If I should die before I’wake / I pray the Lord
my soul to take.
americani che dà il titolo al film, non mi resta altro che darvi il mio
benvenuto a… Craven road!
Dopo aver diretto Red Eye, zio Wessy non è certo rimasto con le mani in mano, basta dire che nel
2006 è uscito “Pulse”, remake americano dell’horror giapponese Kairo, che Craven non ha potuto dirigere
(perché impegnato con il bagno di sangue produttivo di Cursed) limitandosi a scriverne la sceneggiatura.
dare un po’ di sfogo alla sua volontà di esplorare generi differenti rispetto
all’horror, quello che gli ha portato la fama, infatti in quell’anno era tra i
tanti nomi blasonati nel film collettivo Paris, Je t’aime, in buona compagnia di signori come i fratelli Coen, Alfonso
Cuaròn, Alexander Payne e Gus Van Sant, in un film composto da cortometraggi
tutti dedicati alla città francese.
innamorati tra Emily Mortimer e Rufus Sewell, due turisti americani in visita
al cimitero di Parigi che dà il nome al cortometraggio, famoso per essere il
luogo che ospita l’ultimo riposo di poeti come Jim Morrison e soprattutto Oscar
Wilde che è proprio lo spirito che verrà in soccorso della coppia (quasi) in
crisi. Dimenticatevi le persone sepolte vive di Il serpente e l’arcobaleno, non
sperate nemmeno in apparizioni spettrali da spavento, in cinque minuti Craven
firma un corto che fila alla perfezione, ma non ha niente della sua solita
iconoclastia ed è anche difficile da collocare tra le tematiche classiche della
sua filmografia, in ogni caso, resta mille volte meglio di A Nightmare on Meryl Streep.
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“Io non ci volevo venire a Parigi”, “Zitto o ti costringo a vedere La musica del cuore”, “Bellissima Parigi!” |
Nel 2006 esce anche il remake del suo Le colline hanno gli occhi diretto da Alexandre Aja, un buon successo
commerciale che nel 2007 porta ad un seguito, questa volta sceneggiato dallo
stesso Wes Craven insieme al figlio Jonathan, anche se, in tutta onestà, il
risultato finale non è proprio esaltante, Le colline hanno gli occhi II non
porta bene a Craven, inutile ostinarsi!
Soul to Take”, un minimo di attesa era legittima, arrivati a questo punto della
rubrica dovrebbe essere chiaro che gli alti (altissimi) e i bassi (spesso
abissali) in cui si muoveva la filmografia di Craven lo hanno reso un regista
unico nel panorama horror.
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Il professor Craven torna dove aveva cominciato… a scuola! |
Per Wes Craven, “My Soul to Take” rappresenta il primo
film scritto e diretto dai tempi di Nightmare nuovo incubo, il film è stato prodotto dallo stesso Craven, da Anthony
Katagas e da Iya Labunka, moglie di zio Wessy, alla sua prima esperienza come
produttrice. Insomma, tutte le premesse per una certa dose di libertà creativa,
no? Certo, ma i problemi non sono mancati lo stesso.
attorno al 2008, ma dopo le prime tiepide reazioni durante i test di prova, per
tentare di correre ai ripari si decise di optare per una trovata sinistramente
di moda in quel periodo: il 3D, vecchio trucco rilanciato da “Avatar” (2009) di
James Cameron.
sono arrivati, però, un’infinità di pellicole girate in 2D (come “My Soul to Take”)
e poi riconvertite giusto per cavalcare la moda del momento e gonfiare il
prezzo del biglietto. Ma posso essere brutale? Forse le reazioni freddine
durante le proiezioni di prova erano dovute alla trama e non al suo formato?
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Persino i personaggi del film commentano la scelta con un sommesso facciapalmo. |
“My Soul to Take” negli Stati Uniti racimola ventuno
milioni di fogli Verdi con sopra le facce di altrettanti ex presidenti defunti,
ma essendone costato venticinque milioni per via della riconversione in 3D
viene bollato come flop tanto che qui da noi, in uno strambo Paese a forma di
scarpa, il film non ha visto nemmeno il buio delle nostre sale, ma è uscito
direttamente per il mercato dell’home video.
escono centinaia di horror con adolescenti come protagonisti? Forse, ma devo
confessare che ho un problema tutto mio con “My Soul to Take”, beccami
Condor americano se riesco a ricordarmi di che parla!
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Forse parlava della storia degli Slipknot? Avete capito, no? Slipknot, nodo scorsoio… Ok, la smetto. |
Sul serio, quando è stato il momento di rivederlo per
questa rubrica, io ero certo di averlo visto nel 2010 alla sua uscita, ma
ricordavo solo un assassino, dei ragazzi e un Condor, eliminando il pennuto
dall’equazione, insomma, avrebbe potuto essere qualunque altro film di Craven
con un assassino e degli adolescenti, una specialità che il maestro di
Cleveland conosce bene.
forse un po’ lungo, ma sfizioso come premessa: nella cittadina di Riverton, un
tizio affetto da un caso grave di schizofrenia (parla con le sue personalità
nemmeno fosse Gollum) di nome Abel Plenkov, capisce di essere il famigerato
mostro di Riverton di cui parlano tanto i giornali, senza più controllo sulle
sue personalità uccide la moglie a coltellate e prima di potersi gettare con
violenza belluina sulla figlia, la polizia interviene e lo fredda, bang bang!
luce sette bambini tutti contemporaneamente, non si sa come Plenkov è già al
corrente di questa notizia (la città è piccola, la gente mormora) e prima di
fuggire nella notte giura di tornare ad uccidere i sette neonati.
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Un film di Craven è come una tavola ben apparecchiata, non deve mai mancare il coltello. |
… non so voi, ma anche mentre scrivevo il riassunto del
prologo avevo più dubbi che certezze. Cosa gli dovrebbe fregare a Plenkov dei
sette bambini? Ma poi io dico tutti insieme? Nove mesi prima a Riverton per
caso era avvenuto un grosso blackout, uno di quelli che ti lascia senza
corrente, tv e wi-fi tanto da dover passare il tempo alla vecchia maniera? Boh,
vai a capirlo.
confuso è che i sette ragazzi, cresciuti e ormai adolescenti, sono la
reincarnazione delle sette personalità multiple di Plenkov (anche se nel
prologo se ne conta una sola, due al massimo). In un rito scaramantico, ogni
estate i ragazzi si radunano per la loro personale versione del 5 novembre:
prendono un mamozzo con le sembianze dell’assassino e lo accoltellano, per
impedirne il ritorno.
televisivo Bill Murray viene inviato a fare un servizio sulla tradizionale
ricorrenza del giorno della marmotta. No, forse sto facendo un po’ di
confusione, andiamo avanti.
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“Siamo adolescenti che stanno in un bosco in un film horror, cosa potrebbe mai andare storto?” |
L’assassino che ritorna, un po’ alla Freddy, ma molto meno appariscente (diciamo più Ghostface che Horace Pinker,
zio Wessy aveva capito la lezione), gli adolescenti abbandonati a loro stessi
nella provincia americana, con genitori assenti, costretti ad aggiustarsi da
soli e che spesso entrano nelle camere degli amici passando dalla finestra,
mentre sono attanagliati da incubi ricorrenti, puro Craven al 100%, oppure
qualcuno che prova a scimmiottarlo portando in scena tutte le trovate classiche
del suo cinema, forse il problema di “My Soul to Take” è tutto qui.
che provare a riappropriarsi delle tematiche che lui stesso aveva lanciato nel
1984 con il primo Nightmare, sembra
mettersi in competizione diretta con Kevin Williamson senza nemmeno le trovate
metacinematografiche di Scream, a ben
guardare anche in “My Soul to Take” (appesantito dal solito sottotitolo
italiano inutile “Il cacciatore di anime”) ha degli omicidi che avvengono
mentre qualcuno ascolta dall’altro lato del telefono e allo stesso modo, l’identità
dell’assassino è sconosciuta, in modo che il pubblico possa giocare all’investigatore.
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Zio Wessy, severo arbitro di una combattuta gara di morra cinese. |
Il problema è che di suo “My Soul to Take” non sarebbe
nemmeno male, girato con mano ferma da un regista con un’esperienza e un
mestiere con pochi altri eguali nel campo dello slasher e dell’horror, ma i
personaggi sono tutti talmente piatti da diventare figurine identiche a mille
altri adolescenti in altrettanti horror: la rossa fanatica religiosa, il
Quaterback bullo, lo sfigatello e via così, per un film che non riesce mai
davvero ad attirare l’attenzione dello spettatore se non nei suoi passaggi più
bizzarri. Inoltre, qualcuno mi spieghi perché sulla locandina del film ci sono
otto ragazzi, ma non erano i sette di Riverton? Sono certo di essermi perso
qualcosa, questo film proprio non riesco a seguirlo, svicola talmente nella
modalità “pilota automatico”, tanto da scivolarmi mia dai neuroni anche mentre
lo sto guardando.
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“Stanno per fare la camminata in parata nel corridoio come in Mean Girls, presto nascondiamoci!” |
Per assurdo, uno dei momenti più memorabili di “My Soul to
Take” resta la piccola vendetta dello sfigatello sui bulli che lo perseguitano
a scuola: in fissa totale con il Condor americano, il ragazzo sfrutta il
compito di scienze per portare in aula un enorme costume da… Beh, Condor e
mentre descrive con dovizia di macabri dettagli tutte le capacità del pennuto, improvvisamente
“vomita” della robaccia verde sui suoi aguzzini. Non ho mai capito cos’abbia a
che fare con il film, ma è anche una delle poche scene che riesco a ricordarmi
quando arrivo ai titoli di coda. Quindi, oserei dire che el condor
pasa, ma si porta via anche ogni ricordo di questa trama.
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Gli avvoltoi tutti su di noi / Piano piano volteggiano (cit.) |
Nel finale, la rivelazione sull’identità dell’assassino
non è nemmeno male, una scena bella tesa che, però, poi scivola in un finale
consolatorio che non aiuta proprio, specialmente se fino a quel momento zio
Wessy non è riuscito a farci affezionare a nessuno dei personaggi del film.
Vederli blaterare per ore su: “Sei tu l’assassino! No non sono io!”. Ad un certo
punto, ma chissenefrega ne abbiamo visti duecento di film come questo.
abbia messo dentro un sacchetto tutte le trovate classiche del suo cinema, lo
abbia mescolato e come la Tombola con i parenti a Capodanno, abbia pescato: “Adolescenti abbandonati a loro stessi! Assassino con identità misteriosa!
Ragazzi che entrano dalla finestra!”. Dopodiché ha messo in ordine tutte queste
trovate pescate a caso dalla borsa dei trucchi e ci abbia aggiunto un Condor,
non è un brutto film (specialmente se siete fanatici di Condor americani), ma è
talmente anonimo che spero di conservarne una qualche memoria ora che mi sono
deciso a scriverne.
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Una delle scene più memorabili del film, o almeno credo. |
Per Wes Craven il flop al botteghino di “My Soul to Take”
poteva voler dire solo una cosa, era ora di tornare ancora una volta a Woodsboro
che, poi, è anche l’ultima fermata di questa lunga rubrica dedicata al maestro di
Cleveland, tra sette giorni qui… non mancate!