Potete tranquillamente ammetterlo, vi era mancata la vostra dose settimanale di John Woo vero? Nessun problema, siamo tornati a bordo di Bara proprio per completare l’impresa, d’altra parte questa non è missione difficile è missione impossibile, quindi bentornati al nuovo capitolo di… Who’s better, Woo’s best!
Anno 2000, non corsa della morte ma in ogni caso correvo lo stesso, quasi come Tom Cruise. Ho 17 anni e l’incubo di un diploma da prendere, ho una fissa per la musica Metal e malgrado siano degli stronzi ascolto ancora i Metallica con notevole frequenza, sapete, non era ancora uscito “St. Anger”. Decido che la mia missione (abbastanza impossibile) è quella di prendere ‘sto cazzo di diploma, questa impresa in cui mi sono imbarcato e poi Puff! Sparisco, i professori non mi vedranno più. Casualmente l’universo mi manda un segnale, il pezzo dei nuovo dei Metallica si intitola I Disappear, non è lontanamente accomunabile ai loro pezzi migliori, ma il video che cita a ripetizione un sacco di classici del cinema fa il suo, diventa il mio mantra perché sì, ho 17 anni quindi non rompete o meglio li avevo nel 2000, vabbè ci siamo capiti. Ma comunque non rompete questa è una storia (vera), sto elencando i fatti.
Visto che l’universo non fa nulla per caso, il brano è parte della colonna sonora del nuovo film di John Woo, seguito di quel Mission: Impossibile di Brian De Palma che mi era piaciuto fin dalla prima volta in cui lo vidi al cinema, per altro accompagnato da una colonna sonora abbastanza tamarra per piacermi. Mai amato i Limp bizkit (una volta ho rischiato anche di vederli dal vivo, purtroppo saltò tutto) ma la loro Take a look around resta il mio utilizzo alternativo del tema del telefilm “Missione: Impossibile” che preferisco, a questo punto mi sembra quasi inutile aggiungere che per il film con Tommaso Missile, qualche aspettativa l’avevo, ancora oggi ricordo poche volte più di quella volta al cinema in cui mi sono gasato di più guardando un film.
Sono passati ventitré anni da allora e quasi altrettanti seguiti di Mission: Impossible, ancora oggi quando qualcuno mi fa la domanda (e capita abbastanza spesso), se ho il tempo di buttare aria nei polmoni, quel secondo di lucidità vitale, rispondo dicendo che il miglior film della saga è Fallout, ma siccome la vita è violenta, l’azione veloce e il mio cuore sempre in fiamme, la risposta giusta per me, sarà sempre “Mission: Impossible 2” che non è il migliore della saga, ma è il migliore per me, oltre quello che mi smuove più roba dentro, ma anche quello che mi vedo e mi rivedo più volentieri (storia vera).
Io me lo immagino John Woo, da qualche parte tra Hong Kong e Los Angeles, ricevere un paio di Oakley esplosivi da Tom Cruise: «Signor Woo, la sua missione, se deciderà di accettarla, è quella di dare un seguito alla saga di cui sono produttore e protagonista subentrando a Brian De Palma. Questo messaggio si autodistruggerà tra 5, 4, 3…»
La storia la conoscete, le intenzioni iniziali di Tommaso Missile erano quelle di differenziarsi dalla saga di 007, arruolando di volta in volta registi in grado di imprimere il loro stile ad ogni nuovo capitolo di “Mission: Impossible”, strategia che ha funzionato benissimo fino al terzo capitolo, ma tranquilli! Parleremo presto anche di quello. Ovvio che se ti chiami Tom Cruise, hai rinunciato a rincorrere il premio Oscar a tutti i costi, sei matto col botto e ti metti in testa di morire sullo schermo per il tuo pubblico, nel 2000, per alzare la posta in gioco e il volume della radio, puoi rivolgerti solo al genietto di Hong Kong trapiantato negli Stati Uniti, per sua fortuna John Woo ha accettato, ma a dirla tutta anche nostra.
Il primo capitolo firmato da Brian De Palma era una spy-story molto classica (con tanto di lista dei nomi degli agenti da recuperare) a cui è stato chiesto di aggiungere scene grosse, spaccatutto, come quella dell’elicottero contro il TGV. A parità di storia semplicissima, John Woo alza la posta in gioco, il livello dell’azione fa un balzo in avanti che va di pari passo con la volontà di Tom Cruise di iniziare a fare tutti i suoi stunt da solo, infatti pare che divo e regista si siano presi per i capelli riguardo all’uso della controfigura, anche se mi sa tanto di voce messa in giro da Tommaso che alla questione ci tiene molto, visto che è la base della campagna pubblicitaria di tutti i seguiti della saga.
Sta di fatto che senza il fondamentale contributo di John Woo, la saga non sarebbe mai arrivata a diventare la macchina macina soldi che è ora, una serie di film basati sull’azione più che sull’elemento di spionaggio che era alla base del telefilm originale. Malgrado i difetti evidenti (ora ci arrivo, datemi un minuto) il peso specifico che ha avuto questo film HoolyWOOdiano sull’industria è ancora sotto i nostri occhi oggi, ventitré anni dopo, e pensate che sarebbe stato se avessero anche lasciato lavorare John Woo senza mettergli i bastoni tra le ruote!
Quando escono le famose classifiche, il principale interesse nella vita di molti cinefili, che se non incasellano tutto, non lo mettono in ordine con un numerico accanto, iper ventilano e vanno in crisi di panico, spesso “Mission: Impossible 2” finisce tra i gradini più bassi della scala del gradimento per via di quelli che vengono definiti “BUCHI DI SCENEGGIATURAAAAAA!” che in realtà non sono tali (ora ci arrivo, ancora trenta secondi) che sì, sono chiaramente un problema del film, ma posso dirlo? Minore, perché si manifestato tutti insieme nell’ultimo atto e coincidono con una sequenza d’azione così lunga, articolata, movimentata e variegata da passare quasi (ho detto quasi) in secondo piano rispetto al coinvolgimento, anche se esistono e hanno un’origine molto chiara.
Il primo montaggio di John Woo era molto più lungo, pare vicino alle tre ore, troppe per la Paramount Pictures, ecco perché il produttore, non a caso anche divo del film, ha pensato bene di estromettere Woo dalla sala di montaggio, sforbiciando a più non posso tutte le parti che – guarda caso – non prevedono lui impegnato a fare acrobazie incredibili sullo schermo. Buon per noi, male per la logica del film, infatti del letale virus Chimera, sparso nell’aria a Sydney per creare la domanda dell’anti-virus Bellerofonte sparisce ogni traccia, anche se va detto, qualcosa deve essere rimasto nell’aria, perché attorno al 2020 di storie così ne ho sentite girare parecchie.
Allo stesso modo Nyah (una Thandie Newton da applauso) saldamente nelle mani dei cattivi, che potrebbero ucciderla e vincere, ad un certo punto la ritroviamo a vagare per Sydney da sola, apparsa dal nulla, mettendo in chiaro che una grossa fetta di storia sia stata sacrificata sull’altare del Super-Ego di Tom Cruise. Risulta evidente che nella pancia di “Mission: Impossible 2” ci sia tutta una porzione di storia che non abbiamo visto e che non vedremo mai, così tanto John Woo nel gestire le dinamiche e lo scontro tra i personaggi, che in ogni caso, anche così, sforbiciata tanto da generare buchi di trama (non di sceneggiatura amici dell’Infernet) resta comunque così tanto Wooviana che lèvati, ma lèvati proprio.
Posso citare l’ultimo grosso difetto del film? Così poi mollo le briglie e mi scateno in libertà? Il cattivo, chiaro come il sole fin dal prologo sull’aereo con il falso Dimitri ovvero Sean Ambrose dovrebbe essere l’anti-Ethan Hunt, per approccio e per stile, i due personaggi sondaggi sono Chimera e Bellerofonte, se non proprio Sean Archer e Castor Troy (anche nel richiamo ai miti classici nei nomi), ma l’attore che lo interpreta, Dougray Scott lo fa in maniera monodimensionale, sopracciglia inarcate da cattivo per una quasi totale assenza di retroterra, perché? Facile capirlo.
I dualismi e i duelli a distanza sempre più ravvicinata, sono il DNA del cinema di John Woo fin dai suoi lavori ad Hong Kong. Il giusto equilibrio buono/cattivo era presente in Senza Tregua, in Broken Arrow ed era alla base di Face/Off, con due attori generosissimi dell’esagerare in maniera funzionale alla storia, ma anche nello scambiarsi panni, faccia e voce. Tutta roba che Tom Cruise non ha la minima intenzione di fare, basta guardare il resto della saga, lui è il sole, i pianeti devono ruotargli attorno, quindi quello che resta di Sean Ambrose è qualche minuto di Dougray Scott nei panni di un generico cattivo da abbattere, i due avversari si scontrano su una spiaggia dopo un lungo inseguimento come accade in Face/Off, ma è tutto ovviamente sbilanciato a favore di Ethan Hunt. Per altro, Dougray Scott era la prima scelta per il ruolo di Wolverine in “X-Men”, ma dopo un incidente con la moto ha dovuto accontentarsi di questo cattivo stagliuzzato lasciando campo libero a Hugh Jackman (storia vera), quindi quando dico che “Mission: Impossible 2” è fondamentale per tutti gli ultimi ventitré anni di cinema d’intrattenimento americano, metteteci dentro anche il mutante artigliato più amato della settima arte.
Con tutti questi paletti e casini produttivi, “Mission: Impossible 2” ha nella sua pancia talmente tanto di quel John Woo da risultare una bomba lo stesso, quindi quanto fate le vostre classifichine, dovreste tenere conto anche di queste cosette qui. Il prologo serve a buttare giù la trama, introdurre virus e anti-virus ma poi John Woo si mette al lavoro e non prende più prigionieri, ego di Tom Cruise permettendo.
Hans Zimmer, in un periodo in cui era in vena di sperimentare prima di fossilizzarsi su certe soluzioni, firma una colonna sonora all’altezza dell’altra, quella piena di brani rock tamarri, ma il primo pezzo che sentiamo nel film è Iko Iko, non potete mancarlo perché fa da sottofondo all’arrampicata a mani nude (in realtà con un’imbracatura “invisibile”) del nostro Tommaso che manda a segno il primo grande stunt iconico della saga, forse la prima volta dove è stato chiaro a tutti che Missile non si fermerà finché non morirà sullo schermo, in sacrificio per noi.
Iko Iko era anche la canzone sui titoli di testa di un altro film, “Rain Man” (1988) in cui recitava chi? Tom Cruise e tranquilli, John Woo lo sa benissimo perché parliamo del regista di Hong Kong che ai suoi collaboratori laggiù nel porto dei fiori, per spiegare cosa voleva, citava non film orientali, ma occidentali (storia vera). Non è un caso se molti hanno riconosciuto in “M:I 2” la pesante influenza del preferito di Woo (e di De Palma, per chiudere il cerchio), ovvero Sir Alfred Hitchcock.
Se le dinamiche amorose con di mezzo, una bella ladra professionista, erano già state trattare da Woo nel suo Once a thief, qui l’influenza di “Notorious – L’amante perduta” (1946) si vede tutta. Le dinamiche tra Ethan Hunt (Tom Cruise)/Nyah Hall (Thandie Newton) sono molto simili a quella tra Devlin (Cary Grant) e Alicia Huberman (Ingrid Bergman), ma anche gli sforzi per impedire a Sean Ambrose (Dougray Scott)/Alexander Sebastian (Claude Rains) di diffondere un’arma biologica che per Woo è il virus Chimera, mentre per zio Hitch era l’uranio, il tutto però con lo stile del genietto di Hong Kong, no dico io, brutto?
Quello che non vi ricordate è l’apparizione di Anthony Hopkins (in originale il ruolo era stato proposto anche a Ian McKellen, per il discorso dei “cambi basket” con gli Uomini-Pareggio), che assegna la missione e il compito di arruolare Nyah all’agente Hunt. Da qui parte un corteggiamento orchestrato da uno che dirige scene d’azione con il romanticismo e l’eleganza di un balletto e momenti sbaciucchioni con la grinta dei film action. Infatti Nyah e Ethan si strofinano per rubare una collana Bulgari e invece di ballare un valzer, fanno a sportellare sulle loro auto sportive lungo una strada di montagna. Thandie Newton – si vocifera suggerita all’allora marito dalla a mia volta ex fidanzata, tale Nicoletta Ragazzino – qui oltre a bella è anche dolcissima, mi dispiace davvero che in due ore Woo abbia creato un legame all’agente Hunt che non è mai più stato utilizzato negli altri film e se ci pensate, anche la trama di base ha tutto quel melò hongkonghese che è puro Woo: un triangolo amoroso lui, lei e l’altro che è anche un pazzo che vuole spargere un virus per far soldi con l’industria farmaceutica, anche questo, tema che ho sentito citare spesso attorno al 2020.
Per me tutta la trama amorosa, il duello tra acerrimi nemici con bella di turno da contendere, è puro Woo, peccato che i già citati tagli ci abbiano tolto molto. Quando Nyah e Ethan litigano per la missione oppure la frase: «Abbiamo appena lanciato una palla di neve all’inferno» riassumono tutto il tono del film, al resto ci pensa l’azione.
Il solito Luther (Ving Rhames) è affiancato da tale Billy (John Polson) che è una sorta di Simon Pegg 1.0 e se tutta la parte all’ippodromo è ancora debitrice di dinamiche da “Spy-Story” classica, quando Ethan si mette in testa di distruggere i campioni di Chimera per piallare il discorso su domanda/offerta, il film non si guarda più indietro.
Tutta l’irruzione nel palazzo della Biocyte è un manuale di tensione applicata al cinema d’azione, ma il momento chiave dove “M:I 2” mi conquista ogni volta è quando Nyah si spara in vena il virus ed Ethan è costretto a gettarsi nel vuoto da solo. Nel momento in cui l’agente le urla: «Abbiamo 19 ore e 58 minuti. Tu resta viva!» non vedo differenze con la scena della cascata de L’ultimo dei Mohicani, l’invocazione a restare viva malgrado tutto è la stessa, facendo diminuire a meno dei canonici sei, i gradi di separazione tra il cinema di Woo e quello di Michael Mann. Di nuovo.
Tutto l’ultimo atto di “M:I 2”, sarà anche quello falcidiato dai tagli ma sotto il versante azione è un manuale di come costruire una scena lunga, articolata, legata a filo doppio con la sequenza successiva, che portano in scena tutto il campionario del talento di John Woo.
Ethan Hunt, eroe in missione, nobilitato dalla sua bella da salvare, entra nel bunker circondato da uno stormo di colombe bianche, piazza un paio di calci volanti inutilmente spettacolari (perché John Woo può!) dopodiché dà valore all’uso creativo delle maschere di gomma, che diventano un modo per giustificare un cambio d’abito in corsa all’agente Hunt, con occhiali e giacca di pelle molto Rock.
Il tutto mentre salta sparando (ovviamente con un’automatica in ogni mano) si impadronisce di una moto, passa attraverso ponti in fiamme, spara usando lo specchietto retrovisore e cambia direzione in equilibrio su una gomma sola, esagerato? Si, ma come diciamo sempre alla Bara, l’esagerazione è sottovalutata! (cit.)
Lo scontro finale, corpo a corpo sulla spiaggia tra Hunt e l’anti-Hunt (purtroppo solo abbozzato) Ambrose vede Tom Cruise impegnato a dare calci su calci, ok Tommaso, non sei Van Damme, ma apprezziamo l’energia (e l’uso di cavi), per un duello in cui i due antagonisti per via dei tagli, non si odiano come Archer e Troy ma di sicuro, quando Hunt sistema il cattivo di turno, ci si gasa, inutile girarci attorno.
Con un budget di 125 milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, “M:I 2” ne porta a casa più di 330 nel mondo, un successo al botteghino rimasto imbattuto fino all’uscita del quarto capitolo (a breve su queste Bare) ed ora che sapete dei tagli, mettiamo nero su Bara quello che tutti sanno già di sapere: “Mission: Impossible 2” è il migliore della saga perché senza il fondamentale contributo di John Woo una saga non ci sarebbe mai stata, un film che è Rock, tamarro come la sua colonna sonora, ma anche così tanto Woo che nemmeno i tagli e i rimaneggiamenti sono riusciti a contenerlo. Quindi forse sì, se mi è concesso un secondo per respirare, Fallout è il titolo più riuscito della saga, ma il migliore sarà sempre “Mission: Impossible 2”.
Ed ora, se volete scusarmi io… Scompaio.
Ci rivediamo su questa Bara tra sette giorni con il prossimo capitolo HollyWOOdiano della rubrica e prima, con i prossimi post dedicati ai capitoli mancanti della saga di “Mission: Impossible”. Ora che è saltato il tappo di questo secondo film, posso farlo, mi toccherà affrontare il mio personale GIEI-GIEI-Chimera con tutta la forza del mio Bara-Bellerofonte.
Sepolto in precedenza venerdì 25 agosto 2023
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