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Morti e sepolti (1981): vivere e soprattutto morire a Potter’s Bluff

Ogni anno faccio una bella lista di titoli che compiono
gli anni durante l’anno solare in corso, ma poi malgrado il mio impegno e il
mio continuo picchiare sui tasti come una scimmia ubriaca intenta a sfare quel
mito sui primati e Shakespeare, finisco sempre ad ottobre con ancora un fottio
di titoli su cui scrivere e il 31 dicembre sempre più vicino, in ogni caso, del
film di oggi ci tenevo moltissimo a scriverne.
ZOMBIE!
Ora che ho la vostra attenzione possiamo parlarle, che
belli eh i film di zombie? Non stancano mai, quegli adorabili non-morti in ogni
loro incarnazione piacciono al pubblico. Bene, il festeggiato neo quarantenne di
oggi è un film che si è un po’ perso nel mare magnum di titoli horror degli
anni ’80, un decennio talmente ricco di sbudellamenti, omicidi e morti viventi
cinematografici che persino un gioiellino così, ha rischiato di passare
inosservato, anche se bisogna dirlo, nel tempo si è conquistato il suo zoccolo
duro di estimatori e il suo meritato status di film di culto.
Il cinema ci ha insegnato che nessuno è più indaffarato di uno sceriffo di provincia.

“Dead & Buried” nasce dalla penna di uno dei tanti
papà di Alien e di Atto di Forza, Ronald Shusett, qui anche
produttore, ha scritto la storia per poi chiedere ad un suo fidato amico e
collega di darle un’occhiata e magari una sistematina, aggiungendo qualcuna
delle sue idee. Per farlo ha chiesto ad un altro dei padri dell’alieno con
sangue e saliva corrosiva, sto parlando di Dan
O’Bannon
.

Il vecchio Dan si mise al lavoro sulla sceneggiatura,
apportando modifiche e inserendo idee che Shusett, di comune accordo con il
regista scelto Gary Sherman, prima accolse con gioia per poi troncarle via
quasi interamente (storia vera). Come l’ha presa quel brontolone di O’Bannon?
Come al suo solito, malissimo infatti in un’intervista alla rivista Starbust, rilasciata in occasione del
lancio promozionale del suo film Tuono Blu, O’Bannon ha quasi disconosciuto la pellicola anche se ancora oggi, viene
ricordato come uno dei suoi lavori più prestigiosi, ma in tutta risposta Dan il
bilioso avrebbe avuto tempo, modo e maniera per firmare un titolo di culto con
un film di morti viventi tutto suo, ma questa è un’altra storia.
“Braaaaains… Ah no scusate, quello è un altro film”

Parliamo invece di un altro dei responsabili di questo
film, magari il nome Gary Sherman può dirvi pochino, anche perché all’attivo
non ha avuto molti film, ma alcuni abbastanza significativi. “Morti e sepolti”
è stata la sua seconda regia dopo l’esordio del 1972 “Non prendete quel metrò”,
ma probabilmente vi ricorderete di Sherman per titoli come Wanted vivo o morto, con Rutger sulle piste del cantante dei Kiss.

“Dead & Buried” è un film molto interessante che
meriterebbe di essere oggetto di una riscoperta, perché per atmosfera sapeva
rifarsi benissimo a certe titoli degli anni ’70 se non addirittura precedenti, ma
allo stesso tempo aveva temi e facce note, tipiche del cinema horror americano degli anni ’80. Per certi versi “Morti e sepolti” ha saputo con una certa
originalità, prendere le distanze da due filoni popolarissimi in quel decennio
come lo Slasher e i film di zombie, ma forse per questa sua “stranezza” ha
pagato in termini di popolarità presso il grande pubblico, anche se non so voi,
ma più vado avanti più penso che “strano” sia il miglior complimento che si
possa fare ad un film, ma anche ad una persona a ben guardare.
Qui posso scrivere davvero quello che voglia, perché tanto sotto una foto di Lisa Blount chi mai mi leggerà?
La cittadina di Potter’s Bluff (nome geniale), si
incastra perfettamente nelle cittadine da horror del cinema, un paesino di
pescatori del New England a metà tra un racconto di Stephen King e uno di H.P.
Lovecraft. Più il paese è piccolo più una faccia nuova si nota subito,
specialmente a Potter’s Bluff dove i nuovi arrivati vengono accolti da un
cartello che promette “Un nuovo modo di vivere”, anche perché gli abitanti sono
specializzati in un tipo di accoglienza tutta loro, visto che si muovono in
branchi come i Brontosauri di un certo parco molto famoso, per ammazzare nel
modo più truculento possibile i nuovi arrivati, ma solo dopo aver fatto loro
tantissime foto prima di fare scempio dei corpi. Alla faccia del caloroso
benvenuto eh?

Nel prologo del film, i famigerati cinque minuti iniziali
che determinano tutto l’andamento della pellicola, lo scopre a sue spese un
fotografo impegnato a fare foto alla sua ragazza (interpretata dalla sfortunata
e bellissima Lisa Blount), il
malcapitato è vittima di una violenza belluina e immotivata che continua anche
in ospedale, in una delle scene più iconiche del film, con il poveretto avvolto
dalle bende e pugnalato a morte, in uno di quegli omicidi che fanno emettere
versi sibilanti di dolore anche agli spettatori intenti a guardare il film.
 
Ma la calorosa (in tutti i sensi) accoglienza degli
abitanti di Potter’s Bluff se la prende anche con un pescatore tanto da
costringere un altro estraneo, lo sceriffo Dan Gillis (James Farentino),
sposato con la maestra Janet (la sempre guardabile Melody Anderson, reduce da Flash Gordon) ad indagare su questi
misteriosi omicidi, anche se nessuno pare davvero riuscire a fare luce sul
giallo.
“Sempre meglio che essere rapita da Ming il tiranno di Mongo”
 
Non aiuta di certo nemmeno l’ambiguo comportamento del
patologo locale, il dr. Dobbs (Jack Albertson), talmente abituato e gestire
cadaveri di persone defunte nel modo più disparato, da condurre frettolose
autopsie, spesso più interessato ad ascoltare i suoi pezzi swing che a firmare
documentazioni redatte per benino, il tutto mentre persino la maestra Janet
comincerà a comportarsi in modo strano, leggendo libri sulla tradizione Voodoo
a scuola ai piccoli di Potter’s Bluff, mentre per ragioni che a tutti – tranne
che allo sceriffo – sembrano del tutto normali, i morti ammazzati della cittadina
tornano in vita, come se nulla fosse accaduto, ben integrati nella comunità.
Come dite? Ricorda un film diretto da un (ex) amico di Dan? Adesso ci arriviamo.
 
Per ricostruire il New England a Mendocino, nell’assolata
California, il regista Gary Sherman ha dovuto ricorrere a tutti i trucchi della
vecchia scuola, il più delle volte dei teli per coprire obbiettivi e sfondi,
che servissero a coprire la naturale luminosità degli ambienti in cui le scene
venivano girare, il risultato è efficacissimo, perché “Morti e sepolti” è un
film nebbioso, che si rifà a tanti classici come “Ho camminato con uno zombi”
di Jacques Tourneur, che era tra le fonti d’ispirazione dell’altro film uscito
poco prima, che per atmosfere potrebbe ricordare il film di Sherman, mi
riferisco a The Fog diretto dall’ex
amico e compagno di scuola di O’Bannon, perché Hollywood a volte è un posto di
lavoro davvero piccolo. Ma a ben guardare ci sono tante altre fonti di
ispirazione nobili in “Morti e sepolti”, che potrebbe ricordare per certi
aspetti “La fabbrica delle mogli” (1972) di Ira Levin oppure alcuni episodi di Ai confini della realtà, anche per il
riuscitissimo colpo di scena finale, che sistema e dà un senso a quelle che nel
corso del film possono sembrare delle incongruenze della trama, che invece
trovano una loro logica proprio grazie a quella svolta così riuscita.
Uno, due, tre, Robert sta arrivando da te.
 
Non mancano le facce note in questo gioiellino da
riscoprire che si porta piuttosto bene i suoi quarant’anni d’età, ad esempio
uno degli abitanti più facile da riconoscere, tra la massa di assassini di Potter’s
Bluff è sicuramente Robert Englund prima di infilarsi nel maglione a righe di Freddy
Krueger. Ma per un film così d’atmosfera la parte del leone la fanno gli
effetti speciali orgogliosamente artigianali, tanta bellissima e variegata
macelleria cinematografica, portata in scena da un genio, il Maestro Stan Winston e la sua squadra di tecnici.
La Stan Winston School può far tornare in vita i morti, letteralmente!
 
Se come me amate gli effetti speciali realizzati alla
vecchia maniera, quelli che durano nel tempo e invecchiano bene, perché sono
frutto di talento, intuizioni e tanto duro lavoro, dovreste proprio vedere (o
rivedere) “Morti e sepolti” perché è strapieno di tanti effetti speciali
pratici che impreziosiscono il film dall’inizio alla fine. Malgrado l’impianto
da B-Movie e il budget non proprio stellare, ogni omicidio sa di drammatico
realismo, i manichini telecomandati spesso sono indistinguibili dagli attori,
proprio perché il trucco e celato molto bene e anche quando non lo è, il film
comunque funziona.
 
Una delle scene più iconiche del film è senza ombra di
dubbio la ricostruzione del corpo dell’autostoppista brutalmente uccisa («La
morte è una cosa sconcia, ma io so come renderti bella di nuovo»), in cui la
progressiva ricostruzione è stata girata in presa diretta, tanto che le mani
del dottore che vediamo operare sono proprio quelle di Stan Winston (storia
vera), per poi finire montata nel film alla rovescia in modo da ottenere
l’effetto di ricostruzione voluto, le dissolvenze sulle mani, necessarie per i
tagli del montaggio, invece che sospendere l’incredulità danno alla scena
quell’atmosfera da incubo che in un film come “Dead & Buried”, ci sta
davvero alla perfezione.
Visto che non me le invento le scene che descrivo? Esistono anche comode GIF a fare da supporto visivo.
 
Forse l’unica morte violenta che mostra qualche ruga resta lo
scioglimento nell’acido del medico, anche se qui la colpa non è di Stan Winston visto che la produzione, un po’ come accaduto per The Fog, preoccupata di doversela
vedere contro titoli horror ben più truculenti, ha richiesto qualche scena
violenta extra, infatti questa è stata girata per ultima, quando ormai Winston
e i suoi tecnici avevano lasciato il set, infatti la sequenza è stata messa su alla bene e meglio da un’altra squadra, con risultati che purtroppo si notano
ma non scalfiscono minimamente un film invecchiato così bene e nobilitato da un finale da applausi.
 
Non è difficile intuire chi sia il colpevole a Potter’s
Bluff, anche perché la storia non fa davvero niente per seminare false tracce,
ma in ogni caso la svolta finale è capace di colpire lo spettatore davvero a
sorpresa, frutto di un lavoro sui personaggi notevole perché ne sono certo, a
Potter’s Bluff si va per la mattanza, per il lavoro di Winston e per questo
punto di vista del tutto originale sui film di zombie e gli Slasher, ma è per
quel finale che si resta (anche di sasso), il tipo di svolta finale che ti fa
patteggiare completamente per i personaggi, capace di trasformare chiunque in un
seguace di questo gioiellino purtroppo dimenticato. Avete presente i colpi di
scena su cui Michael Knight Shamacoso
ha basato la sua carriera? Ecco, per scriverne e dirigerne uno così, sono sicuro
che anche lui darebbe via tre dita di una mano, garantito al limone.
 
Quindi se non avete mai visto “Morti e sepolti”, io spero
di essere riuscito a farvi venire almeno la voglia di recuperarlo, perché non
esiste modo migliore per fare gli auguri di compleanno a questa gemma
dimenticata tutta da riscoprire.
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