Se c’è un
regista a cui ho voluto bene cinematograficamente parlando, è stato proprio
Burton, allo stesso modo, se dovessi fare il nome di uno a cui farei volentieri
venire il collo rosso a furia di coppini dati a mano aperta, siamo sempre lì: Tim
Burton.
necessiti di presentazioni, o di ulteriori spiegazioni su come la sua carriera
abbia velocemente preso la deriva del kitsch più estremo, bisogna dire con
malgrado i difetti (tantini) del suo Big Eyes, se non altro, sembra chiaro che qualcosa sta cambiando in questo “Secondo
tempo” della carriera del regista dagli strambi capelli.
come Tim Burton, non deve mai essere semplice trovare di volta in volta soggetti
adatti alla sua idea di cinema, non è una scusa per certi obbrobri firmati dal
regista, eppure il romanzo di Ransom Riggs del 2011, “La casa per bambini
speciali di Miss Peregrine”, sembra fatto dal sarto per uno come Burton, il
risultato finale è chiaramente un film su commissione, ma che risulta, se non
altro, guardabile.
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Un anonima giornata qualunque a casa Burton. |
Il giovane Jacob
‘Jake’ Portman (Asa Butterfield) ha appena perso il suo adorato nonno di
origini polacche Abraham (Terence Stamp che compare troppo poco), si reca su un’isoletta del Galles ufficialmente per accompagnare il padre, in realtà, per
mettersi alla ricerca della casa degli orfani gestita dalla misteriosa Miss
Peregrine (Eva Green), Jake è cresciuto ascoltando i racconti incredibili del
nonno sulla sua infanzia passata tra gli orfani, ma anche delle terribili
creature che danno loro la caccia.
essere Sherlock Holmes per capire quali elementi del romanzo di Ransom Riggs
abbiano attratto Tim Burton, i racconti, esagerati, ma reali del Nonno, sembrano
una continuazione della panzane di Ed Bloom protagonista di “Big Fish”, a mani
basse ancora oggi uno dei miei film di Burton preferiti.
modo, gli orfanelli dotati di strambi poteri sono un altro tassello del mosaico
dedicato da Burton al mondo di adorabili Freaks che popolano i suoi film, tra
bambine che necessitano di scarpe di piombo per non volare via, gemelli che
sotto il cappuccio nascondono una citazione cinematografica che mi ha esaltato
(e non vi rivelerò) e bimbe con voraci bocche alla base del collo, il nostro
Jake sembra finito tra le fila di una squadra di X-Men, o tra i lontani cugini della famiglia Addams.
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Se ve lo state chiedendo, no non è “The Orphanage”. |
Il film, poi,
riesce ad inserire un grosso METAFORONE sull’olocausto senza risultare pedante:
Miss Peregrine che nasconde i suoi orfanelli, in un loop temporale di 24 ore,
ripetute all’infinito nemmeno fosse il “Giorno della Marmotta” per proteggerli
dai terrificanti Hollows guidati da Barren (Samuel L. Jackson in grande
spolvero) pronti a divorare i loro occhi, sono un chiaro riferimento che
diventa palese se abbinato alle origini polacche del nonno e, in questo senso,
il film è molto attuale nel fare metafora delle condizioni dei profughi, un
tema oggi più che mai importante.
sottolinea le differenze tra il mondo reale da cui proviene Jake e il loop
temporale nascosto alla vista degli umani in cui vivono gli orfani, con un
classico cambio di fotografia, il loop sospeso nel tempo è colorato, anche se
con qualche pasticcio di montaggio, a volte risulta un po’ confusionario da
seguire, ma in generale l’idea di un mondo nascosto sotto la superfice del
nostro mi ha fatto pensare a Nessun dove di Neil Gaiman, il che non è affatto un male.
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“Scendi la bambina che la passeggio”. |
Bisogna dire
che la prima parte del film risulta più riuscita, Tim Burton si prende tutto il
tempo che gli serve per illustrarci le dinamiche di questa famiglia allargata, privilegiando
i personaggi e la loro caratterizzazione, soffermandosi, però, sempre sugli
stessi, quindi non tutti gli orfanelli hanno lo stesso trattamento.
Guardando il film ho avuto almeno un paio di dubbi riguardo alla logica
delle regole interne della storia, potrei stare qui a discutere del fatto che
sfruttare il loop temporale di 24 ore per trovare un luogo più sicuro dove
vivere poteva essere un’idea e non sono nemmeno così convinto di tutta questa
storia dell’embrione (ma il gabbiano che fine fa? Sparisce dal film e basta?),
probabilmente sono passaggi della storia che sono rimasti nel libro, perché è
evidente che nell’ultima mezz’ora di film, Burton cambia ritmo, lascia indietro
parecchie cose (forse anche troppe) come a dire: ok da qui in poi, solo azione!
finale nella casa degli spettri di Blackpool (per altro, una delle città più
criminose di tutta l’Inghilterra) è visivamente ben fatto, mi ha divertito perché
gli orfanelli utilizzano finalmente i loro poteri e Tim Burton non perde l’occasione
per omaggiare Ray Harryhausen portando in scena un esercito di scheletri che
grida fortissimo “Gli Argonauti” ed io quando vedo qualcuno omaggiare il Maestro della stop motion
in questo modo, sono sempre felice!
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Maestro Harryhausen, sempre sia lodato, inchini e riverenze. |
Gli attori
fanno tutti un buon lavoro, Terence Stamp ha il carisma giusto per la parte e
spiace vederlo uscire di scena dalla storia così in fretta, Eva Green è sempre
molto guardabile, qui l’ho trovata meno esplosiva del solito, anche se
è chiaro che ormai abbia ereditato da Lisa Marie e da Helena Bonham Carter il
testimone di musa di Tim Burton.
speciale per Samuel L. Jackson, uno che sappiamo che quando c’è ruba la scena,
anche andando sopra le righe non è secondo a nessuno, qui ci regala un cattivo
favolistico, ma degno di questo nome e pare essere il primo a divertirsi nella
parte, dettaglio che non fa affatto male quando sei alle prese con un
personaggio del genere, parliamo di uno che mangia gli occhi ai bambini per puro
sport!
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Il diabolico, Samuel HELL Jackson. |
Devo dire che
è un peccato vedere Judi Dench in un ruolo minore che avrebbe potuto essere
assegnato ad un caratterista, mentre il problema principale forse è proprio il
protagonista: raramente Burton ha costruito le sue storie attorno a personaggi
canonici, anzi, diciamo pure quasi mai, che fossero barbieri sanguinari o il
Bruce Wayne più bipolare di sempre, il vecchio Tim ci ha abituato ad un bel
branco di stramboidi mica da ridere, proprio per questo Jake risulta piatto e
anche un filo noioso, Asa Butterfield crescendo pare aver perso quella
spontaneità che lo ha fatto brillare, ad esempio, nell’ottimo “Hugo Cabret”.
risultato finale non raggiunge certo le vette del Burton che fu ed è anche una
bella ridimensionata rispetto alle trovate kitsch viste negli ultimi film, è
chiaramente un film su commissione che, però, non si preoccupa d’inserire
trovate per spaventare i più piccoli, sarà che sono cresciuto con un cinema
diverso, libero dal maledetto PG-13, ma quando in un film per ragazzi, vedo
mostri che divorano occhi ed omaggi a “Scontro tra Titani” è una piccola
soddisfazione.