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Mississippi Adventure (1986): Tutto questo è blues ragazzo

Ci siamo dati appuntamento ad un crocicchio sette giorni fa
e mi piacciono le persone puntuali, quindi imbracciamo la chitarra e tutti
pronti per il nuovo capito lo di… King of the hill!

Siete sicuri che Chi più spende… più guadagna fosse il film più strambo nella filmografia di
Walter Hill? Il regista famoso per i film con i duri in situazioni complicate alle prese con una commedia è qualcosa di difficile da assimilare, ma per il
suo film successivo Gualtiero Collina ha scelto nuovamente una commedia, questa
volta più in linea con le sue passioni e, come abbiamo visto, tra le grandi
passioni di Walter Hill, potete metterci tranquillamente anche la musica.

Se Strade di fuoco
era una favola Rock & Roll, con “Crossroads” – da noi “tradotto” con il
titolo di “Mississippi Adventure” perché la tradizione tutta italiana di
tradurre titoli in inglese, con altri titoli in inglese non è cero un’invenzione
degli ultimi anni – Walter Hill va alle radici del Rock e su soggetto di John
Fusco scrive una sceneggiatura che è un omaggio alla musica Blues.
Chiariamoci bene: io di Blues sono così ignorante che se non
lo trovo nella stessa frase accanto alla parola “brothers” mi sento spaesato,
quindi non ci proverò nemmeno a far finta di farvi credere che io conosca
davvero qualcosa di questo genere, ma sono in buona compagnia, perché Walter
Hill ha fatto lo stesso.

No, non è quello con Britney Spears! Questa è un rubrica seria (forse).

Hill qui è come il suo protagonista, Eugene “Talent Boy” Martone,
interpretato da un Ralph Macchio fresco fresco del successo del primo Karate
Kid “Per vincere domani” (1984), è un ragazzo che ama la musica, ma per dirla
come l’anziano uomo di blues Willie “Blind Dog” Brown (un Joe Seneca in gran
forma) “gli manca il chilometraggio”. Quindi Hill semplicemente fa
qualcosa che ha azzoppato nei giudizi “Crossroads” alla sua uscita, ma gli ha
permesso di diventare un piccolo film di culto per quelli che hanno avuto modo
di vederlo all’età giusta, pochi e fortunati visto che il film passava in
replica sulle nostre tv più o meno con la frequenza con cui la musica Blues
passa nelle nostre radio. Hill fa un film sulla mistica della musica Blues,
sulle sue leggende e i suoi eroi, seguendo il principio che ha sempre fatto
grande il suo cinema, ovvero utilizzare la settima arte per rendere più epica e grande la realtà sul grande schermo.

In un crocevia così, puoi incontrare il diavolo, oppure veder iniziare un film di Walter Hill.

Proprio per questo, dedica i primi cinque minuti iniziali ad una leggenda dietro alla musica Blues, il presunto patto con il diavolo stretto da Robert Johnson (qui perfettamente interpretato da Tim Russ) per
diventare un bluesman di successo. Ed ecco perché “Crossroads” inizia proprio a
bordo strada, in quello che stando al doppiaggio italiano d’epoca viene
definito un “crocicchio” e non un crocevia, l’incrocio tra due strade che forma
una croce, dove di solito il diavolo si manifesta per offrire prestigio in
cambio di beh, la tua anima.

Non ti fidare di lui, è quello che ha creato Skynet!

Certo, se ci fosse stata giustizia nel mondo, i nostri distributori
avrebbero dovuto avere le palle di intitolare anche il film con Britney Spears
del 2002 “Crocicchio – Le strade della vita” invece no! Quello lo hanno
intitolato “Crossroads”… mannaggia a loro!

Con una fotografia color seppia, entra in scena l’assistente
del Diavolo, paglietta in testa e la faccia di Joe Morton, trasforma Robert Johnson in una leggenda vivente della
musica e nella scena in cui incide i suoi primi pezzi, solo in una stanza d’albergo
con la sua chitarra davanti ad un registratore, ci vuole una leggenda della
musica per permettergli di suonare la chitarra a dovere, per fortuna Walter Hill ne conosce almeno una, ovviamente sto parlando del
compositore di fiducia del regista, Ry Cooder che in un film sulla musica è un
predatore nel suo elemento naturale, infatti si occupa di rifare anche i pezzi
di Johnson oltre che a supervisionare l’intera colonna sonora.

La faccia è quella di Tim Russ, le mani che suonano quelle di Ry Cooder, mentre la musica è di Robert Johnson, brutto?

Anni dopo il nostro “Talent Boy” è un ragazzo che sogna di
diventare un grande “Uomo di blues” (stando sempre al doppiaggio retrò), desideroso
di trovare la canzone perduta di Johnson, perché nelle sue sezioni in Texas
il musicista doveva registrane trenta, ma ne risultano soltanto ventinove, l’unica
pista da seguire per trovare il brano perduto è una voce di corridoio: in una
casa di riposo vive l’amico di Johnson, il grande musicista Willie “Blind Dog”
Brown ed è proprio spazzando pavimenti ed insistendo che Eugene, ma la
conoscenza del suo futuro mentore.

Il primo scambio di battute tra i due è puro Hill, ok manca
la valanga di parolacce che i personaggi scritti da Gualtiero di solito si
lanciano addosso, ma i dialoghi suonano come musica e i due personaggi non se
le mandano a dire, roba tipo «Tu non sei nemmeno l’inizio di un brufolo sul sedere
dell’Ei fu Robert Johnson», ma la mia preferita è quando Willie attacca a
ridere come il gufo Anacleto, quanto Talent Boy da Long Island si definisce un
uomo di Blues («Long Island! Il famoso allevamento per uomini di blues»).

“Sì e magari mi racconterai che hai imparato il Blues da un giapponese di Okinawa che ti faceva mettere la cera sulla auto vero?”

Anche se si è fatto la “Rolls” (la sedia a rotelle, come la
chiama lui) Willie non ha nessuna intenzione di morire in una casa di riposo, se
Talent Boy lo porterà fuori di lì e poi giù dritti fino nel Mississippi, avrà la
trentesima canzone, ecco perché qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa,
il film s’intitola “Mississippi Adventure” perché diventa il classico film “On
the road” che sfrutta dinamiche e attore protagonista di “Karate Kid”, inserendo un’idea di Blues, dove una volta c’era un’idea di arti marziali.

Bisogna notare, però, che oltre al vecchio maestro che insegna
una disciplina ad un giovane allievo, la coppia è in puro stile Walter Hill,
insieme per forza, uno bianco e l’altro nero, insomma anche questa volta lo
schema di 48 ore torna buono, anzi, a
ben guardare, Talent Boy dovrà cavarsela solo in un bar per neri del
Mississippi, un po’ come era accaduto nel locale per bianchi a Reggie Hammond, il nome del locale non è il
solito Torchys, che compare in quasi tutti i film di Hill, però ci somiglia davvero molto.

“Hei ma tu non sei quella di Twister?”, “Tu sei Karate Kid con il cappello, non vorrai mica farmi la morale, vero?”

Anzi a dirla proprio tutta, ad un certo punto del film con l’aiuto
di un’altra vagabonda come loro raccattata per strada di nome Frances (Jami
Gertz), il trio scippa anche su un’automobile, la solita Cadillac decappottabile
blu, che sta ai film di Walter Hill come la Oldsmobile Delta 88 color beige sta
a quelli di Sam Raimi.

Jami Gertz è una tentazione per il nostro protagonista, l’ennesima
tipa tosta che non manca mai nei film di Walter Hill e che fa perdere la testa al
protagonista, ma che gli fa anche guadagnare quel chilometraggio che secondo
Willie, al ragazzo manca. Perché il viaggio del protagonista in una cultura che
ammira, ma che non è sua e che non conosce nemmeno così bene, è lo stesso di
Walter Hill, quindi se Joe Seneca rappresenta alla perfezione la tradizione di
chi sa che «Tutto questo è Blues ragazzo», anche vagabondare senza soldi
scappando dalla polizia, Ralph Macchio con la sua spocchia è perfetto, perché
se vi sembrava poco credibile come esperto di Karate tranquilli, allo stesso
modo lo è come uomo di Blues.
Da appassionati di questo genere musicale, “Mississippi Adventure”
deve sembrare un gran pastrocchio che mette insieme il Blues del Mississippi e
il Mojo della Louisiana senza soluzione di continuità, ma visto da ragazzi
(oppure da completi ignoranti del Blues come me) è ancora una storiella con tutte
le sue cosine al posto giusto, in cui la passione per la musica è palpabile, roba
da farti venire voglia di imbracciare una chitarra e costruirti uno slide
tagliando un vecchio tubo.

“Sono qui con Karate Kid Taa-naa-na-na! L’uomo più bianco d’America
Taa-naa-na-na!”

Quando il film sbraga completamente, arriva anche il
momento più epico di tutta la pellicola, perché per Walter Hill il principio
è sempre lo stesso, rendere ogni cosa al cinema più grande e magnifica, magari
sacrificando anche un po’ il realismo. Quindi, se Karate Kid terminava con un
grande torneo di arti marziali, qui bisogna concludere con un duello di
chitarre per l’anima del vecchio Willie, tutto sotto gli occhi del diavolo in
persona, interpretato da Robert Judd.

Ecco, in “Karate Kid” l’avversario finale Johnny (William
Zabka) era un ragazzo con più esperienza di Karate del protagonista, per questo
ci voleva molta sospensione dell’incredulità quando Daniel LaRusso lo mandava a
terra usando una tecnica che, per altro, con il Karate giapponese non ha nulla a
che spartire. Ecco provate ad immaginare invece l’uomo di Blues di Long Island
fatto a forma di Ralph Macchio quando come campione schierato dal Diavolo si
trova davanti… Steve Vai!

“Ammettilo ragazzo, hai appena rivalutato le botte di quelli del Cobra Kai, vero?”

Di Blues ci capisco meno di Talent Boy, ma di Rock
qualcosina sì e qui Hill grande amante del genere fa venire giù solo uno dei
più spaventosi chitarristi Rock di sempre che nel duello finale si esibisce in
due tecniche di cui è maestro, il tapping quello “facile” (si fa per dire) a
due o tre dita, ma anche quello decisamente difficile a quattro o cinque dita.

Il duello finale è tanto incredibile quanto esaltante, il
Blues qui proprio non c’entra più nulla, ma la spiegazione che mi sono dato è
tanto scema quando forse anche logica, il Rock è la musica del diavolo, no?
Quindi, il Diavolo si gioca la carte di un grande chitarrista Rock e il nostro
Talent Boy che fino a quel momento di era esibito in una versione dal finale Blues
di Rondo alla Turca di Mozart (a casa Cassidy meglio nota come: la canzone del
mio cane quando cerca di sgattaiolare via per non fare il bagno. Storia vera),
nel finale viene posseduto dallo spirito di Marty McFly. Ed ora io lo dico: se davanti ad una scena così state a lamentarvi
del poco realismo e non vi esaltate, vuol dire che il Diavolo vi ha portato via
l’anima a qualche crocicchio laggiù nel caldo Mississippi.

“Qualcuno chiami Chuck Berry, ho appena inventato il sound che stava cercando”

“Crossroads” è la prova che anche con un film apparentemente
del tutto fuori dai suoi schemi classici, un grande uomo di Cinema come Walter
Hill può sfornare un piccolo culto anche con un titolo minore, la prova è che
chi conosce questo film, quasi sicuramente lo adora (un esempio? Passate a trovare Il Zinefilo, che ha scritto di
questo film alla grande!), non ci sono tanti registi in grado di tirare fuori
Blues dove il Blues non c’è, oppure del solido cinema anche da un film minore, Walter
Hill è tra quei pochi.

Visto che siamo in argomento, vi ricordo la locandina d’epoca
del film direttamente dalla pagine di IPMP,
mentre noi ci rivediamo qui tra sette giorni con il prossimo ricercatissimo capitolo
della rubrica, dove a suonare saranno più che altro le pallottole.
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