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Mystic River (2003): la morte non dimentica (e nemmeno il Mystic)

Secondo il calendario cinese, il 2023 è l’anno del coniglio, ma con quell’ultima cifra finale, qui alla Bara lo stiamo facendo diventare l’anno di Clint, visto che un sacco di suoi film compiono gli anni, tra cui uno dei più importanti della sua filmografia, “Mystic River”.

Ora, il discorso lo ripeto tutte le volte, esisteva una lunga e nutrita filmografia di Eastwood prima de Gli Spietati, anche se buon parte del mondo lo ignora, visto che quel film ha fatto fare un salto quantico alla Leggenda, con tanto di consacrazione alla notte degli Oscar. Nel mezzo? Film bellissimi come Un mondo perfetto, oppure solidi thriller come “Debito di sangue” (2002) giusto per citarne due, a dimostrazione che l’inossidabile Eastwood non è mai stato con le mani in mano, anche se il mondo si è ricordato di lui come regista solo in occasione del secondo, enorme, salto quantico della sua filmografia, quella volta in cui gli è capitata per le mani la sceneggiatura scritta da Brian Helgeland (autore proprio del copione di “Debito di sangue” e poi di tanta bella roba per Tony, lo Scott giusto) tratta dal romanzo di Dennis Lehane intitolato “La morte non dimentica” (2001).

Appropriato no?

Se escludiamo la parentesi di “L’isola della paura” da cui Martin Scorsese ha tratto il suo “Shutter Island” (2010), Lehane è il cantore di un certo tipo di thriller poliziesco molto realistico (basta dire che ha scritto episodi anche per The Wire) di base a Boston, un cantore delle asperità della città più bianca d’America, quindi in automatico materiale per l’unico regista che ha la statura, morale e artistica (e anche centimetrica, via!) per poter raccontare le idiosincrasie della sua nazione, problema: alla Warner nessuno voleva sentir parlare di questo “Mystic River”.

«Siii, bello, però senti un po’ Clint, non è che saresti interessato a far uscire l’ispettore Callaghan dal suo stato di pensionamento per caso?», più o meno queste le parole della Warner a cui Clint rispose proprio come avrebbe fatto qualche anno dopo per un altro suo film molto amato, ovvero “Milion Dollar Baby” (2004): «Sentite, io non penso che questo film vi potrà far fare molti soldi, ma sono sicuro che sarà un film che vi renderà fieri di averlo prodotto» (storia vera).

Sicuramente Tim Robbins era fiero di averne preso parte, visto che la sua prova è incredibile.

Ecco perché la Warner ci mise una parte dei soldi, gli altri dovette raggranellarli lo stesso Eastwood, raggiungendo così il budget di 30 milioni (pienamente ripagato, visto che nel mondo il film che ha incassati più di 150) che concedeva a Clint la libertà necessaria per scegliersi gli attori, ed è qui che Clint il conservatore, Clint il Repubblicano, Clint quello che per anni è stato demolito dalla critica cinematografica di sinistra italiana (per film come “Bronco Billy” ad esempio) e che da parte di quella unanime, bipartisan, è puntualmente un illuminato, l’ultimo regista classico americano oppure un vecchio rincoglionito a seconda della qualità del suo ultimo film sfornato, cosa fa? Affida due dei tre ruoli chiave del film a Sean Penn e Tim Robbins.

Due ruoli chiave su tre li abbiamo messi in cassaforte.

Vi vedo da qui che state gesticolando come a dire “Eh minchia!” (tipica espressione di Boston), si è scelto due bravissimi attori, che c’è di male? Nulla, nel 2023. Ma vent’anni fa, all’uscita del film, questa storia che parla di personaggi spezzati, dell’anima ferita di un’intera nazione, rischiava di passare per qualcosa di anti-patriottico, specialmente a così breve distanza da quel brutto giorno di Settembre del 2001, in cui le stelle e le strisce sono tornate prepotentemente di moda, nel modo più conservatore e ottuso possibile.

Clint Eastwood, che avrebbe voluto Sean Penn come protagonista del suo “Debito di sangue” (ruolo che ha poi ricoperto lui stesso, anche se ben più vecchio della controparte cartacea del personaggio), glielo aveva promesso a “Bagdad Sean” che prima o poi avrebbero lavorato insieme. Già perché Penn si era guadagnato ai tempi questo infelice soprannome – regalino della destra americana conservatrice – per via della sua visita a Bagdad, in aperta critica alla politica dell’allora presidente americano, quel cretino di George DABLIU’. Basta così? No no, Eastwood ha voluto nel cast anche Tim Robbins, storicamente combattivo Democratico, con le mani pienissime tra il 2001 e il 2003 a contestare la politica estera e non solo americana. Mica male per un conservatore come il nostro Clint, essersi scelto due attori su tre che in quel momento, facevano parte delle liste nere di Hollywood, peccato che il pubblico e la critica abbia sempre la memoria cortissima e tanta voglia di giudicare frettolosamente l’ultimo lavoro di Eastwood, utilizzando il suo orientamento politico come unico parametro di giudizio.

Perché a nessuno frega niente dell’orientamento politico di che so, ecco, Kevin Bacon? Parliamo di film dai.

Potete immaginare la felicità della Warner alla notizia di avere un film in uscita con i nomi di due “dissidenti” ben in vista in locandina, per il terzo almeno, cerchiamo di viaggiare sul velluto, per il ruolo del poliziotto Sean Devine prendiamo uno tranquillo e affidabile come Michael Keaton! AH il caro vecchio Batman!

Tutto fila liscio, Keaton partecipa anche alle prime letture di gruppo del copione con il resto del cast, si trasferisce a Boston per alcune settimane, per calarsi nell’atmosfera della città e per prendere contatto i veri poliziotti locali al fine di calarsi nella parte e poi? Cambogia sul set! Per motivi che non sono mai trapelate, partì una litigata furiosa tra Keaton ed Eastwood, ufficialmente le solite “divergenze creative” che però costrinsero il regista a rivolgersi di corsa al sostituto, Kevin Bacon, ed ora qui lo dico ma prendetela come una mia illazione: avete presente il lungo periodo in cui Michael Keaton è stato lontano dalle grosse produzioni? Ecco, basta, non aggiungo altro, unite voi i puntini ma ripeto, sono solo mie illazioni, perché a ben guardare Keaton ha poi recitato in un altro film Bostoniano molto bello, simile in alcune tematiche a quello di Eastwood, Il caso Spotlight

«Volante uno a Gavino, abbiamo messo anche il tuo ruolo in cassaforte, passo e chiudo»

I ruoli dei poliziotti nel film non sono nati fortunati per Eastwood, il compare di Keaton Bacon avrebbe dovuto essere quel Forest Whitaker che Clint aveva già diretto nel 1988 nel bellissimo “Bird”, ma per via di precedenti impegni è stato anche lui sostituito, cambio di stampo cestistico in favore di Laurence Fishburne. Per fortuna con le protagoniste femminili è andata meglio, solo Laura Linney rimbalzava tra questo set e quello di “Love Actually” (storia vera).

Inutile girarci troppo attorno, ha avuto ragione Clint come sempre, su tutta la linea, non solo questo film andava prodotto, ma andava fatto recitare a quegli attori lì, persino i cambi sono stati propizi, perché quei due sporchi comunisti voluti da quel fascista di Eastwood, sono stati meritatamente premiata con la statuetta di zio Oscar, ma Gavino Pancetta, rimasto all’asciutto, offre una prova memorabile, dal mio punto di vista non ha nulla in meno degli altri, se non un personaggio che per via della trama, resta più defilato. Per il resto inutile dirlo, “Mystic River” diventa un classico istantaneo, il titolo che viene citato sempre quando si parla di grandi film diretti da Eastwood e grandi film in generale, qui da queste parti, li chiamiamo Classidy!

Vi rompo le palle quasi quotidianamente con questa massima, la famigerata regola dei cinque minuti iniziali, quelli che determinano tutto l’andamento di un film, ecco, a ben guardare la potremmo chiamare “Regola Mystic River” e nessuno si scandalizzerebbe, perché l’inizio di questo film non solo ti “vende” il resto della storia, ma t’incolla allo schermo fino ai titoli di coda. Ci sono già dieci storie dentro quell’inizio minimale, classicissimo come la regia di Eastwood, che sceglie TUTTI gli angoli di inquadratura con una naturalezza “Fordiana”, facendola sembrare quasi una cosa facile, raccontare un’intera storia fatta di non detti, di silenzi tra personaggi, di verità celate e di misteri, inghiottiti dalle onde del fiume Mystic, il cuore di tenebra della città di Boston che veglia su tutti, conosce i segreti di ogni abitante ma non parla, la morte non dimentica citando il romanzo di Dennis Lehane, ma nemmeno il Mystic e chi abita presso le sue sponde.

«Lo vuoi un palloncino?» (cit.)

Tre ragazzini giocano ad Hockey su strada, la palla finisce nel tombino e tutto questo, sembra l’inizio di un altro grande “romanzo americano” ovvero “IT” di Stephen King e a ben guardare non ci vedo nemmeno troppe differenze, perché i mostri arrivano ma non sono vesti da clown ma da polizotti (uno dei quali per altro, era il capo di McNulty in The Wire, per il discorso dei gradi di separazione), si portano via Dave proprio quando anche lui come gli amici Jimmy e Sean sta per apporre la sua firma sul cemento fresco, fa in tempo a scrivere solo le prime due lettere e lì idealmente, la sua vita si ferma, quando Eastwood lo mostra guardare all’indietro dal lunotto posteriore dell’auto dove è stato caricato dai “poliziotti”. Pensate a tutte le inquadrature belle e dolenti dirette da Eastwood nella sua carriera, pensate allo stesso tipo di inquadrature che avete visto in ogni film della vostra vita, poche rivaleggiano con questa. Per quello che mi riguarda, il film è giù un capolavoro, poi inizia per davvero.

Vi risparmio la questione del dettaglio sull’anello, perché tanto il mio post di oggi potrebbe finire anche qui.

Una menzione speciale la merita il direttore del casting, che dopo aver risolto l’affare Keaton, ha trovato tre ragazzini che sembrano davvero credibili nei panni di Robbins, Penn e Pancetta da bambini, che una volta cresciuti sono stati segnati, qualcuno direttamente e altri indirettamente da quel giorno («A volte penso che ci siamo saliti tutti e tre insieme in quella macchina»). Dave, il ragazzo scappato dai “lupi” si contorce nel silenzio, di un eterno fare spallucce e minimizzare un trauma che non ha mai superato davvero, posso citarne solo una? Nel suo parlare metaforicamente di lupi e vampiri cosa fa? In tv sta sveglio la notte a guardare Vampires. Si può solo voler bene ad una storia che riempie i silenzi usando film di John Carpenter, invece spero abbiate con piacere notato il piccolo ma fondamentale ruolo affidato ad Eli Wallach, così, per ricordarci dei vecchi tempi di Tuco e del Biondo.

«Il suo nome per esteso per la testimonianza grazie», «Tuco Benedicto Pacifico Juan Maria Ramirez»

Quando Katie (la bellissima Emmy Rossum), la figlia di Jimmy scompare è proprio Sean (Kevin Bacon) che si ritrova ad indagare, non solo ha i silenzi di una moglie che lo ha abbandonato da gestire («Grazie per la conversazione») ma deve anche dire al suo amico d’infanzia che sua figlia è stata barbaramente uccisa, ed è qui che “Mystic River” si gioca il suo secondo momento caldo – raccontato con emotivo distacco – quando ancora dobbiamo metabolizzare quei primi cinque fatidici minuti iniziali.

Jimmy (Sean Penn) è un quasi ex criminale, tipico sottoprodotto di una certa Boston bianca, fatta di immigrati di seconda o terza generazione abituati a risolvere tutto tra di loro. Ecco, però la parola chiave in tutto questo è “quasi”, perché ridendo e scherzando (poco) “Mystic River” risulta incredibilmente avvincente, non solo perché i personaggi sono travagliati e sfaccettati, oltre che recitati come si fa in paradiso, ma è anche un thriller che lèvati, ma lèvati proprio.

«Sentito che dice Cassidy? lèvati, ma lèvati, che devo accompagnare mio figlio a scuola»

Un thriller che si muove a due velocità, da una parte le indagini, spedite ma inevitabilmente rese macchinose da doverosi passaggi, come quelli assolutamente non secondari del ricavare prove certe, dall’altra abbiamo l’indagine parallela, quella condotta da Jimmy e dai suoi, alimentata dalla rabbia per il lutto, dalla voglia di cercare un colpevole su cui sfogarsi il prima possibile, se un mostro, tanto meglio. Ecco perché i personaggi femminili sono il vero barometro, i maschietti nel film, si incazzano, si disperano, cercando di restare glaciali quando nel petto hanno le fiamme che ardono, piangono anche quando dicono che non riescono a piangere, ma sono le armi puntate, quelli che fanno accadere gli eventi. In questo clima di omertà ben rappresentato dalle onde del Mystic, sono le donne a muovere gli eventi, la scomparsa di Katie rimette in moto vecchie dinamiche mai risolte. Il sospetto di Celeste Boyle, moglie di Dave (una bravissima Marcia Gay Harden) diventa un fattore scatenante, ma la corsa tra le due velocità del film e dell’indagine, inizia con quella scena madre, la seconda grossa del film, il ritrovamento del corpo di Katie.

Sean Penn si esibisce nel suo straziante «C’è mia figlia là dentro!? C’è mia figlia là dentro?!?!», la squadra di Rugby di poliziotti che lo tiene a bada sono più o meno quelli che sarebbero serviti a tenere Penn lontano dal suo premio Oscar, solo sulla base di quella scena, poi ci sarebbe tutta la sua prova nel film che è anche migliore, ma il colpo di genio per me, sta nel fatto che Eastwood diriga tutto senza nemmeno un accenno di musica, silente come il Mystic, ci rende tutti testimoni e da qui, la corsa contro il tempo, scandita dalla furia di Jimmy comincia e ti tiene incollato fino ai titoli di coda, anche se il film lo hai già visto tante volte nel corso degli ultimi vent’anni dalla sua uscita.

La stessa scena si è ripetuta durante la cerimonia degli Oscar, per tentare di tenere lontano Penn dalla statuetta.

Ecco io cosa faccio adesso però? Vi racconto tutte le scene? Sto qui a tediarvi sulla qualità dei dialoghi, sulle prove attoriali che sono una meglio dell’altra? Sul genio di Eastwood, che nel momento chiave riprende di nuovo Dave da grande, che guarda indietro attraverso il lunotto di un’altra auto che lo sta portando via? Cosa di devo davvero dire in più di un film che è ancora e giustamente, oltre che universalmente, ricordato come uno dei migliori di uno dei migliori registi viventi americani, l’ultimo baluardo del cinema classico a stelle e strisce? Cinema etico, dove il fattore umano fa sempre la differenza, anche quando non arriva in tempo per farla come succede qui, perché questo è un filo rosso che unisce tutti i film da regista di Eastwood.

Per me “Mystic River” è uno di quei film che vanno visti e rivisti togliendosi idealmente il cappello (quindi una delle due espressioni del suo regista), capace di essere ancora oggi un modello su come bisognerebbe dirigere, montare, fotografare (i volti in ombra per metà, come quelli di Penn nella scena finale a bordo fiume), scrivere, recitare e anche ritirare premi quando si parla di grandissimo cinema al suo meglio. “Mystic River” tratta il pubblico come persone adulte e intelligenti, chiedendo loro di unire i puntini dei tanti silenzi della storia, ma fornendo loro tutte le informazioni per farlo,  anche la soluzione del “giallo” è in linea con la filmografia di Eastwood, uno che ha creato il suo mito grazie a personaggi che avevano sempre in pugno una pistola, e che qui, mettendone una in mano all’assassino di questo film, senza dire nulla, dice comunque molto del Paese d’origine del regista, dove un’arma può arrivare in mano a chiunque. Poi ricordatevelo, care penne stipendiate, la prossima volta che avrete voglia di dare del reazionario ad Eastwood perché non avete gradito il suo ultimo film, ma tanto si sa che con il vecchio Clint, critici e anche molto pubblico non hanno memoria, ricordano quello che vogliono il resto, affonda tra le acque del Mystic.

Per inciso, la riga di dialogo di questa scena resta un esempio di grande scrittura.

Ultima giuro, ma se non la scrivo me ne pentirò tutta la vita, nel finale, per rispondere alla faccia da schiaffi di Sean Penn, tocca a Gavino Pancetta avere sulle spalle anche la responsabilità di eseguire il gesto Eastwoodiano per eccellenza, la pistola fatta con pollice ed indice, che riassume tutti i non detti, raccontati in maniera eccellenza da un film che può solo far giustamente consumare i superlativi positivi. Quindi, alla moda di Eastwood me ne sto zitto, perché a questo capolavoro posso fare solo gli auguri e sperare di essere riuscito a farvi venire voglia di vederlo o di rivederlo, con i Classidy di questa portata, solo questo bisogna fare.

«Clint mi ha insegnato, si fa così»

Sepolto in precedenza lunedì 11 settembre 2023

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