Tutto è doppio nel cinema di Brian De Palma, anche la sua strategia nello scegliere i titoli su cui lavorare, che poi è più o meno la stessa filosofia che muoveva il suo Maestro Alfred Hitchcock, bella l’arte, ma se il tuo film molto artistico non va a vederlo nessuno, sarai un artistico regista disoccupato. Dopo il successo di Carlito’s Way, è il nuovo soggetto del suo prossimo lavoro a bussare alla porta di casa del regista del New Jersey.
Soldi facili, un incasso al botteghino assicurato, perché nel 2023 è più facile valutarlo, anzi diciamo che è una certezza, quando Tom Cruise si muove, non lo fa per collezionare una figura da cioccolataio, anzi tutt’altro. Nel 1996, dopo anni in cui i diritti di sfruttamento cinematografico della serie televisiva “Missione impossibile” ideata da Bruce Geller nel 1966, giacevano sul fondo di qualche cassetto, in una scrivania della Paramount, Tommaso Missile riuscì a convincere i vertici che lui era l’uomo giusto per la missione, ed era altamente motivato nell’avere successo, perché insieme alla sua socia, la produttrice Paula Wagner (ancora oggi, nella zona delle operazioni quanto di tratta di Cruise), il divo era pronto a lanciarsi a sua volta come produttore. Ho usato il verbo lanciarsi riferito a Tommaso, lapsus Cruisiano.
Sembra Diabolik, invece è Tommaso Missile. |
Quindi la missione sarà anche stata impossibile, però se Tommaso si muove, preferisce avere il culo parato (tipica espressione di Hollywood), quindi per le maschere in gomma alla Diabolik dell’agente Ethan Hunt, fa venire giù un decano degli effetti speciali come Rob Bottin, anche se poi nel film si ricorre più spesso alla CGI. Il compito di rifare il mitico tema della serie composto da Lalo Schifrin a chi lo affidiamo? Danny Elfman il caso “Mission: Impossible” è tuo. Insomma, solo grandi nomi, potevamo risparmiarci per il regista?
Riportare i neuroni all’anno 1996, oggi la saga di “Mission: Impossible” galoppa frantumando botteghini, nel corso degli anni diventata sinonimo della voglia di morire sul grande schermo di Tom Cruise, che in sacrificio per noi spettatori e correndo dietro al suo ego, punta ad acrobazie sempre più spericolate. Ma all’inizio non era affatto così, il primo capitolo della saga fa storia a sé, perché la favoletta che Cruise ha iniziato a raccontare, quella per cui ogni “M:I” doveva avere lo stile del regista scelto (da lui, sottinteso) è iniziata per davvero con il secondo capitolo ed è durata fino al quarto, con il buco nero del terzo, messo in mano ad un cretino… anche oggi la mia picconata a GIEI GIEI, fatto! Per poi evolvere ulteriormente. Messa da parte la sua caccia all’Oscar (ultimo tentativo con Kubrick, nel 1999), Tommaso ha abbracciato l’obbiettivo di morire sul grande schermo, in sacrificio per noi spettatori, alla costante ricerca dell’acrobazia più pericolosa da eseguire. Ma prima serviva far digerire al pubblico l’idea di un film tratto da una serie televisiva, non è un caso se il telefono di De Palma ha cominciato a squillare.
«Ok ho capito, fermi. Ve lo dirigo io il film» |
Alla fine il nostro Brian da Newark lo aveva già fatto, anche Gli Intoccabili era la versione in bella, se non bellissima copia di una serie nata sul piccolo schermo, inoltre era l’occasione per il regista del New Jersey di cimentarsi con il filone più movimentato (concedetemi l’espressione) dei film di zio Hitch, i vari “Caccia al ladro” (1955) e “Intrigo internazionale” (1959). Ma poi parliamoci chiaro, era questo film ad avere bisogno di De Palma più che il contrario, per nobilitare l’operazione era necessario qualcuno dalla statura artistica riconosciuta, dopo Carlito’s Way nessuno poteva davvero criticare la reputazione di Brian da Newark.
“Mission: Impossible” non è la risposta americana a 007, sarebbe un errore etichettarlo così, rivedere il primo capitolo oggi, dopo la acrobazie di Fallout, potrebbe far pensare ad un film immobile e un po’ mummificato, in realtà per essere un titolo su commissione, qui troviamo tantissime delle ossessione del cinema del regista, certo mediate dalle esigenze del suo divo e produttore, ma per assurdo le parti migliori di questo primo capitolo, sono quella che urlano «BRIAN DE PALMA!» a pieni polmoni.
«Bella questa scena Brian», «Per chi mi hai preso? GIEI GIEI? A lui farai dirigere il terzo film, tzè» |
Non posso nemmeno scherzare su quanto fosse giovane Cruise, tanto è sempre uguale. |
De Palma trovava ridicolo ridurre la rivelazione finale, ad uno spiegone girato su un piccolo set in interni, tra mucchi di valige accumulate, il regista aveva idee ben più spettacolari e cinematografiche per questo momento chiave. A Tom Cruise interessava girare una grossa scena spaccatutto, con l’elicottero, il tunnel, il treno e la CGI (ai tempi nominata ai Razzie Awards) ma poi gli andava benissimo anche un dialogo conclusivo in una stanzetta, forse seguendo il vecchio principio che piace ai divi, dammi un bel primo piano. De Palma ha insistito, poi come racconta nel bel documentario che porta il suo cognome del 2015, ha pensato bene di darla su: vuoi il tuo finale tra i bagagli? Giriamo questo finale tra i bagagli (storia vera).
“Mission: Impossible” è una spy-story con punte di giallo classico, se non proprio classicissimo, De Palma è abilissimo a non perdere mai il suo stile, assecondando le richieste di scuderia, ad esempio la prima non da poco: la serie di Bruce Geller era corale, il film deve essere lo spettacolo personale di Tom Cruise, quindi si inizia subito mettendo in chiaro che è De Palma al comando, con un inizio a freddo, quello che nel mondo delle serie televisive si chiama “cold open”, quella manciata di minuti prima del titoli di testa, in linea di massima abbastanza celebri e orecchiabili, che il regista utilizza per portare subito in scena un gioco di specchi.
Una missione a Kiev, il punto di vista dello spettatore/guardone è quello dello schermo, dell’agente interpretato da Emilio Estevez, l’attore che non ricordavate nel cast di questa serie. Tom Cruise si toglie la maschera, la finta stanza d’albergo con cui il pollo è stato intortato viene smontata, come se fosse un set cinematografico, De Palma ha già iniziato a mettere in dubbio quello che vediamo, mescolando realtà e finzione.
«Squadra di missione impossibile? Forse non ti hanno avvisato, questo è uno spettacolo solista» |
Ora però bisogna trovare il modo di rendere Ethan Hunt assoluto protagonista, quindi ci vuole un MacGuffin di stampo hitchcockiano per mettere in moto la storia, viene scelto un classico, la lista degli agenti civili sotto copertura di stanza in Europa centrale, che non deve finire nelle mani sbagliate per non bruciare l’identità di tutte quelle spie. Ma non può mancare il doppio, che è uno dei temi cari a De Palma, quando hai per le mani alcuni agenti segreti il doppio si trova ovunque, dalle varie identità indossate sotto forma di maschere da Tom Cruise (la mia preferita è quella che lo rende un sosia di Bossi, quando si imbuca alla festa come senatore), ma anche i punti di vista si moltiplicano, utilizzando occhiali, microcamere nascoste e tutto il vostro normale kit da spia. Più aumentano i punti di vista e più si sovrappongono, più si moltiplica la possibilità di mentire ventiquattro volte al secondo, fedele alla sua massima. Cavolo! È talmente tutto doppio in questo film, che persino la gomma da masticare esplosiva da spezzare a metà per farla detonare, qui ha due colori.
«Sono quello che prende l’ascensore in un film De Palma. Il mio agente è meglio che si trovi un altro lavoro» |
Segni di continuità? Non ricordavate Emilio Estevez perché dura pochi minuti, ma dove muore? In un ascensore, che per De Palma è il luogo più pericoloso del pianeta. Tra i morti illustri anche il capo, quello più alto in grado di tutti, Jim Phelps interpretato da Jon Voight, che nel fuggi fuggi vola giù da un ponte e per me la bontà di un film come “M:I” sta quasi tutta in questa scena. Se avete letto due gialli in vita vostra (o due fumetti di super eroi, stesso principio) sapete che se non si vede il corpo, non c’è il morto, ma il film di De Palma, partendo dal classico che più classico non si può, riesce attraverso un ottimo ritmo e un riuscito gioco di specchi a farti dimenticare questo dettaglio, coinvolgendoti nella fuga dell’agente Hunt, ultimo sopravvissuto e quindi accusato di essere la talpa.
Moltiplichiamo i punti di vista e correggiamo l’astigmatismo. |
Proprio grazie al suo stile e alla sua maestria, De Palma riesce ad evitare l’effetto “Sto guardando un True Lies senza la volontà di far parodia del genere” proprio grazie al ritmo. I film dove Tom Cruise corre nella sua filmografia abbondano, “M:I” è uno di questi perché anche al primo titolo da produttore, Tommaso era già lì ad imporre la sua presenza, ma per tre quarti di film la collaborazione con De Palma ci restituisce un film che fila ancora alla grande.
Se tutti i tuoi agenti sono stati bruciati, devi pensare fuori dagli schemi, quindi entrano in scena un po’ di “facce brutte” da cinema, come Jean Reno e l’Hacker con la faccia meno da Hacker della storia del cinema (e voi vi lamentate di Chris Hemsworth in “Blackhat” eh?) ovvero Ving Rhames. La “femmina fatale” di turno è affidata a Emmanuelle Béart e con questa nuova banda di gatti senza collare, si può puntare al computer centrale della CIA che si trova a Langley, perché correre dietro ad una copia della lista, quando puoi avere l’originale? D’altra parte il film si chiama “Missione: impossibile”, mica “Missione: di tutto riposo”.
Marsellus Wallace, il vostro tipico esperto di computer, anche un po’ nerd. |
Ed è proprio qui che Brian De Palma si gioca la scena madre, quella a cui tutti pensano quando si ricordano che il regista del New Jersey ha diretto questo film nel 1996 e per certi versi, anche quella che ha dato il via alla svolta futura della saga, ovvero Tom Cruise che fa i suoi stunt da solo e sullo schermo fa cose impossibili. La scena di Ethan Hunt calato dall’alto, appeso a delle corde come un salame, in una stanza dove se fai rumore suona l’allarme, se tocchi il pavimento suona l’allarme e se si alza troppo la temperatura, pensate un po’? Suona l’allarme, è la quinta essenza del tenere sul filo lo spettatore. Avete capito? Sul filo perché Tom Cru… ok la smetto.
Oh che bello, Ratatouille! |
De Palma sovrappone le peripezie di Emmanuelle Béart intenta a drogare i caffè, con Jean Reno nel cunicolo d’areazione alle prese con un flirt con un topo («… non ricordo i dettagli» cit.) e Ethan Hunt novello uomo vitruviano a mezz’aria, tutti elementi che creano suspence. Da dove si capisce che dietro a tutto questo ci sta un grande uomo di cinema? Il vostro ritrovarvi aggrappati ai braccioli della poltrona è un indizio, l’altro sono gli occhiali di Ethan Hunt. Lo avete visto informarli prima di questa scena? No, però vuoi mettere quanto è cinematografico mostrare la goccia di sudore che corre lungo la lente dell’occhiale, quella che potrebbe rovinare tutta la missione? Rule of cool, certo, ma sono questi i motivi per cui “Mission: Impossible”, seppur su commissione, resta Depalmiano al 100%. Il fatto che la musica scompaia completamente, chiedendo anche al pubblico di fare silenzio come i protagonista è l’ennesimo tocco di classe.
L’unico rimpianto è che la rivelazione avvenga proprio in quel set anti climatico pieno di bagagli, anche se a voler essere precisi anche qui De Palma trova il modo di utilizzare i tanti punti di vista sulla storia, per dare un’illusione di controllo. Moltiplicare i punti di vista vuol dire aumentare le informazioni, ma per assurdo invece che sapere di più, come spettatori sappiamo di meno, infatti proprio come tutti gli eroi e anti-eroi di De Palma, lo sguardo è sempre quello che salva e condanna i suoi protagonisti. In questo caso Ethan Hunt ha già risolto il mistero prima di tutti, quasi fuori scena, avendo visto per primo il timbro sul libro, da ottima spia, mantiene il segreto con tutti, anche con noi spettatori fino alla fine.
Come quando andavate da nonna ma lei aveva appena passato la cera. |
Infatti è un peccato che De Palma sia rimasto imbottigliato nelle esigenze del produttore (e protagonista del film), nessuno più di me ama le scene fracassone, e la pala dell’elicottero che si ferma ad un centimetro dalla gola di Tommaso Missile è sicuramente una di quelle, ma è chiaro che questo momento ad alto contenuto di CGI e la rilevazione tra i bagagli, non siano la porzione di film che più interessa o risulta nelle corde del nostro Brian da Newark. Che infatti non ha mai nascosto di non amare la “pre-vis”, quella che non a caso abbonda nei film contemporanei, perché se pianifichi un film con tanta costosa CGI, non vuoi utilizzarla a caso, quindi spesso le scene più articolare, vengono coreografate grazie alla pre-visualizzazione, che però non ha l’estro o la creatività di un regista sul set, ma si affida il più delle volte a inquadrature e a soluzioni pescate dalla “libreria” del computer, quindi tutte uguali, come prenotare la cena da McDonald. Tutto questo De Palma lo aveva già predetto nel 1996, nel documentario che porta il suo cognome del 2015, diretto da Noah Baumbach, non ha fatto altro che confermarlo.
Questo abusare di pre-vis e schermo verde sarà popolare in anni cinque, quattro, tre… |