Non volevo lasciar scivolare questo 8 marzo via così, perché già di suo è una festa fin troppo svilita anche se una delle poche a cui tengo, sono stato allevato da tana delle tigri femministe combattenti sessantottine e quindi ho un debito di formazione. Malgrado il cromosoma Y.
Tra i film di cui mi andava di scrivere in vista del loro compleanno, i primi vent’anni di “Monster”, un film che sembra sempre uscito l’altro ieri, visto che viene spesso citato, ma poi a riguardarlo, pare provenire da un’altra era geologica perché sembra legato a filo doppio alla massima di Brad Pitt, quando dichiarò che Robert De Niro, ingrassando per Gli Intoccabili e mettendo su muscoli per “Cape Fear” (1991) aveva fottuto tutti i suoi colleghi, costringendoli a stare al passo.
Discorso che per le attrici vale doppio, infatti di “Monster” vent’anni fa si parlò principalmente per la trasformazione fisica di Charlize Theron, che come si dice in questi casi le valse un Oscar, come se la sua prova si limitasse ai chili in più e alle lenti a contatto. Caso emblematico quello di Charlize Theron, diventata famosa come la maggior parte delle attrici ad Hollywood, ovvero spogliandosi, una tappa che pare obbligata che per l’ex modella sudafricana, prevedeva lo spot di una nostrana bevanda alcolica (disponibile in due colori) molto popolare anche all’estero.
Mostrate le terga, si può passare a fare i film, con la solita postilla, troppo bella per essere anche brava. La leggenda ci tramanda di Charlize che non passa il primo provino per “The Astronaut’s Wife” proprio per questo motivo, quindi si taglia i capelli alla Mia Farrow in “Rosemary’s Baby” (1968) e viene scelta per la parte, perché ora sì che è abbastanza brutta per il ruolo. Ok, va bene, noi siamo ragazzi ingenui e crediamo a tutto, va bene Hollywood, andiamo avanti.
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Eh si Charlize, con i capelli così ora sei proprio in guardabile, ceeeerto! |
Sta di fatto che come la giri o la volti, sempre troppo bella risulta la nostra Charlize Theron, che nel frattempo fa cadere anche il tabù relativo al suo passato, la fattoria dove è cresciuta, descritta in mille interviste come versione sudafricana della casetta tra i monti di Heidi, da cui l’attrice per anni ha omesso la parte sul padre violento e sulla madre che ha risolto la questione a pallettoni. Ora io non voglio fare il Freud da supermercato, ma forse la sua prova nei panni di Aileen Wuornos è così riuscita e convincente, non solo perché Charlize Theron, si è imbruttita per il ruolo, contribuendo a quel paradosso che viviamo ancora oggi ma che nel 2003 non era ancora scappato di mano.
Quello che io chiamo l’effetto “Ma è uguale!” per cui oggi sembra che la parte più importante di un’interpretazione, sia il mimetizzarsi, diventando identico al personaggio impersonato, forse perché è l’unico elemento alla quale il pubblico dedica davvero attenzione, ma che secondo me ha fottuto il cinema ben più di quanto Pitt sosteneva avesse fatto De Niro.
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«La vedi questa signora qui? Adesso troviamo il modo di farle vincere un Oscar» |
La storia di Aileen Wuornos viene spesso etichettata e archiviata frettolosamente, alla pari del film sulla sua vita, infatti “Monster” viene considerata la storia del sottoprodotto di un ambiente violento, tipico della cultura a stelle e strisce, il che è vero solo in parte, visto che nella vita di Aileen Wuornos i momenti in cui un po’ di aiuto dall’esterno avrebbe fatto comodo, non sono mancati.
Maltrattamenti per mano di un padre violento, la scuola abbandonata troppo presto e una gravidanza a quattordici anni, frutto di un rapporto incestuoso con il fratello, alla faccia del sottoprodotto di un ambiente complicato, io direi anche qualcosa di più che solamente complicato. Forse faceva più rumore etichettare Aileen Wuornos come la prima donna serial killer d’America, ma la differenza tra lei e un Jeffrey Dahmer qualunque, mi sembra chiara e non è riducibile alla solita questione di cromosoma Y.
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Scusa Aileen non volevo dare giudizi, giuro! |
“Monster” ha fatto parlare tanto per la trasformazione di Charlize Theron, ma secondo me è molto più riuscito di quello che questa pubblicità (premiata con un meritato Oscar) ha da dire, per altro non mi aspettavo un film invecchiato così bene, o forse semplicemente è lo status delle produzioni di Hollywood ad essere invecchiato male, ma come direbbe Anders Celsius, andiamo per gradi.
La regista e sceneggiatrice Patty Jenkins esordisce con questo film, facendo un lavoro davvero ottimo, molti dei monologhi di Aileen Wuornos che danno spessore al personaggio interpretato da Charlize Theron, sono stati pescati dalla regista direttamente dalle tante lettere scritte dal carcere dalla donna, in attesa della sua condannata a morte avvenuta tramite iniezione letale, il 9 ottobre 2002.
Il rapido prologo del film definisce, in maniera quasi gentile rispetto al tremendo passato della vera Aileen Wuornos, la storia di una donna che voleva essere scoperta diventano qualcuno come Marilyn Monroe, invece finisce sotto un ponte, fradicia di pioggia e con una pistola, considerata un mostro dalla società, perché l’ultima delle ultime, che nel luogo più improbabile per lei, trova un motivo per andare avanti.
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«Dobbiamo smetterla di vederci così Cassidy, stai diventando morboso» |
Nel locale gay, Aileen Wuornos ci entra per stare all’asciutto, ma non di alcool in corpo. Qui fa la conoscenza di Selby, l’unica che nella sua vita riesce a portare quel minimo di felicità che in precedenza, le era sempre mancata, ed è qui che in maniera molto intelligente Patty Jenkins usa l’arma del cinema. Infatti Selby è il nome inventato scelto in sostituzione di quello della vera amante di Aileen Wuornos, ve lo dico subito, tanto Charlize Theron è diventata identica alla sua controparte, quanto Christina Ricci non somiglia minimamente a Tyria Moore. Scelta ruffiana perché la donna angelicata nella vita di Aileen deve essere carina? Anche, forse, ma più che altro proprio perché il personaggio di ‘Tina Ricci ha un ruolo chiave che nella valutazione del film è stato dato un po’ per scontato.
Forse perché gran parte dell’attenzione era chiaramente sulla trasformazione di Charlize Theron, in realtà trovo che tutto il rapporto tra Selby e Aileen sia stato raccontato molto bene, Patty Jenkins ci mostra come nasce il loro rapporto, guarda caso pattinando, come Rocky e Adriana, solo che loro due lo fanno sulle note di “Don’t Stop Believin’” dei Journey, pezzo che ormai temo termini di colpo, sul più bello, per via di certi trascorsi.
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Funziona sempre, Rocky docet. |
L’emancipazione di queste due donne, passa attraverso un atto violento, un tentativo di stupro che smuove qualcosa dentro Aileen Wuornos e che trovo simbolico (più di Selby che si toglie il gesso che la blocca, quando è finalmente maturata lei e il suo rapporto con Aileen) il fatto che l’aggressore qui sia interpretato da Lee Tergesen, proprio lui che era la vittima predestinata Tobias Beecher nella serie tv OZ.
Posso dire anche un’altra cosa per cui la mia già scarsa popolarità andrà ancora un po’ più a sud? A parità di un tentativo di stupro e di una pistola che diventa un mezzo per riprendersi indietro qualcosa dalla vita, trovo “Monster” molto meno ruffiano di Thelma & Louise, che si giocava le stesse carte ma poi puntava su una spettacolarità che penso ancora sia il frutto del fatto che ad un certo punto, un regista dotato, di talento ma anche di cromosoma Y, abbia scavalcato la sceneggiatrice (e regista designata) perché ha fiutato odore di film di culto. Così anche oggi la mia parola buona nei confronti di Ridley, lo Scott sbagliato, l’ho mandata a segno, tanto della popolarità me ne frego.
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Tipo Thelma & Louise ma senza lo Scott sbagliato di mezzo. |
Proprio come in Thelma & Louise le due protagoniste hanno un rapporto dove per buona parte del film, è una delle due ad essere al comando, Patty Jenkins avrà anche ingentilito l’aspetto di Tyria Moore trasformandola in Selby, ma il personaggio di Christina Ricci ne esce meglio di quello di Geena Davis nel film dello Scott sbagliato.
Anche lei è un “mostro” come da titolo del film, almeno la sua famiglia la considera di più per via del suo orientamento sessuale, qualcosa che per i famigliari di Selby è contro natura, mostruoso appunto, un atteggiamento da correggere. Anche perché è proprio Selby quella che riesce a fare qualcosa di fuori dagli schemi, ovvero guardare Aileen Wuornos come nessuno aveva mai fatto nella sua vita, regalandole quel poco di felicità mai avuta prima. Affidare questo personaggio a ‘Tina Ricci, che con le sue fattezze che la fanno sembrare sempre dieci anni più giovane della sua età anagrafica è stata una grande idea, anche perché è dai tempi di Mercoledì Addams (quella giusta!) che Christina Ricci è schierata dalla parte dei “diversi”, con un punto di vista alternativo rispetto a quello istituzionale, se non proprio conservatore.
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Per dar fuoco al Campo Chippewa le era bastato un fiammifero. |
Utilizzando l’arma del cinema, Patty Jenkins tradisce una parte dei fatti come avvenuti, per far arrivare il suo messaggio al pubblico, infatti il “tradimento” di Selby è stemperato rispetto alla realtà, declinato mantenendo l’attenzione sui personaggi e il loro rapporto, mettendo in chiaro che forse, con un po’ di aiuto giusto nei momenti indicati, la vita di Aileen Wuornos avrebbe potuto essere molto diversa. Ribadisco, questo film è citato sempre, ma solo per un motivo, tanto vale parlarle no?
La prova di Charlize Theron è davvero notevole, oltre alla già citata trasformazione l’attrice offre molto di più, come ad esempio un certo linguaggio del corpo tipico di chi è abituato ad intimidire fin da subito, per non passare in automatico da vittima: le palpebre sbattute il minimo sindacale, il muso da bulldog e tutto il resto. Infatti Charlize Theron è davvero molto brava quando la storia chiede ad Aileen Wuornos di provare ad avere un atteggiamento diverso da quello sempre all’attacco che conosce, se poi ci mettiamo anche il lavoro fatto sulla voce, quella statuetta era del tutto meritata, anche se poi il “mimetismo” è diventato una pessima pratica Hollywoodiana, assordo a solo ed unico parametro di valutazione di una buona prova di recitazione. Ah! Il film me lo sono rivisto in originale, perché mi piace sentir recitare l’attrice protagonista e non la sua doppiatrice, anche se va detto che l’adattamento italiano dei dialoghi di questo film era ancora gustosamente vecchia maniera, vi invito a trovare un adattamento contemporaneo, che per rendere la parlata ruspante della protagonista, si inventa una frase come: «Non abbiamo una breccola di centesimo», ribadisco, il cinema è invecchiato peggio di questo film.
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Here I am, on the road again (cit.) |
Un altro elemento che fa di “Monster” un film invecchiato bene è il modo in cui Patty Jenkins ha saputo non trasformare tutto in un santino di femminismo di plastica, quello a cui le produzioni odierne tengono molto sulla carta (perché senza, non ottengono la famigerata “luce verde” ai loro progetti) ma che poi trattano come un compito da svolgere, sminuendo il tema. Da un certo punto di vista “Monster” sembra il perfetto film contemporaneo, biopic, di base femminista e con trasformazione da Oscar richiesta, la differenza è che se uscisse oggi, sarebbe manicheo nel mostrare TUTTI i personaggi maschi, bianchi ed eterosessuali come degli stronzi. Qui invece ci sono addirittura due personaggi che non rientrano in questa descrizione, quello interpretato da Bruce Dern ma anche l’ultimo a dare un passaggio (disinteressato) alla protagonista, che ha il volto di Scott Wilson.
Come ha risposto Hollywood ad un film che femminile lo è per davvero? Nel modo migliore possibile, ovvero arrivando alla soluzione ovvia per cui Patty Jenkins, dopo aver diretto un film come questo, era il nome più indicato per un film su “Wonder Woman”. Passaggio ideale giusto? Non vedo differenze tra Aileen Wuornos e una principessa Amazzone no? Specialmente se poi chiedi a Patty Jenkins di dirigere come un uomo (uno in particolare di nome Zack) con risultati su cui preferirei non dire niente.
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Oggi un film così, farebbe partire una valanga di video comparativi sul TuTubo. |
Se poi aggiungiamo che Charlize Theron e Christina Ricci (più la prima che la seconda) trovino ruoli solo all’interno in parti di contorno dentro franchise milionari e in costume e che Patty Jenkins stia scontentando (pare) tutti, perché il suo film sui piloti da caccia di Star Wars non è all’altezza delle aspettative, beh capite che forse “Monster” è invecchiato meglio dell’industria che lo ha generato.
Notare che non ho scritto “Industria maschile”, traete le vostre conclusioni, io ho fatto valere la mia formazione presso tana delle tigri femministe combattenti sessantottine, e come mi hanno insegnato le mie Maestre, l’8 marzo è una festa di lotta, gli auguri in quanto possessore di cromosoma Y li puoi fare, ma poi conta come ti comporti il resto dell’anno. Così parlarono le tigri.