gary Gray, che per buona parte della travagliata produzione del
film, ha fatto a capocciate con la produzione, che pare abbia voluto spazzare
via dalla sceneggiatura originale ogni riferimento sull’attuale dibattito sull’immigrazione,
chiedendo svariate riscritture e puntando tutto sugli attori principali, Tessa
Thompson e Chris Hemsworth (di nuovo insieme dopo Thor Ragnarok), tanto che Mr. Gray ha tentato di ripudiare il film
una volta finito, ma parliamoci chiaro,
non ci è riuscito uno come Brian De Palma, figuriamoci se può farlo coso qui, l’uomo scioglilingua.

“Ma come si fa a pilotare questa Bara Volante, non ha nemmeno le marce!”

Per certi versi il primo Men in Black aveva anticipato i tempi, era stato uno dei primi film ad alto
budget a portare sul grande schermo un fumetto (semi sconosciuto) scegliendo un
attore di colore come protagonista, trovo incredibile come in ventidue anni, il
cinema americano sia stato rigirato come un calzino, e forse non per forza dal
lato giusto. Se un tempo “Tratto da un fumetto” ti faceva guadagnare una
smutandata, ora anche i film che non hanno nulla a che vedere con i fumetti di
super eroi, cercano di infilarsi in scia.

Fin dalle martellanti pubblicità in tv, era chiaro che
questo nuovo film, nel suo tentativo di rilanciare la saga, puntasse tutto sul
paragone con i cinecomics, Chris Hemsworth qui è alle prese con un alieno di
nome Luca Brasi (Francis Ford perdonali se puoi!) a cui lancia un martello in
una scena stupidissima messa dentro per ricordare a tutti: Ehi! Noi abbiamo un
Thor!

Questa foto con didascalia è dedicata a tutti i Freudiani là fuori in lettura.

Peccato che il personaggio di Hemsworth, l’agente H (ma
quanta fantasia!) sia un ciocco di legno modellato a colpi d’accetta, e fritto
nell’olio del già visto mille altre volte, il classico personaggio “bravo, ma
non si applica”, più interessato a fare il cretino tutto il tempo che a
prendersi le sue responsabilità. Il suo arco narrativo è talmente telefonato da
non giocarsi nessuna sorpresa, anche quando un colpo di scena lo avrebbe
davvero, peccato che venga sottolineato con il pennarellone a punta grossa, così
tante volte, da risultare scontato e ben poco sorprendente fin da subito.

Mi spiace che tutti gli appassionati del Thor serio – quello
di Kenneth Branagh per capirci – siano rimasti delusi della svolta “scemona”
data al personaggio dalla Marvel, ma dovrebbe essere abbastanza chiaro a tutti,
che questi sono i ruoli che a Chris Hemsworth riescono meglio, anche se qui è
talmente forzato nel suo fare il cretino, da avermi creato più repulsione che
simpatia, non siamo ancora ai livelli (drammatici!) di antipatia del maledetto Kevin, però quasi.

“Sarà un film memorabile, come il remake di Ghostbusters!”

Inoltre “MIB – International” è un buon esempio di una
tendenza che sta diventando predominante nei prodotti americani d’intrattenimento
per tutti, se in Stranger Things 3 i
personaggi venivano scaraventanti contro pareti di cemento senza subire danni,
come se fossero tutti quanti Hulk oppure beh, Thor, qui in una scena il
personaggio di Hemsworth esegue un immotivato salto all’indietro (girato
evidentemente con l’utilizzo di cavi) che sarebbe normalissimo vedere in un
film di super eroi, ma totalmente non giustificabile in una pellicola in cui l’elemento
fantastico è esterno, rappresentato dagli alieni e dalla loro tecnologia. Un
allineamento allo standard delle super calzamaglie che ritenevo già preoccupante
ai tempi in cui John McClane abbatteva aerei da combattimento a mani nude, figuriamoci ora!

Ma in generale “Men in Black – International” è un film
piuttosto sciatto perché le scene che lo compongono sono spesso senza senso,
oppure poco amalgamante tra di loro, ad esempio quando facciamo la conoscenza
dell’Agente H, lo troviamo sotto copertura, alle prese con non si sa bene quale
missione da compiere, in una scena che termina con un antidoto, che non può
nemmeno permettersi di allacciare le scarpa al corrispettivo con Indy come protagonista (anche se le
ambizioni da film d’avventura andrebbero in quella direzione, che teneri che
sono i tipi della Sony a volte!), e che si conclude con una gag cretina che
serve solo a mostrare un po’ degli addominali di Hemsworth, un argomento che
non mi scalda per niente, quindi invece di ridere per la non battuta finale
pensavo: «Perché eseguiva salti all’indietro dalla sedia? Perché era sotto
copertura? Insomma, cosa sto guardando?».

La mia stessa identica reazione davanti al film.

Per essere una saga così progressista poi, la presenza di
una protagonista donna come la lanciatissima Tessa Thompson è passata praticamente inosservata, eppure tutto
ruota intorno a lei, il suo personaggio è una secchiona molto motivata, che da
bambina riuscendo ad evirare gli effetti del Neuralizzatore di un paio di MIB
giunti a casa sua (ignorando completamente l’alieno in casa, ma vabbè, questo
film procede tutto così) è cresciuta cercando ogni modo possibile per diventare
anche lei un “Uomo in nero”, anzi una “Donna in nero”, per citare una battuta
che nei nostri strambi tempi moderni, molto sensibili a determinati argomenti
(e meno alla qualità dei film) era inevitabile trovare qui.

Strizzate d’occhio a caso: GIEI GIEI Abrams sarebbe orgoglioso di voi.

Per farvi capire l’andazzo di questo “Men in Black –
International”, sappiate che molto procede a colpi di strizzate d’occhio, in
una scena di due secondi si intravede Frank il carlino (anche se nel terzo capitolo era stato dichiarato
morto… MIRACOLO!), e che molta attenzione viene data alla scena della “vestizione”
della nuova Agente M, ricalcata identica a quella di Will Smith nel primo film, ma con la metà dell’entusiasmo
da parte di tutti (spettatori compresi).

Ho come un Déjà vù, però gli occhiali devo dire, non sono niente male.

Inoltre siccome il tono di questo film è tutto sbagliato,
anche le idee per arrivare forti e chiare, vanno ribadite sedici volte, in modo
che gli spettatori dell’ultima fila, impegnati a masticare rumorosamente i
pop-corn possano capirle. Sarebbe già chiarissimo così che questa è la stessa
scena del 1997, con Emma Thompson al posto di Rip Torn e Tessa Thompson
(nessuna parentela… credo) al posto del principe di Bel-Air, ma non basta!
Vogliamo ribadire il concetto con una noiosa battutina sul nome “Men in Black”
che dovrebbe essere esteso anche a “Women in Black”? Sapete come funziona no? I
Pop-Corn fanno rumore quando li stai masticando.

La prima donna protagonista di MIB. La fanno vestire da uomo (Facciapalmo).

La trama è abbastanza un pretesto per far viaggiare i MIB da
New York (sede principale) alla base Londinese capitanata dal direttore High T
(Liam Neeson) un gioco di parole con il thè tanto amato dagli Inglesi, che va
perso in un doppiaggio Italiota strapieno di termini mantenuti in inglese. Che
grande occasione persa è stato non tradurre il nome dei cattivissimi “Hive” con
“alveare” (o qualcosa di simile) parola che rende molto meglio l’idea di una
razza aliena che agisce con un’unica mente, prendendo le sembianze degli umani
(come nel primo Critters ora che ci
penso). Risultato? Ogni volta che qualcuno nel film li cita, io mi ritrovavo a
pensare che i cattivi di questo film fossero una popolare band svedese, per altro nota per vestirsi sempre in bianco e nero,
quindi perfetti da opporre anche cromaticamente ai MIB.

In pratica il negativo dei Men in Black.

“Men in Black – International” si gioca il vecchio trucco di
cambiare spesso location per far colpo sull’immaginario del pubblico americano,
peccato che il viaggio a Marrakesh (dove però Amazon consegna regolarmente, così
lo sapete, nel caso trovandovi da quelle parti, doveste per caso ordinare
qualcosa di urgente) crea più noia che ammirazione, e vi assicuro che sono
stati davvero molti i momenti in cui guardando l’orologio mi sono ritrovato a sbuffare
(storia vera).

La sotto trama della talpa nei MIB poi è gestita malissimo,
e non serve nemmeno la presenza di Rafe Spall a depistare un giallo la cui
soluzione, è risolvibile fin dalla prima scena del film. Per altro, menzione
speciale per Spall, uno che dopo essere passato alla storia come il biologo che
tocca gli alieni di Prometheus, si
sta facendo una carriera incredibilmente proficua nei panni dell’Inglese
stronzo nelle produzioni americane,
se continua così lavorerà fino a novant’anni anni!

“Com’è essere un Men in Black? Non tanto diverso da quando ero Darkman, il colore è sempre lo stesso”

Questa vacanza in giro per il mondo dei Men in Black è ben
poco avvincente e ancora meno divertente, il rapporto di amore e odio tra i due
protagonisti è talmente stantio da sprecare due attori che altrove si erano
dimostrati più brillanti, e voglio scriverlo a scanso di equivoci: il prossimo
che verrà sorpreso a lamentarsi di Ragnarok,
verrà costretto a guardare questo film in stile “Cura Ludovico”, allora forse
sarà chiara la differenza tra un film che fa lo scemo ma ha delle cose da dire
e dei personaggi da raccontare, ed un altro che invece fa lo scemo e basta, per
altro senza nemmeno riuscirci.

Ma visto che ho evocato “Thor Ragnarok”, anche qui un
personaggio verde ruba la scena, è il piccolo Pedone doppiato in originale da Kumail
Nanjiani, ed io ve lo dico, quando la spalla comica del film, quella animata in
CGI, risulta più simpatico e carismatico dei tuoi due attori più pagati, vuol
dire che hai un problema, anche piuttosto grosso!

“Potete ammetterlo, vi ho appena rubato la scena”

L’idea di una razza aliena che si nasconde tra i pezzi di
una scacchiera (mantenendo per altro la gerarchia dei ruoli che “interpretano”)
è piuttosto divertente, e forse il vero vincitore di questo Spin-off è davvero
l’ometto in armatura, quello che ci metterà un po’ più tempo ad essere
cancellato dalla memoria, lui e la sprecatissima Rebecca Ferguson, che in una
scena girata ad Ischia, sfoggia un terzo braccio aggiuntivo e i capelli a
strisce, ma resta comunque la più sexy di tutto il film. Non chiedo molto dalla
vita, datemi film dove Rebecca Ferguson può usare quelle sue cosce da applausi
per sgambettare dando un senso a scene di combattimento, ed io sarà un uomo felice. Visto che ormai gli attori
diventano famosi solo quando interpretano una super calzamaglia, terrò il muso finché
non le faranno interpretare Catwoman. Hei Matt Reeves! Sto parlando con te!

Tre braccia? Avrei preferito come in Atto di Forza, ma va bene lo stesso.

In questa sagra del già visto e dei colpi di scena intuibili
con diverse mezz’ore di anticipo, il finale di “Men in Black – International”
sfrutta malissimo il “mantra” del personaggio di Liam Neeson, per cui l’universo
ti porta ad essere nel posto giusto, al momento giusto. Che poi è dove vorrei
trovarmi io dopo aver visto questo film, possibilmente senza occhiali da sole, sulla
traiettoria di un Neuralizzatore dei MIB, per farmi “sparaflashare” dimenticando
questa pellicola moscia e noiosa, anche se sono abbastanza sicuro che in un
paio di settimane, Padre Tempo avrà già fatto il suo dovere.

Non mi stancherò mai di concludere i post con questa gif!
Se per caso vi foste persi qualcosa, qui trovate i commenti
agli altri film della saga:

Men in Black II (2002)
Men in Black 3 (2012)

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