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Nick mano fredda (1967): una risata vi seppellirà

Cinquant’anni è
già una bella età, immagino che sia quella in cui ormai ne hai viste abbastanza
da aver voglia di mettere giudizio, eppure questo film, anche se proprio
quest’anno compie i suoi primi cinquant’anni, al pari del suo protagonista,
continua a fregarsene della regole, anche quelle basilari, è ancora un inno
alla ribellione fresco ed incredibilmente efficace, che si rifiuta di
invecchiare e mettere giudizio.

Ogni volta che mi
capita di rivedere il film (cosa che faccio abbastanza spesso), mi appassiona e
m’incanta, poi raramente mi sono trovato in connessione con un personaggio
cinematografico come mi capita con il protagonista di questo Classido.



Lo dico spesso (e
lo ripeto perché ne sono convinto): i primi cinque minuti di un film ne
determinano tutto l’andamento. L’inizio di “Nick mano fredda” è micidiale,
sembra il titolo perfetto per portare avanti questa mia tesi. Una scritta
bianca su sfondo rosso urla “VIOLATION!”, è il dettaglio dei parchimetri che
urlano il loro dolore mentre Nick (un Paul Newman che recita per la storia) in
preda ai fumi dell’alcool pensa bene di decapitarne un’intera fila, così,
perché non ha davvero niente di meglio da fare.
Basta il primo
dialogo, a riassumere tutto il personaggio, quando la polizia lo coglie sul
fatto lui se la ride e risponde loro che sta tagliando la testa a questi
parchimetri capitalisti e reazionari, la polizia lo porta via (“Vieni con noi Robespierre”)
e se siete in grado di trovarmi un film con un inizio più fulminante e capace
d’inquadrare storia e protagonista meglio di così, per favore ditemelo, perché
vorrei davvero vederlo.


Ho visto un paio di film in vita mia, iniziare con appena meno personalità di questo.

Quando durante il
film, il resto dei carcerati chiederanno a Nick le motivazioni del suo gesto,
lui, sempre sorridendo, risponderà che in provincia non c’è poi molto da fare
ed è davvero così almeno a Lodi in California (non in Lombardia) dove la scena
dei parchimetri è stata girata e per svariati anni la città non ha mai
provveduto a sostituirli, lasciano solo una lunga fila di pali di metallo
(storia vera).

Quando sei un
ribelle senza una causa, anche decapitare parchimetri può sembrare una buona
idea e se in qualunque posto del mondo ti trovi, finisci a fare a capocciate
con regole e regolamenti, non cambierà certo la situazione se ti trovi a
passare due anni ai lavori forzati, in un campo rurale di prigionia, pieno di
regole severe e “Boss” impegnati a farle rispettare (“…passa una notte in
cella”).
Parliamo subito
dell’elefante al centro della stanza. Nick si chiama così solo in uno strambo
Paese a forma di scarpa, solo qui da noi Lucas detto Luke, diventa
Nicholas detto Nick, per motivi imputabili alla scarsa diffusione della lingua
Inglese nell’italia del 1967, dove Luke molto probabilmente sarebbe stato
pronunciato “Luche”, anche la seconda parte del titolo, “Cool hand Luke” è una
discreta arrampicata sugli specchi da parte degli italici traduttori. “Cool
hand” sarebbe una mano fortunata a poker, dai noi tradotto letteralmente (e
malamente) in mano fredda, facendo un arzigogolato riferimento alla capacità
del protagonista di restare freddo in ogni situazione, ma facendo saltare il
tavolo con tutte le carte, delle citazione pokeristica e Bibliche che sono
parte del personaggio.


“Scommetto che il titolo italiano sarà un pasticcio, sono soldi in banca”.

“Nick mano
fredda” fa pensare ad un astuto ladro, “Cool hand Luke” sarebbe “Luca il
fortunato”, ironico vista la condizione in cui si trova il nostro Luca, che di
fortunato ha davvero poco. Con il cambio di nome del protagonista, ci fumiamo
anche il riferimento Biblico, fortemente voluto da regista Stuart Rosenberg, lo
stesso che poi dirigerà Amityville Horror
e il carcerario Brubaker (1980) con l’altro biondo famoso di Hollywood, Roberto
Ford Rossa.

La sceneggiatura,
scritta da un vero ex detenuto, è finita nella mani del grande Jack Lemmon,
prima scelta per il ruolo del protagonista che, però, capisce che per una parte
così ci vuole uno con una faccia da schiaffi ben superiore alla sua, tipo Paul
Newman, che accetta di buon grado il ruolo, considerando il risultato finale, bella presa Jack.


Ma il cielo è sempre più blu…

Paolo Uomonuovo,
che arrivava dall’ottimo “Hombre” (1967) è semplicemente perfetto e allo
stesso modo Stuart Rosenberg, che anche se fino a quel momento aveva diretto
qualche episodio di “Ai confini della realtà” ha le idee chiarissime per il
film, per prima cosa, come in un carcere, vieta agli attori le visite
coniugali, trasformando il set in un club per soli uomini con le stesse
dinamiche di gruppo che vediamo nel film.

La regia di
Rosenberg è perfetta, complice la fotografia di un fuoriclasse come Conrad Hall,
il film è pieno di trovate visivamente iconiche, come l’idea di riprendere i
detenuti impegnati a tagliare l’erba a bordo strada, riflessi attraverso gli
occhiali a specchio del terribile boss Godfrey, detto anche “The man with no
eye” visto che non lo vediamo mai senza occhiali, per altro l’attore Morgan
Woodward per calarsi nel ruolo e risultare autoritario come il suo personaggio,
non solo sfoggiava gli occhiali anche fuori dal set, ma non ha rivolto la
parola a nessuno degli altri componenti del cast per tutto il tempo delle
riprese (storia vera).


Come direbbero nel film, non parla, ma è come se lo avesse fatto.

Il film è
talmente ben fatto che senti i vestiti che ti si appiccicano addosso per il
calore della Florida in cui Nick viene spedito, puoi anche essere comodo in
poltrona, ma avverti comunque la fatica che una giornata di lavoro da “Chain
gang prison” passata sotto il sole lascia sui prigionieri.

La scena che
riassume tutto, dinamiche di gruppo maschili, ore di lavoro e temperature
roventi è quella di “Lucille” come la ribattezza Dragline (il grande George
Kennedy premiato con l’Oscar come miglior attore non protagonista), la
prosperosa biondina che si mette a lavare la macchina, assicurandosi di essere
vista dai carcerati impegnati a scavare sotto il sole. Sembra quasi la scena di
uno dei primi film di Russ Meyer per quanto risulta erotica senza di fatto
mostrare nulla, nelle invocazioni all’Onnipotente per farsi conservare la vista
ancora qualche minuto, oppure per far saltare quella dannata spilletta che tiene
su il succinto vestito della ragazza, ci sono le “Girls in their summer clothes”
portate all’ennesima potenza, per altro, Joy Harmon l’attrice che interpreta la
biondina, alla sua audizione non ha pronunciato nemmeno una parola, ha solo
dovuto presentarsi in bikini, Rosenberg non ha voluto vedere altre candidate
per la parte (storia vera).


Mai stato un fanatico dell’auto scintillante, ma potrei facilmente cambiare idea.

La prigione è un
ecosistema con le sue regole, se non bastassero le punizioni dei “Boss” ad
incutere timore, ci pensano i prigionieri a creare le loro gerarchie e in
questo sistema pieno di regole scritte e non scritte, arriva il più anarcoide e
ribelle dei protagonista a far saltare il banco.

Trovo
incredibilmente semplice immedesimarsi in Nick, non perché sia l’eroe (o anti
eroe) del film, ma perché mi ci riconosco nella sua insofferenza nei confronti
delle regole e soprattutto per il modo in cui affronta l’autorità con una
battuta sempre dietro l’angolo, un sorriso sempre in faccia e un vaffanculo in
fondo al cuore, per certi versi somiglia al Randle McMurphy di “Qualcuno volò
sul nido del cuculo” (1975), altro personaggio per cui mi è facilissimo fare il
tifo, ma se la ribellione di McMurphy è in qualche modo legata ad un’adolescenziale voglia di vivere, quella di Nick è ancora più assoluta.
Di lui sappiamo
che è stato un ottimo soldato, prima di venire degradato e non è difficile
intuire come mai per uno così insofferente all’autorità. Nel suo modo di non
lasciarsi abbattere e nel non voler “Mettere giudizio” come dice lui mi ci
riconosco molto, in fondo davanti a certi capi e a certe loro fantastiche
decisioni, cosa puoi davvero fare se non ridergli in faccia?


Anche senza più nulla, avremmo sempre una battuta spavalda e un sorriso beffardo.

Paolo Uomonuovo è
perfetto per la parte di questo ribelle senza causa, se non quella di
ribellarsi sempre e il film è un costante crescendo, prima proprio in virtù
del suo spirito e della sua testa dura, si guadagna il rispetto e l’ammirazione
dei suoi compagni, primo tra tutti proprio Dragline, uno che ad inizio film si
comporta come uno “Zio Tom” giustificando le guardie e poi più di tutti
resterà affascinato dall’eterna ribellione di Nick.

La scena del
pugilato tra i due riassume il modo maschile di dimostrarsi rispetto senza
bisogno di dirselo a parole, inizia leggera, quasi come una scena comica, George
Kennedy molto più grosso di Paolo Uomonuovo ha la meglio su di lui mandandolo
ripetutamente a terra, ma Nick continua a rialzarsi, ancora e ancora, in un
attimo la scena cambia tono e diventa drammatica, quasi una profezia del
destino del personaggio, che preferisce farsi ammazzare di botte piuttosto che
mollare.


“Non sono KO, sto solo pensando alla battuccia che farò non appena ripreso fiato”.

Nick, quindi,
diventa un mito per gli altri carcerati, tra cui in piccole parti troviamo
anche un giovane Dennis Hopper e il leggendario Harry Dean Stanton, se ve lo
state chiedendo, nella scena del catrame (una di quelle che nella versione italiana
del film è stata tagliata, peccato perché è una delle mie preferite), quel
biondo con i dentoni non è Gary Busey,
anche se gli somiglia parecchio, è già un mito così senza bisogna di prendere
parte anche a questo film.

Alla chitarra… Harry Dean Stanton! (Applausi grazie).

Il nostro
protagonista con la sua ribellione pacifica, ma pericolosa (specialmente per se
stesso) fa proseliti, Rosenberg lo ha voluto rappresentare come un povero
Cristo in sacrificio per i carcerati, infatti il film è pieno di riferimenti
biblici, partendo dal nome originale del protagonista Luke, che non a caso è il
detenuto numero 37, come possiamo vedere dal numero della sua divisa, un
riferimento al versetto della Bibbia, Luca 1:37 “Perché con Dio nulla non sarà
impossibile”.

I momenti in cui
Luke/Nick s’interfaccia con Dio sono parecchi, quando lo invoca sotto la
pioggia, per poi ritrovarsi a dire “Sono solo sotto la pioggia e parlo a me
stesso” per commentare l’inevitabile non-risposta dell’Onnipotente.


Rari e deboli episodi di precipitazione, con qualche possibile bestemmia.

Ancora più significativa è la seconda volta che Nick si rivolge all’Altissimo
nel finale, certo lo fa a suo modo, si mette in ginocchio, ma scherzando anche
sopra questa convenzione, per poi parlare a Dio in maniera spiccia, pane al
pane e vino al vino, dicendogli che è parecchio che non gli dà più buone carte
e che ora che ha “Il fiato grosso” vorrebbe capire che piani ha per un ribelle
come lui, un monologo che Paul Newman recita alla grande, che devo
trattenermi dal non ripetervi tutto e che, sono certo, troverò ancora più
efficace quando mi capiterà di rivedere questo film più avanti nel corso della
mia vita.

I momenti in cui
Rosenberg mette in chiaro che il suo protagonista è un Cristo tra i carcerati non
mancano, ad un certo punto Nick afferra la chitarra e dedica alla madre la
canzone “Plastic Jesus” (sapete chi ha insegnato a Paul Newman come suonarla? Harry Dean Stanton. Storia vera!), ma ancora di più nella celebre scena delle uova
sode, in cui Nick scommette di poterne mangiare cinquanta senza vomitare, altro
motivo personale per immedesimarsi con il personaggio, la capacità sovraumana
di divorare cibo!


Fun fact: Le 200 uova bollite per il film sono state consumate da cast e troupe, con successivi episodi… Gassosi (storia vera, e pure puzzolente).

Qui Nick assume
una posa quasi Cristologica, quando viene depositato (con la panza piena) sul
tavolaccio di legno e pare che sia proprio questo il motivo per cui la scena
(pure questa!) è assente dall’edizione italiana del film, tagliata proprio per
motivi di cattolica censura, assurdo perché non è soltanto uno dei momenti più
iconici di tutto il film (la sfida delle uova sode l’hanno rifatta persino in
un episodio di “Jackass” citando proprio questo film), ma è anche una mancanza
di coerenza pazzesca. Cavolo, come fa la Chiesa ad essere così conservatrice nei
confronti di un personaggio, che nella sua rappresentazione classica, altro non
era che un Hippy capellone che si opponeva e umiliava l’autorità dei Romani
con i suoi gesti e le sue parole e che era tanto testardo da rifiutarsi
persino di restare morto per più di tre giorni dai!

Dategli tre giorni per digerire, e poi risorgerà.

Eppure, da persona
assolutamente non religiosa (rispetto per tutti, ma non fa proprio per me)
trovo “Cool hand Luke” un film che funziona alla perfezione anche per un
pubblico laico, perché tiene un piede nell’iconografia Cristiana, ma anticipa le
ribellione sessantottina nello spirito e tanto cinema di protesta degli anni ’70.

Non è affatto un
caso se il film è diventato di culto specialmente presso la comunità nera
americana, malgrado il fatto che il protagonista sia il biondo con gli occhi
azzurri più famoso della storia del cinema, i “Fratelli” si sono riconosciuti
nella rivolta contro i padroni del personaggio, Spike Lee che è un grandissimo
ammiratore di questo film, lo ha omaggiato, nel bellissimo “La 25ª ora”,
infatti sopra il famigerato divano del protagonista Monty Brogan, fa bella
mostra di sé proprio la locandina di questo film.


Non fatevi distrarre dal kimono di Rosario Dawson, il poster si vede eccome!

Non è nemmeno l’unico
omaggio che serve a capire quanto questo film abbia avuto un enorme peso
specifico nella cultura popolare, quello che ancora oggi è uno dei miei prezzi
preferiti dei Guns N’ Roses, ovvero Civil War, tratto dal loro disco del 1991 “Use
Your Illusion II”, si apre proprio con la celebre frase e la voce nasale
del Capitano “What we’ve got here is failure to communicate” che, per altro,
è stata improvvisata dall’attore Strother Martin, quando il regista non
sembrava convinto del modo in cui suonava utilizzando la sua voce normale
(storia vera).

A giudicare dalla voce stridula e tagliente, lui sembra il nonno di Axl Rose.

Che poi è la
stessa frase che Nick scimmiotta, con tanto di imitazione della voce nasale nel
finale del film che, per quanto, mi riguarda è uno dei più riusciti della storia
del cinema. Nick sa di non avere nessuna speranza, è circondato e quindi cosa
fa? Sfoggia ancora una volta il suo sorriso irriverente e li prende apertamente
ancora una volta per il culo. Una risata vi seppellirà.

Una scena
perfetta, che termina con l’invocazione disperata e rabbiosa di Dragline (“Cambieranno
le cose in questo sporco mondo!”) che è l’urlo di rabbia di tutti quelli che
vivono con la suola delle scarpe del padrone sulla faccia e che sono pronti alla ribellione. L’ultima scena in cui Dragline parla del suo amico è quasi
superflua, serve più che altro al doppiaggio italiano per tentare di
giustificare il titolo italico stravolto. Il film poteva benissimo terminare con il sorriso di
Paolo Uomonuovo che guarda fuori dal finestrino, il destino segnato, ma
mai piegato, e soprattutto, ancora senza aver messo giudizio. La ruota dell’auto
che passa sopra gli occhiali di boss Godfrey, le note speranzose e allo
stesso tempo malinconiche di Lalo Schifrin, e quel sorriso lì, l’ultimo estremo dito medio sventolato contro l’autorità.


 Un sorriso, la bandiera della vostra disfatta (bastardi).

“Nick mano fredda”
è un film talmente universale e coinvolgente, che devo davvero trattenermi dal non
raccontarvelo tutto scena per scena, se non lo avete mai visto correte a farlo,
se lo conoscete, allora prendiamoci un minuto per fargli gli auguri di buon
compleanno, per questa volta direi che basta un sorriso.

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