Per un tempo fin troppo lungo, ho avuto un allenatore di basket profondo conoscitore del gioco ed estremamente competente in materia (si nota la vena polemica? Bene), un vero genio che non perdeva occasione per sottolineare le mie lacune di gioco. Cose che capitano quando fai notare a tutti dettagli come il fatto che non sapesse disegnare uno straccio di schema per la rimessa laterale… Robetta, insomma.
Sta di fatto che al primo allenamento dopo una partita (vinta), sceso stranamente dal letto con il piede ottimista, il gran Sensei della palla a spicchi fece notare che non si poteva che vincere, quando uno (il vostro amichevole Cassidy di quartiere) in partita si permetteva addirittura di far canestro in “fadeaway” il tiro cadendo all’indietro, per sempre marchio di fabbrica di uno davvero competente in materia, Michael Jordan. Per inciso, ore spese al campetto per imparare (più o meno) ad eseguirlo.
Sempre perché i rapporti erano un po’ quello che erano, il fenomeno puntandomi il dito mi disse con aria di sfida: «Voglio proprio vedertelo rifare». Partita successiva, al primo pallone che ricevo, mi metto spalle a canestro, un palleggio, mi giro tiro canestro. Mentre corro davanti alla mia panchina per andare in difesa, con l’aria di chi non ha fatto altro in vita sua (ma nella testa pensando «Suuuuuca!») l’allenatore m’ignora totalmente, solo uno dei miei compagni ha affermato: «Lo ha rifatto» (storia vera).
Cosa c’insegna tutto questo? Che sono nato con una testa, diciamo tutta particolare via, che molte persone parlano perché hanno la lingua in bocca e che se rifai qualcosa di valido una seconda volta, in pochi si sorprenderanno davvero, tutto questo ci porta al secondo film diretto da Ari Aster.
Dopo il tanto chiacchierato, da molti amato e da altrettanti odiato (non da me) Hereditary, il giovane Aster (classe 1986) si è beccato un po’ di etichette e un bel carico di aspettative, il suo secondo lavoro “Midsommar” era molto atteso, anche se a me fa pensare ad una marca di tonno, oppure ad una celebre canzone popolare. Tutto questo era per invocare il vostro perdono per il titolo del post.
Bisogna dire una cosa sul nostro Ari ari ari oh (iri iri iri ih): al netto di modelli chiari e anche abbastanza palesi a cui fare riferimento – come in questo caso quella pietra miliare di “The Wicker Man” (1973) di Robin Hardy – il ragazzo non sceglie mai la strada facile di replicare, ma al massimo di rielaborare secondo l’unico modello che ha ben chiaro in testa, ovvero se stesso e il suo cinema. Forse anche troppo, visto che durante gli abbondanti 147 minuti di “Midsommar”, mi sono ritrovato a mormorare tra me e me: «Questo dettaglio è uguale ad Hereditary» (storia vera).
Il che non è certo sbagliato, il mondo ti ha acclamato per la tua prima opera? Alla seconda regia Aster sceglie di mostrare a tutti che no, Hereditary non è stato un colpo di fortuna, ma il frutto di un talento che è tutto lì da vedere. I due film non sono altro che parenti stretti, sono più consanguinei degli abitanti del villaggio svedese di questo film, hanno caratteristiche comuni e la stessa sfiga di essere stati appesantiti in uno strambo Paese a forma di scarpa, di un sottotitolo inutile, “Midsommar – Il villaggio dei dannati”, oltre ad essere un titolo cretino che non ha senso ai fini della storia, è anche un modo maldestro di mettersi in scia al capolavoro di Wolf Rilla, oppure al remake di Giovanni Carpentiere.
Lo schema di Hereditary qui viene ripetuto fino allo sfinimento, fino all’ultimo dettaglio, visto che per Aster sono volati paragoni con Kubrick, di sicuro il ragazzo ha dimostrato di essere ossessivo proprio come il vecchio Stanley, il problema principale è che “Midsommar” nel suo essere quasi una versione espansa del film precedente, non riesce a replicare il miracolo di equilibrio che caratterizzava il primo film, una pellicola che riusciva a fermarsi un attimo prima di risultare involontariamente comica e che, al netto delle stesse tematiche, riusciva a risultare più coinvolgente.
Oh, parliamo chiaro! A me il film è piaciuto perché qualcosa che nel 2019 riesce a riportarci in un culto pagano completamente sotto la luce del sole estivo come aveva fatto solo Robin Hardy, con un uso dei colori, del montaggio sonoro e video così preciso e dettaglio è una gioia per gli occhi!
Bisogna anche notare, però, che le tematiche che stanno tanto a cuore a Aster qui a volte prendono un po’ troppo il sopravvento, come il rapporto con la famiglia che strangola i personaggi, oppure il suo modo di mostrare la morte (e il lutto) in maniera così diretta, aggirando i moralismi e spesso con dovizia di macabri dettagli, specialmente quando si tratta di gambe spezzate e crani sfracellati, tutti dettagli che piacciono ai fanatici di Horror.
Il primo atto di “Midsommar” mette in chiaro, ancora una volta, il fatto che Ari Aster ci tenga molto a farci patteggiare per i suoi personaggi, qui ci presenta Dani (una Florence Pugh monumentale che si carica spesso il film sulle spalle) ragazza sopravvissuta ad un gravissimo lutto in famiglia, sua sorella in un terribile omicidio/suicidio si è portata via anche i genitori. Accanto a lei un toncolo senza speranze di fidanzato di nome Christian (Jack Reynor) che per seguire gli amici antropologi molto interessanti a completare la loro tesi di laurea, pensa bene che il modo migliore per affrontare il lutto per Dani, sia un bel viaggetto in Svezia per assistere a questo rito che avviene una volta ogni novant’anni.
Più chiaro del fatto che Christian sia più innamorato dell’idea di avere una ragazza che di averne una davvero, solo il fatto che il nome del personaggio è forse l’ultimo punto di contatto con “The Wicker Man”, insomma un “Cristiano” che va in un villaggio di pagani, più chiaro di così diventa anche difficile essere.
Esattamente come Hereditary, nel primo atto non mancano incisioni sulle porte e indizi su quale direzione prenderà la trama (i vari disegni e rappresentazioni sulle pareti, molti dei quali ruotano attorno alla figura di un orso) dimostrazione che ad Aster non manca la mania per il dettaglio. Per vedere davvero succedere qualcosa, però, bisogna aspettare più di cinquanta minuti, tutti girati meravigliosamente, eh? Ma forse una sforbiciata al minutaggio non avrebbe fatto male, chissà cosa potrebbe sfornare il regista che la produzione non gli fornisse carta bianca, come ha avuto almeno nei suoi due primi lavori.
Quando la violenza inevitabilmente arriva e con lei i primi sacrifici umani, Aster gestisce il tempo molto bene, nel senso che è chiaro per tutti (tranne per i protagonisti… Pare) quello che succederà, ma l’attesa del sangue allunga la tensione, il che per uno che ambisce a fare horror, che non è affatto male avere in faretra, ma su questo punto, ci vediamo a fine post.
I problemi sono altri e arrivano sempre dai paragoni (inevitabili) con “Hereditary”, perché se nel film d’esordio Aster era stato molto bravo a farci appassionare alle vicende di una famiglia a dir poco disfunzionale, qui sembra quasi dimenticarsi dei suoi personaggi. Troppo impegnato a dirigere scene una migliore dell’altra in termini di resa visiva? Non lo so, sta di fatto che gli attori tendono a sparire e molte svolte che li vedono protagonisti si accumulano, salvo venir dimenticate pochi minuti dopo.
Florence Pugh qui si rivela essere una perfetta Toni Collette 2.0 andando sopra le righe in modo giusto e facendo reparto da sola, gli altri attori? Sembrano la fiera estiva dell’anonimato e a sorprendermi più di tutti è Will Poulter, identificabile solo dalle sue sopracciglia alla Jack Nicholson, uno che di solito dove lo metti spicca, mentre qui vaga (spesso pisciando su alberi sacri come farebbe il mio cane) come se nessuno gli avesse dato direzioni, questo spiega perché molti personaggi cambiano umore e comportamento a seconda della scena.
La coerenza suoi personaggi possiamo trovarla tutta dal lato svedese della storia, gli abitanti del villaggio sembrano strambi, ma cordiali e quando si rivelano dei mitomani pazzi furiosi e invasati religiosi, restano comunque estremamente cordiali nei comportamenti e, purtroppo, così facendo, durante la visione di “Midsommar” si è inseguiti per tutto il tempo da quella fastidiosa sensazione di cui è difficile liberarsi quando si guarda un film con Americani in gita nella vecchia Europa: gli Svedesi sono cordiali e matti, gli Americani dei pasticcioni un po’ tonti.
Possibile che gli Yankee qui ingollino ogni bevanda offerta loro, senza porsi il minimo dubbio sul fatto che dentro potrebbe esserci disciolta qualche sostanza psicotropa (come puntualmente accade)? Possibile che se un minuto prima uno di voi è scomparso, nessuno si ponga il minimo problema quando a cena viene servito pasticcio di carne (condito da peli pubici)? I protagonisti di “Midsommar” troppo spesso sembrano gli adolescenti di un Venerdì 13 a caso, con la differenza che si adattano alle usanze locali (per quanto bizzarre) a volte facendo spallucce, spesso per non disturbare, il più delle volte passivamente come se tutto fosse normale. Difficile tifare per loro e considerando che Ari Aster era riuscito a farci affezionare ad una famiglia estremamente disfunzionale, questo lo considero un passo indietro.
Due passi avanti di sicuro, invece, Aster li ha fatti fare alla sua tecnica di regia, dal punto di vista tecnico “Midsommar” è impeccabile e poi quel modo freddo e asettico di comporre l’immagine, oggi come oggi lo hanno solo lui e Yorgos Lanthimos il che, se non si fosse capito, è un complimento.
Quando Aster ci traghetta tutti nel terzo atto, anche se già – grazie ai tanti indizi sparsi nel film – sappiamo come finirà la vicenda, il film sale di colpi grazie a momenti lisergici e ad una scena di sesso (volutamente) grottesca e malsana, il finale di “Midsommar” fa davvero il suo dovere e da solo vale per affrontare a testa bassa i 147 minuti della sua durata, anche se a fine visione si rischia di correre il rischio di etichettare tutto il film con il fighettissimo commento snob: «Bella la fotografia».
Se consideriamo che gli ultimi horror usciti in sala che ho visto sono stati il soporifero “La Llorona” e il giocoso, ma innocuo pasticcio di “Annabelle 3”, santo subito uno come Ari Aster che nel 2019, nel bel mezzo dell’estate dei multisala, decide di regalarci la sua personalissima versione di “The Wicker Man”, con una pellicola che andrebbe vista in sala senza ragazzini che sghignazzano alla prima scena sempre in bilico tra tensione e risata involontaria che nel film non manca. Bisogna dare merito ad Aster di aver portato un po’ dei contenuti dell’horror “Indie” nella grande distribuzione, ma bisogna anche dire che The VVitch, riusciva ad essere un film dell’orrore a tema folkloristico ben più riuscito e inquietante.
“Midsommar” è la conferma che Ari Aster sa come tirare un tiro in “Fadeaway”, solo che se la prima volta è stato una sorpresa (positiva o negativa, a seconda di gusti e opinioni) per tutti, questa volta è più facile notare il mestiere, la tecnica e il fatto che le sue ossessioni in termini di tematiche, siano ancora tutte lì, ma un po’ meno spontanee e per questo forse meno coinvolgenti, quando Ari Aster passa davanti alla panchina mentre corre in difesa.
Il problema è anche un altro: il nostro Aster ha già dichiarato che con l’horror, per lui è finita qui, dal prossimo film sembra interessato ad esplorare altri generi, il che per uno che ambisce ad essere un autore – e il ragazzo ne ha tematiche e temi per poterlo fare – andrebbe anche bene, ma da appassionati di Horror viene da pensare che il nostro genere del cuoricino, sia stato un bel biglietto da visita per farsi un nome e poi adios!
Ridley Scott, un altro che ai tempi di “I duellanti” (1977) era stato paragonato a Kubrick («Più le cose cambiano più restano le stesse» cit.) aveva abbandonato un genere che gli veniva benissimo come la fantascienza, per non restare etichettato, salvo poi tornarci e diventare Ridley Scott(o). Il tempo che è il miglior critico cinematografico del mondo, ci dirà se Ari Aster avrà fatto bene, per ora questo “The Wicker Man” per l’era dello Smartphone non ti resta incollato addosso fin dopo i titoli di coda come accadeva con il malsano capolavoro di Robin Hardy e penso che da appassionati di Horror, se avessimo voluto un “uomo di vimini” da venerare, forse non era il buon Ari ari ari oh. Arigatō Ari! Anzi, Ari ari ari oh!
Sepolto in precedenza martedì 27 agosto 2019
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