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Narcos – Stagione 2: Hanno ammazzato Pablo (Pablo è vivo!)

Ne parlavo
qualche tempo fa con una mia amica (ciao Elisa), mi raccontava di come la sua
socia le abbia chiesto di, testuali parole, “Non fare Spoiler sul finale de i
Tudor” (storia vera). A differenza di Enrico VIII, la vita di Pablo Escobar non
si studia a scuola, ma è altrettanto celebre.

I ragazzi di
Netflix lo sanno e hanno dimostrato ancora una volta il loro dominio su cielo,
terra e piattaforme digitali, con una campagna promozionale estiva a dir poco
geniale, una vera presa per i fondelli a questa ossessione (giustificata? Esagerata?)
per le anticipazioni, una Spoiler-fobia che sta lievemente scappando di mano.

…E tutti gli Spoiler-fobici, MUTI!

Un’altra cosa
su cui Netflix ha il predominio, è la qualità generale delle sue serie tv, la prima stagione di Narcos era una
bombetta, rapida, veloce, forse anche troppo, ma soprattutto violentissima,
proprio come l’ascesa dell’impero criminale del narcotrafficante Pablo Escobar,
interpretato magnificamente da Wagner Moura.


Tra la prima e
la seconda stagione, questa serie ha avuto un cambio di showrunner in stile
cestistico: fuori José Padilha, regista dei due ottimi “Tropa de Elite” e del
remake di “Robocop” (decisamente meno ottimo) e dentro Chris Brancato,
coadiuvato da Carlo Bernard ed Eric Newman.
La differenza
si nota, Padilha concentrava la sua attenzione sul realismo delle irruzioni
della polizia e sulla violenza generale, il difetto della prima stagione di Narcos era solo uno: aver raccontato un’enorme porzione
della vita (e le opere) di Escobar in una manciata di bellissimi episodi.



Provate a ridere del suo maglione da marinaretto, dai, provateci

In questa
seconda stagione, ritroviamo Pablito dopo la sua roccambolesca fuga dalla
Catedral, la sua, ehm, prigione (fai anche super maniero pieno di confort) e
proprio da qui ripartiamo, con un Escobar al massimo del suo potere, ma
circondato da nemici.

I diretti
concorrenti in affari, come il cartello di Cali, numeri due del mercato,
impegnati a rifornire di cocaina il mercato (grossino) di New York. La loro
alleanza con Berna, Judy e i guerriglieri di estrema destra, i fratelli Castano
porta ad un’escalation di scontri e violenza a cui Escobar è costretto a
rispondere colpo su colpo, ogni volta dimostrandosi più sveglio dei suoi
avversari.
Chris Brancato
si concentra, inoltre, maggiormente su Pablo Escobar come uomo, marito e padre di
famiglia, in questa caratterizzazione, ha un ruolo fondamentale Paulina Gaitan,
bravissima nei panni di Tata Escobar, un personaggio che non si limita ad
essere la solita donna del Boss, ma un personaggio più sfaccettato, indispensabile
a capire molte delle motivazioni di “Patrón Pablo”.



Anche Pablo deve fare i conti con i veri poteri forti: La moglie e la madre.

Sì, perché il
bello di questa seconda stagione di “Narcos” sta anche qui: in questa serie, e
verrebbe da dire nella vita reale, non ci sono dei veri e proprio ‘buoni’, ma
solo personaggi con più o meno sfumature di grigio che, alla fine del giorno,
devono fare i conti su quanto si sono sporcati le mani per fare la cosa giusta,
la cosa giusta per loro, ovviamente, che siano essi narcotrafficanti, poliziotti
o politici in cerca di rielezione.

Quelli che
dovrebbero essere i buoni di questa storia, non sono certo cavalieri in
scintillante armatura, il presidente Colombiano Gustavo Gaviria (Juan Pablo
Raba quasi identico all’originale) e lo sceriffo, il colonnello Carillo,
vecchia conoscenza di Pablo e degli spettatori di questa serie. No, sul serio,
se questi sono i buoni dai cattivi cosa dobbiamo aspettarci?



Questo con questa faccetta tenera è quello bravo, figuriamoci gli altri.

I Los Pepes, l’alleanza
di narcotrafficanti sulle piste di Escobar, malgrado il nome buffo, sono capaci
di far passare la voglia di ridere a chiunque con le loro azioni ed in barba
alla fobia da Spoiler, Chris Brancato ci racconta quello che è la parte
migliore di una storia, non come finisce, quello lo sappiamo tutti, Pablo
muore, ma come si arriva a quel finale.

Certo, alcune
parti sono state enfatizzate per motivi drammaturgici, ma il coinvolgimento
degli Stati Uniti nella morte di Escobar qui ci viene illustrato in maniera
chiara e coinvolgente, sia grazie alla presenza della CIA (vecchio trucco
Yankee, destabilizza, metti su un governo fantoccio e conta gli incassi) che
alla polizia, rappresentata dai due poliziotti Javier Peña (il Pedro Pascal già
visto in Giocotrono e altri filmetti gustosi) e Steve Murphy (Boyd
Holbrook), il primo con le mani parecchio in pasta, il secondo, con il compito
di narratore, oltre che di sosia di Macaulay Culkin… Cacchio è uguale!



Ma vi sembra il momento di farvi le selfie? Ci credo che non riuscite a catturare Escobar!

Insomma,
seguendo il vecchio adagio che il più pulito ha la rogna, è tanto strano
prendere le parti di quello che è, a tutti gli effetti, il cattivo della storia?
Il Robin Hood di Medellín in mezzo a questi sbirri pronti alle peggio schifezze
pur di ottenere risultati e a narcotrafficanti con il vizio della “Colombian
folk art” (che non prevede borse, monili e braccialetti ma gole sgozzate) sembra
quasi buono, ancora una volta mi trovo a fare il tifo per il bastardo, Nucky
Thompson, Tony Soprano, Walter White ed ora Pablo Escobar… Vi dico solo che mi
sono centellinato l’ultimo episodio della stagione, per non dover dire addio a
Pablito (storia vera), alla faccia della fobia da Spoiler.

Mi devo
preoccupare del fatto che finisco sempre per fare il tifo per il cattivo? O
forse vale il monologo di Tony Montana in “Scarface” di Brian De Palma? Probabilmente
quello riassumeva tutto anticipando l’era degli anti-eroi della fiction in cui
viviamo, certo che Al Pacino era proprio ispirato in quel monologo, giusto due
righe… Ah! L’avete capita? Tony Montana, Pablo Escobar, due righe… Ok, va bene
la smetto!



Pomo o plata, la rata, el perrito, con questa serie impari anche lo Spagnolo.

La porzione di
vita di Escobar raccontata in questa seconda stagione è molto più breve in
termini di anni, rispetto alla prima, anche il tono, che qui diventa più
intimista (la scena dei soldi bruciati per scaldare la figlia da sola riassume
tutto il personaggio), quello che resta uguale è la qualità generale e l’interpretazione
di un Wagner Moura davvero enorme, rischia di essere il suo ruolo della vita.

Basta dire che
ho visto da poco Benicio Del Toro (non proprio l’ultimo della pista), nello
stesso ruolo nel film “Escobar paradise lost” di Andrea Di Stefano, uscito da
noi in sala qualche giorno prima della messa in onda di questa seconda stagione
di “Narcos” (un caso? Permettetemi di dubitarne), dopo mezzo episodio Wagner
Moura con la sua prova ha cancellato il ricordo del film e la prova, comunque
ottima) di Del Toro, scusate se è poco.



“Del Toro? Mai sentito, conosco giusto Guillermo”.

La cosa
incredibile è che pare ci sia un futuro per questa serie, “Narcos” è già stata
confermata per le stagioni numero tre e quattro, questa volta si parlerà del
cartello rivale di Cali, dimostrando quanto siano stati pragmatici i creatori
della serie, quando hanno scelto il titolo per la stessa. Staremo a vedere come
andrà, ma dopo averli mostrati stronzissimi qui, penso che sarà impossibile
anche per me tifare per il cartello di Cali questa volta, dopo Pablo poi…
Davvero aveva ragione Al Pacino, è l’ultima volta che vediamo un cattivo come
Pablito.

«Voi avete
bisogno di gente come me. Vi serve la gente come me, così potete puntare il
vostro dito del cazzo e dire: «Quello è un uomo cattivo». Be’? E dopo come vi
sentite, buoni? Voi non siete buoni. Sapete solo nascondervi, solo dire bugie.
Io non ho questo problema. Io dico sempre la verità, anche quando dico le bugie.
Coraggio, augurate la buona notte al cattivo, coraggio. È l’ultima volta che lo
vedete un cattivo come me, ve lo dico io»
(Tony Montana)
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