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Mission: Impossible – The Final Reckoning (2025): grazie per aver accettato la missione Mr. Cruise

«Le nostre scelte determinano chi siamo» e «Devi fidarti di Ethan Hunt» che essendo l’alter-ego, anzi, il super-ego di Tom Cruise è un po’ come dire «Devi fidarti di Tommaso Crociera». Queste sono le due frasi, ripetute piuttosto spesso nel corso dei 170 minuti dell’ultimo “Mission: Impossible”, che probabilmente non sarà davvero l’ultimo, questo lo determinerà solo Padre Tempo, ma è stato costruito per dare proprio l’impressione della fine di un’epoca.

Quella iniziata nel 1996 sotto l’egida di Brian De Palma che ha visto Tom Cruise evolversi nello stato di icona intoccabile del genere action, a suo modo, l’ultimo della sua specie, uno che fa le cose in grande e continua a pensarle allo stesso modo, della stessa dimensione di uno schermo cinematografico, dove malgrado i difetti tutti in bella vista, questo film andrebbe visto, ma fatemi invocare il mio amico Anders Celsius, come avrebbe detto lui, andiamo per gradi.

«Tu parli di gradi Cassidy, ma quello che si è tuffato nell’oceano gelato sono io»

Ci sono fior fiori di cinefili che valutano tutti i film di Tommaso Missile alla luce della sua ben nota appartenenza ad una determinata religione, personalmente lo trovo un parametro assurdo per valutare un’opera però, va anche detto che “The Final Reckoning” è il capitolo che rispetto agli altri, non solo offre lo spettacolo pirotecnico, ma sembra volerci assoggettare completamente al culto di Tom Cruise, e non intendo Scientology, ma proprio il suo culto.

Tutta la lunga, lunghissima, parlata, prima parte di questo ottavo capitolo parte della premessa di voler essere il più lungo riassunto della storia del cinema d’azione o giù di lì, via i furti e le maschere che tanto piacevano a Benji Dunn, dentro spiegoni su spiegoni, personaggi che tornano, altri che si scoprono “figli d’arte” con la pretesa assurda di far tornare tutto, avete presente il meme del complottista che gira da sempre su Infernet? È così che mi immagino Tommaso Missile mentre spiega al suo regista schiavo Christopher McQuarrie, come vuole collegare tutti i film precedenti, in modo che questo “The Final Reckoning” sia davvero il gran finale, la conclusione pianificata da sempre (non è vero…) di tutto quello che è iniziato nel 1996, e quando dico tutto, intendo proprio tutto, anche infilare a forza riferimenti superflui alla zampa di lepre e visto che mi dite che critico sempre GIEI GIEI (avete ragione), fatemi aggiungere un dettaglio.

Si, sto per tirare in ballo la mia nemesi, tranquilli, ho un piano.

Il capitolo precedente, Dead reckoning, sarà anche quello che ha creato il protocollo (chiamato proprio “Protocollo Cruise”) adottato da Hollywood per lavorare durante una pandemia globale, ma anche il primo film della saga (dal terzo in poi) senza la Bad Robots productions della mia nemesi tra i produttori, questo va detto, ha coinciso con un calo di ritmo non da poco, un problema che affliggeva già il settimo capitolo, più frizzante nel secondo atto piuttosto che nel primo, infatti l’idea di Cruise di creare l’evento, si è tradotta in un film in due parti conclusivo, ma se “Dead” e “Final” fossero stati un unico Reckoning, tagliando un po’, sicuramente il ritmo ne avrebbe giovato.

La trama prosegue dal film precedente, ora l’agente Ethan Hunt ha trovato il suo Moriarty e deve fermare la cattivissima Intelligenza Artificiale, pronta a lanciare i missili nucleari, insomma è Tom Cruise vs. Skynet, ma prima di arrivarci davvero, dobbiamo attraversare il mare magnum del primo lunghissimo atto (e un pezzo del secondo) in cui tutti si zerbinano davanti all’ego di Cruise, dalla presidente degli Stati Uniti Angela Bassett, fino a tutti gli altri personaggi di contorno, che qui risultano pianeti, piccoli, pianetini, che ruotano attorno a Re Sole Tommaso Primo ed unico ancora, più che negli altri capitoli della saga.

Primi piani ne abbiamo? Embè il Super-Ego di Tommaso non si coccola da solo, ci vuole McQuarrie!

Quindi non manca il solito Ving Rhames (otto su otto alla voce presenze), Simon Pegg e la bellissima Hayley Atwell il cui rapporto frizzantino con il protagonista è comunque sfizioso, va un po’ peggio alla promettente Pom Klementieff, la cui Paris del capitolo precedente sembrava ben avviata, qui invece un po’ ridotta a snocciolatrice di frasi ad effetto, perché anche qui c’è un vago sentore di Top Gun – Maverick, ovvero alleniamo la prossima generazione di agenti per il futuro, ma vi devo ricordare i Die Hard con i figli di John McClane che sembravano pronti ad ereditare la torcia e che invece – per fortuna – non abbiamo mai visto? Non succederà nemmeno questa volta, perché mentre come al solito rimbalziamo in giro per il mondo, in continui cambi di location che avrebbero fatto felice anche Alessandro Borghese, di colpo, questo “M:I” si ricorda di non essere un film pensato per spiegare al mondo il senso della vita, l’universo e tutto quanto (spiegato da Cruise) ma di essere una delle saghe d’azione più popolari del pianeta e di colpo quei 170 minuti e lo schermo più grande in circolazione con impianto sonoro da terremoto su cui stai guardando il film, hanno improvvisamente un senso e un gran valore.

Tom and the Tomster Band (una scusa per infilare una foto di Hayley Atwell, tiè!)

Cruise si vive alla grande i suoi paradossi, perché la prima parte di un film in cui combatte contro la I.A. cattiva, sembra scritto e gestito da ChatGPT per via dell’infinita di dialoghi-spiegone, ma quando arriva la lunghissima sequenza senza dialoghi del sottomarino, il tempo si dilata, tanto ho patito la prima parlatissima parte, quando ho completamente perso di vista la percezione del mondo in termini di minutaggio nell’incredibile sequenza sottomarina, girata testardamente in prima persona da un attore-autore che concede pochissimo alla CGI. Quando lo vediamo rannicchiarsi nel lancia siluri o affrontare il gelo degli abissi è proprio Tommaso Missile, mosso dal suo super-ego, dalla sua voglia di morire sul grande schermo, in sacrificio per noi, cinema orgogliosamente analogico, della vecchia scuola, per opporsi alla tecnologia per altro, sulla bocca di tutti anche una volta usciti dalla sala, basta guardare un TG a caso, si parla solo di I.A. spesso a casaccio.

Affrontiamo l’abisso con una delle migliori sequenze del 2025.

Se il cinema è l’impero delle immagini, è palese che ormai viviamo in un mondo dominato da esse, in cui molto pubblico non è già da tempo in grado di distinguere la finzione dalla realtà se la ritrova scorrendo e scrollando sul proprio telefono, ovviamente a Cruise questo suo ruolo Messianico aggrada, l’idea che in un mondo dove il discorso di un leader mondiale possa essere modificato, nel contenuto e nel labiale o delle bandiera durante una manifestazione possano cambiare colore, viene da pensare che un agente Hunt ci farebbe comodo, il tutto mentre Cruise ribadisce il suo strapotere sul grande schermo ma non solo, guardate cosa succede se provate a recensire il film su Letterboxd… Diavolo di un Tommaso!

Sono di scuola Carpenter, quindi non so nemmeno cosa sia Letterboxd, però questa è una mossa brillante di marketing.

Se la lunga sequenza sottomarina è meraviglia pura, dopo aver ribadito il suo dominio su terra e acqua, Cruise lo fa anche in aria, questo film inutilmente complicato che cerca la continuità a tutti i costi, poi vola – letteralmente – quando l’ennesimo stunt iper pubblicizzato fin da prima dell’uscita del film, va finalmente in scena. Non è con film comunque bellissimi come “Magnolia” (1999) che Tom Cruise ha costruito il suo mito, lo ha fatto trasformando quello che i nostri cugini dall’altra parte della grande pozzanghera nota come oceano Atlantico chiamano “Ego trip”, in vera arte, rendendo la follia e forse una latente volontà di morire sullo schermo in qualcosa da donare al pubblico. Vederlo saltare da un aereo all’altro, in volo, è gioia ma anche puro cinema, perché rimanda a quando Burt Lancaster prendeva i treni al volo, oppure ancora prima, alle gag fisiche e geniali di Charlie Chaplin, oppure al padre nobile di tutti i cascatori cinematografici al cinema, ovvero Buster Keaton, insomma, cinema allo stato puro, primigenio, e se l’anno prossimo l’Accademy premierà anche i cascatori (era ora!) lo dobbiamo un pochino anche alla testardaggine di Tommaso Missile.

Vai, vai, nel cielo vai, lassù nel ciel, vai vai, vai vai (cit.)

Mentre le penne stipendiate sono impegnate a focalizzarsi sull’età di Cruise, che si ritrova in “Modalità Conto alla rovescia” come succede all’uscita di ogni nuovo film di Eastwood, ma con trent’anni di anticipo rispetto a Clint, qui rischiamo di far passare inosservato il fatto che siamo di fronte all’ultimo attore-autore del cinema contemporaneo, più di una celebrità o di qualcuno specializzato in stunt, qualcuno in grado di utilizzare l’azione per riflettere sul cinema di ieri, di oggi e di domani. Quando a colpi di pugni scandisce tu. Passi. Troppo. Tempo. Davanti. A. Internet, sembra parlare a tanti di noi, in un film-mostro, che per tematiche si morde spesso la coda da solo visto quanto predica parlando, ma che poi allo stesso tempo, evoca tutti i grandi “Mambo Jumbo” informatici e non della storia del cinema, tanto da farti esaltare per il fatto che ancora una volta Hunt (quindi Cruise) abbia deciso di accettare questa missione.

C’è tanta arroganza in tutto questo, una buona dose di boria e di auto compiacimento? Certo, a tonnellate, ma anche una palese e manifesta tensione al risultato, e non uso la parola tensione a casa perché l’infinità tirata sottomarina è una delle sequenze migliori che vedrete quest’anno al cinema, in un film che è una celebrazione, sicuramente dell’ego di Cruise, ma prima di tutto del Cinema come ce lo meritiamo, coinvolgente, grande quanto uno schermo cinematografico, un manifesto dell’idea di settima arte dell’ultimo attore-autore rimasto o per lo meno, rimasto a riuscire ancora a fare soldoni al botteghino.

In volo su un trabiccolo ad alto potenziale di morte, in pratica una Bara. Tommaso, uno di noi!

Forse siamo arrivati al massimo, almeno di quello che si può mostrare fisicamente al cinema prima di sfociare nel ridicolo infrangendo quel patto di credibilità con il pubblico, dopo l’enorme parlare, lo snervante parlare del primo atto di questo “The Final Reckoning” e la sua fantastica tirata conclusiva, sembra davvero il capolinea di una saga in giro dal 1996 trainata dalla testardaggine di un solo uomo, anche perché l’unico altro “M:I” possibile che vedo dopo questo, è un film d’azione interamente muto, dove si passa da uno stunt strabiliante ad uno che ti fa pensare «Ok, sta volta è morto davvero», insomma, la chiusura totale del cerchio, il punto zero del cinema allo stato puro, questa è l’unica altra sfida che resta a Tommaso Missile, le altre le ha vinte tutte, mannaggia a lui.

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