Lo cantava anche Caparezza, il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Normale che il giovane Bong Joon-ho, dopo l’enorme successo mondiale del suo film d’esordio Parasite, si sia trovato in difficoltà con un secondo lungometraggio, per di più con un cast tutto americano, il grande problema di esordire con un grande primo film e poi, la difficoltà di restare all’altezza per il resto della propria carriera.
… Ok, ora posso smetterla di fare il satirico, visto che “Mickey 17” cavalca l’elemento grottesco, mi sembrava il modo più sfizioso per iniziare, anche perché riesco a pensare a poco altro di più assurdo del modo in cui i “cinefili” (o presunti tali) del pianeta, abbiano scoperto Bong Joon-ho solo con Parasite. Badate bene, nulla di male nell’utilizzare la passerella degli Oscar per conoscere attori, sarebbe carino poi non avere la spocchia di spacciarsela sempre, ma troppi “cinefili” (o presunti tali) sono costantemente impegnati in una gara a chi piscia più lungo.
Provando a fare un viaggetto nella loro testolina (potrebbe essere senza ritorno) è automatico che il “secondo” film di Bong Joon-ho (anche noto come Bon Jovi No), avesse il doppio o il triplo degli occhi addosso, visto che lo hanno scoperto tutti o anche per il semplice fatto di essere un film prodotto da Warner Bros. Pictures e Plan B Entertainment e distribuito dalla prima, con nel cast il sempre discusso Robert Pattinson come protagonista, perché l’unico altro nome che riesce a far scatenare i “cinefili” (o presunti tali) in quel posto pericoloso noto come “Infernet”, più del regista esordiente Bong Joon-ho è proprio Pattinson, che malgrado tutti i film che ha fatto, sarà sempre quello di “Tuhail’aids”, quindi continuerà eternamente ad aizzare il cervello rettile di questi personaggi, forse perché la ragazza piaceva loro alle media non li cagava per colpa del vampiro. Ribadisco, questo viaggio nella testolina di questi soggetti potrebbe essere moooolto pericoloso!
Per tutti gli altri invece, quelli che di Bong Joon-ho conoscono tutta la sua filmografia per intero, non perché sia un merito da sfoggiare su “Infernet” ma perché guardare film dovrebbe essere un piacere, “Mickey 17” rientra perfettamente nel breve filone di titoli del regista in cui il nostro fa i conti con il pubblico internazionale, anche se va detto, tra tutta la cricca di registi provenienti dalla Corea del Sud, Bong Joon-ho è sempre stato il più aperto verso il cinema occidentale di tutti, anche per la sua capacità di mescolare, smontare e giocare con i generi, sì, sto pensando a quel gioiellino di “The Host” (2006).
La costante della manciata di titoli, chiamiamoli per amore di comodità “americani” di Bong Joon-ho è caratterizzata da un abbondante uso della satira, sono storie su futuri che potrebbero essere mercoledì prossimo, infatti, il parente più prossimo di questa sua ultima fatica resta Snowpiercer, quello era tratto da un fumetto e sceneggiato dal solo Bong Joon-ho, esattamente come questo “Mickey 17”, adattamento cinematografico del romanzo del 2022 intitolato “Mickey7” e scritto da Edward Ashton.
Il tutto inizia con quello che a mio avviso è l’attore migliore del cast, Mark Ruffalo con la sua giacca di velluto, le sue pose da pavone e il modo di pronunciare le vocali tutte allungate, impersona un egocentrico circondato da una serie infinita di “Uomini si”, il leader di una setta pseudo-religiosa ed ex candidato alla presidenza, ora a capo di una missione spaziale che punta a rendere l’umanità di nuovo grande, trasferendola dall’ormai inospitale Terra a Niflheim, un pianeta sperduto in una remota regione della galassia. Se per caso tutto questo dovesse ricordarvi che so, immagini che vediamo quotidianamente al telegiornale e che continueremo a vedere per almeno i prossimi quattro anni (salvo altri attentanti, questa volta non finti), tranquilli, tutto normale, anche se Mark Ruffalo e la First Lady Toni Collette (sempre bravissima ma con meno spazio degli altri nella storia) mi ispirano più fiducia di certi leader eletti.
Il protagonista che dà il titolo al film è Mickey Barnes (Robert Pattinson), imprenditore finito invischiato con uno spietato usuraio da cui è in fuga, per scappare, accetta un posto a bordo dell’astronave di Marshall, che è un po’ la nuova versione del treno di Snowpiercer, ricchi ricchi da una parte e gli ultimi degli ultimi dall’altra, in questo colossale vascello spaziale in cui i primi sono trattati come nababbi e gli ultimi si nutrono di cibo sulla cui origine sarebbe meglio non indagare.
Mickey è un “sacrificabile”, un uomo che può essere “ristampato”, letteralmente, usando una sorta di futuristica stampante 3D per umani, in circa 20 ore hai un nuovo Mickey con la memoria del precedente, una cavia da usare per affrontare i problemi di colonizzazione Niflheim, la cui aria è tossica e necessita di un vaccino, mentre Bong Joon-ho ci racconta tutto questo con un “montage” che giustifica come mai Mickey abbia più seguiti di Rocky.
Ovviamente la svolta arriva quando Mickey 17, di cui abbracciamo il punto di vista, si ritrova alle prese con dubbi più che legittimi sulla sua unicità (ruolo multiplo per Pattinson), ma anche tutti i temi sulla morte, quella definitiva, che vengono messi sul tavolo da Bong Joon-ho, che però chiaramente non ha quelli in testa, o non solo quelli, quindi il livello di approfondimento di certe tematiche va detto, risulta ben poco strutturato.
La sensazione che ho avuto è che Bong Joon-ho fosse ben poco interessato ad approfondire tutte queste tematiche, preferendo invece tornare sui binari rodati (ah-ah) di Snowpiercer, al regista sta molto a cuore la lotta degli oppressi contro l’1% di vanesi pazzoidi al comando, a riequilibrare il tutto ci pensa l’entrata in scena della fauna indigena del pianeta, creature giganti, nello specifico tutte coda, tentacoli e ciccia, di fatto dei mostri, a loro modo molto pucciosi, se tutto questo un po’ vi ricorda Okja, tranquilli, tutto normale.
Va detto che gli striscianti “Creepers” non sono tenerissimi come la maialina gigante Okja, ma l’andamento dei due film diventa piuttosto simile, ancora una volta Bong Joon-ho enfatizzando e rendendo grotteschi i cattivi (ma ribadisco, con il personaggio di Mark Ruffalo potrebbe essere stato superato a destra dalla realtà, che maleducata, in questo caso fa anche le pernacchie) il regista pilota piuttosto palesemente il nostro patteggiare per una parte piuttosto che per l’altra. Non mi piace fare quello che io chiamo il “Cinefilo del Super Sayan”, colui che divide tutto per classi, per cui un film non è al livello di quell’altro e quindi di conseguenza, è tutto ignorabile o frettolosamente etichettabile come “cacca”, a meno che non sia più del super capolavoro conclamato, in questo caso, sempre Parasite, visto che molti cinefili conoscono solo quello.
“Mickey 17” sta benissimo nella filmografia di cui fa parte, forse rimesta un po’ gli stessi temi, mettendo in chiaro che umani o striscianti creature, per i riccastri vanesi della Terra siamo tutti cavie da laboratorio, per questo sacrificabili, forse bisognerebbe analizzare come mai nei suoi soggetti lontano da casa, Bong Joon-ho sia forse anche un po’ costretto a semplificare, però se avete apprezzato Okja, sono sicuro che vi potrete godere anche questo film, se invece siete “Cinefili del Super Sayan”, divertitevi pure a scrivere su “Infernet” la vostra classifica dei film del regista: primo posto “Parasite” ultimo “Mickey 17”, tanto ha diretto solo due film, no?
Bong Joon-ho in questo film denuncia quello che a mio avviso è giusto odiare, mettendo il pubblico al sicuro in una specie di superiorità morale, di norma preferisco trame che sporcano di più il foglio e credo che appena questo film sbarcherà sulle piattaforme (ricordiamo, Okja arrivò direttamente su Netflix) troverà una gran fetta di pubblico, forse con una scrittura più incisiva la valutazione generale sarebbe stata superiore, ma credo che questa tipologia di film per Bong Joon-ho sia quella che Hitchcock, nel suo dialogo con Truffaut definiva “Run for cover”, scelte sicure o abbastanza sicure, prima di lanciarsi in altro, magari ancora più satirico e affilato, le filmografie di tutti i registi del mondo ne sono piene e anche in quest’ottica “Mickey 17” si lascia guardare regalando un’altra sfumatura dell’abilità di Robert Pattinson, bravo a fermarsi sempre prima di diventare un cartone animato umanoide nel senso peggiore, per la storia e per il film.
Poi ovvio, andrebbe valutata tutta la filmografia ma questo film sarà un’ottima cartina al tornasole per sgamare chi è “Cinefilo del Super Sayan”, chi ha davvero visto i film di Bong Joon-ho, insomma ci saranno uscite grottesche e satira dentro, ma anche fuori dalla sala, per il resto, purtroppo non ricordo chi aveva detto che pessimi presidenti generano buoni dischi (di solito rock), credo che prossimamente vedremo tanti altri film satirici, ben felice che il calcio d’inizio lo abbia dato Bong Joon-ho.
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