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Nemesi (The Assignment) (2017): Nei panni di una Rodriguez

Wing-woman: «Ma
quella chi è? Mi pare di averla già vista»

Cassidy: «E’ Michelle
Rodriguez, quella di “Avatar” e Fast and furious»

W: «Ma perché la Rodriguez
deve sempre fare questa parti da maschiaccio?»

C: «Eh, qui poi
più maschiaccio che mai, ad inizio film era un sicario maschio, a cui un
dottore pazzo taglia il piripacchio trasformandolo in una donna»
W: «Non c’era già
un film così?»
C: «Sì, quello di Almodóvar,
“La pelle che abito” con Banderas»
W: «Ma allora è
un film vecchio, non è uscito adesso»
C: «Eehh, più o
meno, è una lunga storia, poi sto già soffrendo, è pure di Walter Hill».



Un paio dei titoli con cui sentirete chiamare questo film.

Il dialogo qui
sopra è preso dalle normali attività di Casa Cassidy (quindi storia vera), mi
sembra significativo per provare a dare un’idea di “Tomboy”, anzi di “Tomboy: A
Revenger’s Tale”, meglio noto come “The Assignment”, ma anche “(Re) Assignment”,
un film che cambia titoli di produzione come il suo protagonista cambia sesso
e giusto per non farci mancare nulla, in uno strambo Paese a forma di scarpa di
mia e vostra conoscenza, esce come “Nemesi”, il più banale e generico dei
titoli possibili e anche quello meno legato alla trama del film. Ah, è
l’ultima fatica cinematografica di Walter Hill… Vi lascio il tempo di gettarvi
a terra imitando Wayne e Dana quando incontrano Alice Cooper in “Fusi di
testa”.



Non mi sono mica
dimenticato di avervi promesso una rubrica su Walter Hill (ho già il titolo
pronto, storia vera!), sono ancora di questo avviso perché il buon Ruggero
Collina è uno dei miei preferiti, serve davvero che vi dica che è il
responsabile di alcuni capolavori clamorosi (“I guerrieri della notte”, “48
Ore”) e di un’infilata di altri titoli clamorosi, il tutto mentre produceva,
beh roba da niente… La saga di Alien.
Presso il
sottoscritto Walter Hill è tenuto, non in alta, ma in altissima considerazione
e anche se la sua stella ultimamente non brilla (“Bullet to the head” del 2012
era un’opera Sylvester Stallone-centrica, divertente, ma molto minore,
massacrata da un titolo italiano che… Vabbè, lasciamo stare), ogni suo nuovo
lavoro per me è motivo d’interesse, in particolare se nel cast ci sono Michelle
Rodriguez e Sigourney Weaver. Mi sono convinto a vedere film per molto, ma molto
meno credetemi.



Loro sparano. Io faccio il pesce nel barile.

“The Assignment”
(mi rifiuto di chiamarlo con l’inutile titolo italico), è la seconda pausa di
Walter Hill dal suo quasi ritiro come lo ha definito lui, ma dal 2012 il buon
Ruggero non è stato con le mani in mano, anzi si è dato parecchio da fare
scrivendo fumetti, trovo incredibile che alcuni dei più influenti Maestri del
cinema di genere (Carpenter, Romero… Ciao George!) negli ultimi anni si siano
dati più da fare tra le vignette delle nona arte, piuttosto che tra gli schermi
della settima.

Il nuovo film di
Ruggero Collina ha avuto una storia produttiva iniziata parecchio tempo fa, la
prima bozza scritta da Denis Hamill risale addirittura al 1978, s’intitolava
proprio “Tomboy”, attirò subito l’attenzione di Walter Hill per il suo essere
sfacciata e basata su un tema ai tempi inedito come il cambio di sesso, certo
se lo avesse diretto allora, probabilmente sarebbe stato un film completamente
diverso, non avrebbe avuto la Rodriguez come protagonista (che nel 1978 aveva…
Zero anni), ma considerato che la scelta di Ruggero è stata quella di dirigere
quella bomba di “Driver l’imprendibile” (1978), io direi che va bene così, o
comunque, abbastanza bene così, perché “The Assignment” è un film
incredibilmente coerente con la filmografia del maestro del noir americano, ma
non è proprio tutto pesche e crema. Ah ve lo dico, potreste trovare qualche SPOILER sulla trama, poca roba ma vi avviso lo stesso!

Gira che ti rigira, finisco sempre a parlare di fumetti visto?

Pare che qualcosa
sia andato perso nel passaggio dalla storia a fumetti originale, al film sul
grande schermo, per maggiori dettagli, mi rimando al pezzo del Zinefilo dedicato al film, super completo e precisissimo
in tutti i dettagli.

Frank Kitchen (Michelle
Rodriguez con la barba e tutti i gadget maschili del caso) è un sicario a
pagamento preciso, letale e silenzioso che, però, finisce per freddare l’uomo sbagliato,
per la precisione il fratello della brillante e poco ortodossa dottoressa Rachel
Jane (Sigourney Weaver) brillante chirurgo specializzata in cambi di sesso e
operazioni ardite che ad inizio film è ospite del locale istituto
psichiatrico, mentre il Dr. Ralph Galen (Tony Shalhoub) cerca di capire come la
donna sia finita in camicia di forza e, soprattutto, se questo misterioso Frank
Kitchen esista davvero.
Sì, perché il
nostro Frank Kitchen un brutto giorno, si risveglia in una stanza d’albergo e
scopre che qualcuno gli ha cambiato i connotati (letteralmente!) avete presente
Ellen Barkin che si risveglia donna nel film di Blake Edwards “Nei panni di
una bionda” (1991)? Ecco, stessa cosa, ma con nessuna concessione all’umorismo e
il fatto che invece di una bionda, Frank si risveglia Michelle Rodriguez.



Quello che non manca a questo film, sono le locandine ben fatte.

Bisogna fare due
precisazioni, una in particolare a farla è stato lo stesso Walter Hill, che ha
dovuto spiegare a chiare lettere che questo film NON è un remake di un altro
dei suoi classici, ovvero “Johnny il bello” (1989) in cui il ladruncolo con il
volto deforme Mickey Rourke
, diventa un figo per via dell’intervento
del dott. Forest Whitaker ed ora che ci penso, nel film ci recitava anche
Ellen Barkin (storia vera), i gradi di separazione tra tutti questi titoli
iniziano a diventare molto meno di sei.


“Dopo l’operazione diventa Mickey Rourke” , “Maestro sarebbe un altro fil… Certo Maestro, come dice lei”.

L’altra
precisazione è di costume, mi sono cadute le braccia (dico le braccia in
rispetto al povero Frank) quando ho scoperto che “The Assignment” in patria ha
scatenato l’ira di una buona parte di pubblico, beccandosi le accuse di essere
un film maschilista e fobico nei confronti dei cambiamenti di sesso, solita
utilissima “polemica” legata ai film come ormai ne nascono fin troppe in rete.

Pazzesco, perché
nel casting del film abbiamo un’attrice mascolina (per di più latina!),
un’altra come Sigourney Weaver che qui risulta più androgina che mai, visto che
per tutto il film, si diverte a sfoggiare cravatte, gilet e completi di uomo,
risultando comunque perfetta. Ma se volessimo proprio dirla tutta, nel film
troviamo anche l’interesse amoroso di Frank, una bionda bisessuale con un nome
da uomo come Johnnie, interpretata da Caitlin Gerard
. No,
sul serio, tutto si può dire di questo film, ma non che non prenda a schiaffoni
il tanto chiacchierato “Gender”.



“Tutta questa confusione sessuale non c’era nemmeno quando ero inseguita da alieni dalla testa fallica”.

Non trovo nemmeno
scandaloso che “The Assignment” assomigli così tanto come tema a “Johnny il
bello”, molti autori con la “A” maiuscola spesso ritornano sui loro temi
preferiti più e più volte, vedendo le cose dalla poltrona comoda dell’anno
2017, viene quasi da pensare che “Johnny il bello” fu la risposta di Walter
Hill alla sceneggiatura di “Tomboy” abbandonata nel 1978, il problema, però, è
proprio questo: visto oggi, “The Assignment” sa troppo di già visto e,
soprattutto, i muscoli cinematografici del Walter Hill del 2017, non sono
guizzanti come quello del se stesso di qualche anno fa. Purtroppo.

La storia di “The
Assignment” risulta inutilmente pasticciata, i continui salti avanti e indietro
nel tempo del racconto si vede che sono messi lì per confondere le acque, un
tentativo di far guardare altrove il pubblico, fatto da un prestigiatore con
dita non più così allenate. Ho trovato buffissimo, vi giuro da spanciarsi, il
fatto che molti critici seri (non i cazzari come me) abbiano paragonato le
dissolvenze, i cambi di scena e gli inserti disegnati a cartoni animati del
film, come un tentativo di Walter Hill di scimmiottare il “Kill Bill” di
Tarantino. Ma scherziamo? A parte il fatto che al massimo è Tarantino che è
cresciuto nel mito di Walter Hill e poi si tratta di un’altra trovata di
continuità artistica da parte del regista californiano, la versione estesa de “I
Guerrieri della notte” proiettata ad un Torino Film Festival di un’era
geologica fa, sfoggiava già inserti a cartoni animati, voluti da Hill per
sottolineare la dimensione non realistica della storia, quindi vi assicuro che
mi sono fatto della gran risate leggendo tali panzane, piuttosto bisognerebbe
dire che a volte Hill esagera, serviva davvero aggiungere il “BANG!” quando
Frank punta la pistola alla telecamera della sua video-confessione?



“Dite Cheeeeeese”.

Più in generale: perché inserire proprio tutta la scena della video confessione, con Michelle
Rodriguez ripresa in bianco e nero che racconta al pubblico la sua storia?
Perché un assassino in cerca di vendetta che vuole restare invisibile, dovrebbe
registrare tutto su nastro? Una scelta poco ispirata (e poco logica) per
adattare la voce narrante del fumetto ai meccanismi del cinema.

Ma è davvero
mancato qualcosa a livello di ispirazione nel passaggio della storia dalla
carta al grande schermo, Hill ci chiede di partire dal presupposto che per un
assassino come Frank, ritrovarsi senza pappo, sia peggio che essere ucciso, al
pari di quando ci chiedeva di credere che New York fosse popolata da bande
giovanili in guerra tra loro, ok sta bene, posso accettarlo. Quello che risulta
meno credibile è che Frank voglia vendicarsi della dottoressa che lo ha
reso donna, ignorando quasi completamente quello che si scopre essere il vero
mandante dell’operazione chirurgica non autorizzata.
Inoltre, la
sceneggiatura non si occupa mai di mostrarci cosa prova Frank nel risvegliarsi
in un corpo di donna, tutta la disperazione del personaggio che vediamo è
frutto del talento di Michelle Rodriguez e qui lo dico e non lo nego: non era
così brava dai tempi dell’ultima volta che è stata protagonista assoluta di un
film, ovvero il bellissimo Girlfight, uscito ormai diciassette anni fa.



Non facciamo passare altrettanti anni per un altra prova così, ok?

Roba da mangiarsi
i gomiti, perché se il film fosse stato un po’ più curato, questo avrebbe
potuto essere magari il primo capitolo di una serie di film dedicati a Frank
Kitchen, ma soprattutto uno di quei ruoli spartiacque che cambiano l’andamento
di una carriera, perché sul serio la Rodriguez qui è perfetta, ci crede
tantissimo e ha la faccia, la “cazzima” e il fisico per risultare credibili sia
da uomo che da donna.

Bisogna dire che
la scelta di non prendere un attore (maschio) per la parte di Frank prima
dell’operazione è rischiosa e non paga i suoi dividendi, nei primi cinque
minuti di film è impossibile non pensare “Ma perché Michelle Rodriguez va in
giro con una barba finta?”, nemmeno il finto petto (e pene) villoso non aiutano
la credibilità generale. Se il personaggio funziona è davvero solo grazie a
Michelle che cammina come un uomo e s’inventa un linguaggio del corpo tutto
maschile che ti ricaccia in gola ogni possibile risata.



Quel proverbio sulla donna barbuta continua a trovarmi ben poco d’accordo.
Nei panni
femminili funziona ancora meglio, il che è incredibile perché sono quelli
in cui la Rodriguez dovrebbe recitare di meno, invece è perfetta, sembra
proprio un uomo che non ha idea di come si stia dentro un corpo femminile, esce
in strada senza curarsi delle sue nuove curve perché non è abituato a schivare
gli sguardi laidi degli uomini e per tutto il tempo ‘ste poppe poi sono un
problema, lo rallentano, lo rendono un assassino meno letale, fino al momento
in cui non ne capisce il pieno potenziale come “Armi di distrazione di massa”
e tutto questo, lo dobbiamo solo a Michelle, ahimè non supportata da una trama
all’altezza della sua prova.

Possono essere più efficaci di due 45 automatiche.

Che poi è quello
che si potrebbe anche dire di Sigourney Weaver che è il secondo nome in
cartellone (e la prima collaborazione con Walter Hill dai tempi proprio di Alien), quindi ci sta che abbia più
minuti degli altri, peccato che il suo personaggio della dottoressa un po’
artista e un po’ filosofa, snoccioli un quantitativo di dialoghi spesso inutili
(con omaggi poco centrati a Poe e Shakespeare), tutta roba troppo verbosa che
fuori dal fumetto non funziona di cui, però, non ti perdi una sillaba, solo
perché ogni volta che viene inquadrata Sigourney si mangia la scena. In un mondo
ideale, questo film sarebbe uscito nel 1978, lei sarebbe stata la protagonista
ed ora lo ricorderemmo tutti come uno dei tanti film fondamentali di Walter
Hill.

Sempre la numero uno, anche con le mani legate dietro la schiena.

Invece, mentre sei
lì che vuoi sapere tutto della vendetta di Frank Kitchen, Walter Hill perde
tempo ad introdurre nella trama Poncho, il Pittbull che Frank salva per… Boh?
Per dimostrarci che anche i cani usati nei combattimenti sono buoni? Un’esplosione emotiva dovuta agli ormoni femminili che Frank è costretto ad
assumere? Non si sa, ma per quanto io ami i cani, i minuti se ne vanno e la
trama non procede.

Il finale mi
è sembrato frettoloso, quando Frank scopre che Johnnie di mestiere fa
l’infermiera, io due domande me le sarei fatte, ma il film procede solo grazie
ad uno spunto di partenza molto interessante e a due attrici in gran spolvero,
perché a mancare purtroppo è proprio Walter Hill.



“Sì, sono un cane, ma a differenza vostra sono stato diretto da Walter Hill. Raccogliete pure la mia cacca adesso”.

Le mutazioni del
corpo cambiano inevitabilmente anche il comportamento, se vi ritrovaste una
mattina con la velocità di Usain Bolt, oppure l’elevazione del Michael Jordan
dei tempi migliori voi non le utilizzereste? Non ci sarebbero dei cambiamenti
in voi come accadeva a Johnny (il bello) nel film precedente? Purtroppo, tutto
questo manca in “The Assignment” e mancano anche le scene d’azione davvero
convincenti. Penso sempre che i film vadano giudicati senza pensare al nome del
regista, se non avessi riconosciuto le note del solito mitico Ry Cooder e non
avessi letto “Directed by Walter Hill”, avrei pensato ad un volenteroso
esordiente, magari con prospettiva, ma ancora tutto da fare e, credetemi, non è
facile ammetterlo perché davvero Ruggero Collina è nell’empireo del Cinema per
me.

Riuscito o meno, un altro degli eroi ai margini di Walter Hill.

In ogni caso
grazie soprattutto alle due bravissime protagonista, “The Assignment” merita un
occhiata, si attesta tranquillamente tra i film minori di Walter Hill, che a
questo punto dovrebbe decidere se quel ritiro dal cinema è definitivo oppure
no, come ha dimostrato con i suoi fumetti, le idee non gli mancano, quello che
latita è il “Ritmo partita” per usare un’espressione cestistica, in ogni caso
poco importa, anche se il film non è completamente riuscito non perdo un
millimetro della stima che ho per Walter Hill, un giorno da queste parti ne
parleremo diffusamente, garantito al limone.

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