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Mission: Impossible – Protocollo fantasma (2011): il capito che ha (ri)definito la saga

Ho scelto di accettare la missione di scrivere dei (pochi) film della saga di Mission: Impossible che ancora mancavano sulla Bara in vista dell’uscita dell’ultimo capitolo, l’ottavo, la missione – che ho già accettato, si conclude oggi con il film mancante, un tassello chiave, posto proprio a metà della saga.

Rinfreschiamoci un po’ la memoria, M:I ha rappresentato l’esordio come produttore per Tom Cruise, nel suo piano originale non c’era solo l’idea di portare al cinema la vecchia serie televisiva, ma anche di creare della concorrenza sulla sponda americana della grande pozzanghera nota come oceano Atlantico alla spia cinematografica (britannica) più famosa del mondo. Il piano di Tommaso Missile era semplice, a differenza dei film di 007, ogni nuovo M:I avrebbe avuto lo stile e la personalità del regista scelto… Ovviamente da Cruise.

Maglietta del Boss, perché Tommaso è “Born to run”, la sua filmografia lo conferma.

Si inizia con il thriller spionistico di Brian De Palma per poi passare all’azione pura di John Woo, dopo la parentesi dello scivolone sulla buccia di banana di quel cretino di GIEI GIEI (ricondiamolo, rimpiazzo di Joe Carnahan), nel 2011 Tom Cruise è un uomo nuovo, uno che ha rilanciato la sua carriera grazie ad una serie di scelte astute (tra cui “Tropic Thunder” che va SEMPRE ricordato) e con il ritorno di Ethan Hunt vuole dirlo al mondo, è un caso che questo sia anche il film che ha inaugurato l’etichetta che ancora il nostro Tommaso si porta addosso? Quella di un attore che sembra che voglia morire sul set impegnato in stunt folli fatti in prima persona. Quando distribuivano il Super-Ego, Cruise era già passato due giorni prima a fare incetta, ecco perché la foto promozionale del quarto capitolo, è anche quella che riassume Tommasino nostro, come vede se stesso e il mondo, un ragazzo semplice, scalzo, seduto sul tetto del Burj Khalifa, il grattacielo più alto del globo.

Vorrei avere l’1% dell’autostima di questo uomo.

Questa volta però non bisogna fare cazzate, guarda caso, aver assunto la mia nemesi, il cretino occhialuto GIEI GIEI ha coinciso con il più basso incasso di tutta la saga, questa volta bisogna volare alto e per farlo Cruise punta tutto su Brad Bird, non si parla e non si parlerà mai abbastanza bene di quell’uomo, mi prendo un paragrafo per farlo io.

Il suo esordio sul piccolo schermo? Di pregio, il commovente e bellissimo episodio “Qua la zampa Doggie”, l’unico animato della serie “Storie incredibili”, la risposta spielberghiana ad “Ai confini dellla realtà”, poi tanto lavoro nella serie dei Simpson fino all’esordio come regista di un capolavoro come “Il gigante di ferro” (1999), che forse non sarà il più grande film di sempre, ma comunque siamo da quelle parti e me ne fotto se passo per troppo entusiasta, lo sono. Dopodichè? Beh robetta, ha sdoganato concetti presi dai fumetti di super eroi portandoli al grande pubblico per primo con Gli Incredibili e poi l’Oscar con “Ratatouille” (2007), vi ricordate il periodo in cui – a ragione – pensavamo tutti che i tipi della Pixar facessero cinema migliore di tutti gli altri, anche di quelli con gli attori? Bene, per Brad Bird saltare a bordo del carrozzone di Tom Cruise avrebbe potuto essere un suicidio artistico, a distanza di quattordici anni dalla sua uscita “Mission: Impossible – Protocollo fantasma” è ancora una bombetta, fresco come una birra appena tirata fuori dal frigo in agosto, diretta da uno che sembra non abbia fatto altro nella vita, se non gestire grandi film d’azione ad alto budget, il modo migliore possibile per riprendersi da GIEI GIEI, così anche oggi, ho parlato male di lui, un’altra giornata ben spesa.

«Sul serio, ero qui Tom, potevi chiamarmi senza perdere tempo con il pezzotto di Spielberg, coso lì, GIEI GIEI»

Che poi, diamo alla mia Nemesi quello che è suo, la sua Bad Robots Production è ancora dentro pronta a co-produrre, il che, sono il primo ad ammetterlo, porta un po’ di lustro perché lo dico sempre, se il maledetto facesse solo il produttore, il mondo (del cinema almeno) sarebbe un posto migliore, ma cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Sono quelli che ne determinano tutto l’andamento, e Brad Bird si rivela ancora una volta un regista estremamente intelligente, e molto ironico, perché “Mission: Impossible – Ghost Protocol” è il capitolo basato sul giocare con le aspettative del pubblico, oltre che a sorprenderlo.

Nel prologo a Budapest, il biondo di Lost (pretoriano di GIEI GIEI) viene ucciso da una Léa Seydoux come al solito sensualissima, si tratta del classico prologo da film di spie, volutamente classico ma ditemi se non è anche una dichiarazione d’intenti da parte di Bird, ok occhiali, tu produci ma io sono al comando, infatti per una parte del film, dovrà fare i conti con il lascito del suo precedessero, ma a ben guardare, solo per cancellarlo, l’unico sopravvissuto da M:I III è Simon Pegg, che Brad Bird promuove letteralmente ad agente sul campo, con tutto l’entusiasmo di cui Benji Dunn è capace («MASCHERE!»), riuscendo a bilanciare bene leggerezza e serietà, vi giuro che questo è il capitolo dove Tom Cruise, duettando con Pegg, sembra quasi umano, non mi lancio a scrivere addirittura simpatico, ma almeno umano.

Lo spin-off su Benji con Simon Pegg è quello che tutti vorremmo, ma Cruise ha le mani appiccicose (ah-ah) e non molla la sua saga.

“Mission: Impossible – Protocollo fantasma” è il film che mantiene fede all’origine televisiva della saga, alla volontà di avere la personalità di ogni regista che lo ha diretto, ma è anche il film che ha fatto fare il salto di qualità alla saga, l’ultimo con i titoli di testa (con musiche di Michael Giacchino) con la miccia che brucia, come se stessimo ancora guardando la serie tv, ma anche l’ultimo con scene di tensione tutte in silenzio (il gioco di specchi al Cremlino) di stampo depalmiano ma anche il primo con le mega scene d’azioni spettacolari e gli stunt folli di Tommasi Missile, insomma, i primi quattro film sono stati diretti da tre Maestri e un cretino, gli ultimi quattro della saga saranno tutti firmati da Christopher McQuarrie, che però ha basato il suo lavoro su “Ghost Protocol”, alzando ogni volta l’asticella del super-ego del suo datore di lavoro, ma se “M:I” ancora oggi è una saga milionaria, lo dobbiamo al lavoro intelligentissimo fatto da Brad Bird qui, il vero punto di equilibrio di tutti gli otto film.

Fateci caso poi, “Ghost Protocol” è il capitolo che più di tutti gioca con le aspettative del pubblico, quando Ethan Hunt accetta la missione, lo fa da un telefono pubblico che recita il solito copione «Questo messaggio si auto distruggerà…» salvo che poi non lo fa, Cruise cammina verso la macchina da presa, ma l’esplosione alla sue spalle non avviene, deve tornare indietro dubbioso, agganciare di nuovo la cornetta per vedere il telefono prendere fuoco, in tilt, e il film è tutto così, volete un’altra prova della mia tesi? Ving Rhames fa un cameo solo per prendere per il culo il protagonista, dell’aver gridato «Missione compiuta!» ok, ma anche del conto alla rovescia che non si blocca, a smontare il canone dei film di spionaggio.

Distruggere tutte le aspettative, lo stai facendo bene.

Brad Bird firma un film pieno di ottime finte di corpo, tutte basate su soluzioni cinematografiche, è un trucco cinematografico quello che Ethan e Benjii utilizzano per infiltrarsi al Cremlino (un gioco di prospettive e dei costumi, come quelli di scena degli attori), così come è un grosso trucco cinematografico l’inganno delle due stanze, tirate su all’interno del Burj Khalifa per mettere le mani su una copia dei documenti, se non è un set cinematografico quello, non so che altro possa esserlo. Inoltre segni di continuità per il colto Bird, anche il primo capitolo si apriva con una finta stanza d’albergo che sembrava un set tirato su apposta per intortare qualcuno.

Tutti questi tocchi di gran classe di Bird, vanno a braccetto con il fatto che questo capitolo, ha ancora lo spirito della vecchia serie, Hunt ha una squadra, composta da un sotto utilizzato Jeremy Renner (con l’ego di Cruise non si patteggia) e da quella meraviglia di Paula Patton, utilizzati anche in parallelo con gustosa ironia («La prossima volta il riccone lo seduco io»), ma tutto questo senza dimenticare le direttive di scuderia, ovvero la volontà di morire sul grande schermo di Tommaso Missile.

«Ti devo lasciare, Cassidy sta facendo commenti su di me, vado a strangolarlo»

Tutta la sequenza dell’uomo ventosa sui vetri del Burj Khalifa («Luce blu stai su», «E quando è rossa?», «Stai nella fossa») risulta da palmi sudati, quelle scene che ti fanno percepire la vertigine e che idealmente strizza l’occhio al salto fuori dal Nakatomi che tutti amiamo, una roba davvero adrenalina, ma fosse l’unica sequenza riuscita del film!

L’inseguimento nella tempesta di sabbia è stato ripescato anche quello per uno degli ultimi M:I, per non parlare della lotta con il cattivone del silos della auto parcheggiate, veder “volare” quelle automobili appese al soffitto, perdonatemi, ma non può non farmi pensare alle porte volanti di “Monster & Co.” perché il mio cervello (o ciò che ne resta) fa una Pixar-associazione tutta sua, che mi permette di tornare su uno dei temi chiave di questo “Protocollo Fantasma”, un film che gioca con le aspettative.

Fighissimo, ma Bruce Willis lo faceva scalzo e a Natale.

Pensate a quella sequenza, il cattivone che invece di cercare lo scontro con l’eroe, si getta nel vuoto perché sa che creerà più danno possibile al suo avversario allontanandolo dalla valigetta, una delle tante sequenze di depistaggio, anche nei confronti dello spettatore, che smonta con il cacciavite le aspettative del pubblico.

Difetti? Per me essenzialmente uno “Ghost Protocol” si porta ancora in pancia un po’ delle tracce del capitolo precedente, infatti rallenta in soli due punti, quelli in cui bisogna ricordare al pubblico la moglie di Ethan Hunt, che nel finale un po’ appiccicato come un post-it sulla portella del frigorifero, vede ricomparire per due secondi Michelle Monaghan, perché un eroe vedovo ha senso, un eroe divorziato non risulta figo abbastanza per gli standard di Cruise (che quella questione ex moglie è sempre sul chi vive), quindi dentro la scenetta pacificatoria per dare un finale e il benservito a Michelle Monaghan. Io lo ribadisco, un personaggio che avrebbe funzionato dieci volte meglio se fosse stata ancora fatta a forma di Thandie Newton, ma anche questo è un problema che la saga si porta dietro dal terzo capitolo e che Brad Bird ha dovuto risolvere.

Hanno ucciso l’Uomo Ragno, ora sappiamo chi è stato e perché, voleva sostituirlo, alla faccia del caffè.

Quello che invece il regista Brad Bird ha davvero lasciato ad “M:I” è stata l’impronta, da qui in poi la saga non è più stata quella che si adattata alla spirito del regista chiamato a dirigere il nuovo capitolo, ma è diventata quella di Tommaso Missile che fa i salti pazzi e cerca di morire sullo schermo per noi. Forse in questo qualcuno potrà vedere una perdita di centralità nella figura del regista nelle produzioni ad alto budget americane, ma è anche vero che questa saga fa ancora soldoni, proprio grazie alla pennellata data da Brad Bird, mica male per un quarto capitolo di cui nessuno parla mai abbastanza e come sempre, questo messaggio si distruggerà tra 3, 2, 1…

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