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Nikita (1990): la donna che visse (e uccise) due o tre volte

Hey Nikita, fa freddo nel tuo piccolo angolo di mondo? Potresti
fare il giro del mondo e non trovare mai un’anima per scaldarti.

Ed ora che la
doverosa citazione iniziale al pezzo di Elton John è stata fatta, possiamo
cominciare sul serio.



Nel 1990 sono usciti tre film che hanno riscritto le
donne al cinema, tre titoli che hanno in comune oltre alla data di uscita,
anche il taglio di capelli delle tre protagoniste, quindi vi do il mio
benvenuto al secondo capitolo della… trilogia della donna tosta con i capelli
corti in un film che compie trent’anni nel 2020!
… se dovesse venirvi in mente un nome più breve per la
trilogia, accetto molto volentieri dei suggerimenti.

Sarebbe automatico pensare che per una come Kathryn
Bigelow, avere protagoniste toste nei suoi film sia quasi naturale, ma per Luc Besson? Voi non avete idea di quanto io abbia, cinematograficamente
parlando, voluto bene a quel paciarottone francese con i capelli brutti, prima
che impazzisse con quegli stramaledetti Minimei, la sua filmografia era fonte
di gioie. Fino ad “Angel-A” (2005), davvero pochi altri registi hanno saputo descrivere
al cinema personaggi femminili incredibili come sapeva fare Luc Besson, le
donne nel suo cinema sono sempre state l’alfa e l’omega, persino quando erano (quasi) totalmente assenti come in “Le Dernier Combat” (1983).
Ma è proprio trent’anni fa esatti, nel 1990, che la
filmografia di Besson fece un salto quantico in avanti, al suo quarto lavoro da
regista Besson scrive e dirige un film con lo sguardo rivolto a tanti generi
cinematografici, con un occhio di riguardo per il cinema d’azione americano, ma
con quello spirito francese al 100%, perché sono i francesi i veri americani
del mondo.
Forse arrivare dalla stessa patria di François
“L’uomo che amava le donne” Truffaut ha influito, ma Besson nel 1990, mette in pratica una mossa che sarebbe diventata una caratteristica del suo
cinema: costruire il suo film attorno a sua moglie, tangenzialmente anche
un’attrice bella da tirar via il fiato dai polmoni come Anne Parillaud. Anni dopo Luc
avrebbe ripetuto la mossa con un altro mozzafiato volto (e corpo) da cinema
come Milla Jovovich, mica male per un cicciotto con la pettinatura discutibile.

I guerrieri della notte banlieue

Nikita, nome preso dal pezzo citato lassù di Elton John,
è una tossica della banlieue parigina, avete presente cosa dico sempre dei primi
cinque minuti di un film? Che ne determinano tutto l’andamento? Bene, nei primi
cinque minuti di “Nikita”, Besson mette in chiaro che questa storia sarebbe
potuta essere raccontata come un dramma intimista sì, ma da un altro regista,
Besson sposa la via del cinema d’azione e lo fa come uno che quel tipo di
cinema lo ama per davvero. Non di certo come uno che infila un paio di sparatorie di
straforo nella storia per darsi un tono, tutte le evoluzioni della sua protagonista passano
attraverso momenti di pura azione.

Questo è solo l’inizio del film ma tranquillo, poi arriva l’azione vera.

Come la sparatoria nella farmacia iniziale, dove Besson
non prende prigionieri: nel film non viene mai spiegato perché proprio Nikita,
un metro e settanta (ad essere generosi) di francesina strafatta, debba essere
proprio quella giusta, perché la Direction générale de la sécurité extérieure
(DGSE) faccia di lei una killer professionista al servizio del governo, Besson
non lo dice nel film, lo mostra con una scena d’azione: in un massacro come la
scena iniziale, l’unica abbastanza tosta da uscirne viva è proprio Nikita, e
qui ora che ci penso, ci starebbe una certa frase di Rudyard Kipling, sulla femmina di ogni
specie.

A ben pensarci anche “L’odio” (1995) di Mathieu
Kassovitz, parlava di giovani della banlieue, ma continuava tutto su un registro
realistico fino al suo drammatico finale, Besson invece prende la sua
protagonista e la porta all’interno di una dimensione forse meno realistica, ma puramente cinematografica in cui la sua educazione Siberiana (o Francese? Fate
voi) è affidata ad uno come Tchéky Karyo, che nel tempo si è costruito una
robusta carriera da cattivone cinematografico, e qui invece si chiama semplicemente Bob.

“E Bob? Ricorda, tu sei il mio numero uno… uno! (Cit.)

Besson ci chiede di credere al dettaglio per cui, con il
giusto allenamento, anche un ex tossica della banlieue parigina di cinquanta
chili bagnati, possa diventare una letale macchina da guerra, peccato che il
cinema dell’uomo con i capelli brutti, nel 1990 era talmente convincente che a
nessuno spettatore verrebbe mai nemmeno un dubbio in merito. Nikita allena il
corpo utilizzando il cinema di genere, quello d’azione americano («Regola numero
uno mai la prima pallottola»), mentre per la mente, Besson affida la sua
(anti)eroina al meglio del cinema d’oltralpe giocando in casa, con tutto
l’orgoglio nazionalista di cui solo i Francesi sono capaci: il capo
dell’operazione è Philippe Leroy, mentre ad affilare la più letale delle armi della protagonista (la femminilità), ci pensa Jeanne Moreau, la signora della Nouvelle Vague («Non
dimenticare: due cose non conoscono limiti, la femminilità e i modi di
abusarne»).

Prendere lezioni da una grande signora.

Tra Nikita e Bob, avviene quasi un transfert – qualunque
studente di psicologia potrebbe spiegarvelo meglio di come potrei mai fare io
in cento vite –, infatti Besson su questo ci gioca, un bel vestito, un cappello
quasi alla Audrey Hepburn e una cena in un ristorante costoso, solo che nel
pacchetto regalo portato da Bob non ci sono anelli o diamanti, ma una Desert
Eagle Mark I che nelle manine della Parillaud sembra un cannone, anche se la
ragazza sa benissimo come utilizzarla.

Le Desert Eagle sono le migliori amiche delle donne.

Malgrado il manifesto amore e la cura che Besson applica
ai suoi personaggi, questo non è un film romantico ma uno ben avviato sui
binari dell’azione, l’iniziazione di Nikita, il suo debutto in società é un
ballo che si balla a colpi di revolverate, con sicari Giapponesi incazzati e
pesantemente armati, in un tripudio di piastrelle che esplodo sotto i colpi,
M16 con lancia granate, finestre murate, poche parole e tanta azione.

Siamo nel 1990 e una donna incredibilmente femminile, non
solo gioca allo stesso gioco dei maschietti, ma eccelle nel loro genere
cinematografico preferito, quello dello spara-spara selvaggio. Qualcuno più
arguto di me sarebbe in grado di fare una battuta intelligente e non offensiva, sul fatto che tutto questo avvenga in buona parte in una cucina, fate finta che
l’abbia fatta e andiamo avanti.

“Te lo do io, il posto di una donna è in cucina, bastardo!”

Nikita esce viva da una seconda sparatoria, con una pelle
nuova, ora è una killer professionista ma anche una donna fatta e finita con
una nuova identità: Josephine. Con questa nuova consapevolezza si innamora di
uno normale, che ignaro di tutto la ama per quello che è, infatti ancora una
volta Besson gioca con le nostre aspettative.

Potremmo dire che il ritmo di “Nikita” un po’ s’incarta
nella sua narrazione, ma secondo me è più corretto affermare che procede a
strappi, perché come dicevamo lassù la vita di Nikita è caratterizzata
dall’azione, infatti nella sua prima missione ufficiale, quando la vediamo con
il vestito da cameriera addosso, da spettatori ci aspettiamo un’altra
carneficina, invece senza mai usare le parole – come in “Le Dernier Combat” -, Besson ci spiega tutta la missione della sua protagonista e conclude con una
scena volutamente anti climatica, quasi ad illuderci che la nuova stabilità
raggiunta da Nikita/Josephine – la donna che per Besson visse due o tre volte
–, potrebbe essere mantenuta senza spargimenti di sangue, ma è solo un’illusione
temporanea.

Vrais mensonges (chiedo scusa ai cugini d’oltralpe per la pronuncia)

Altro strappo nel ritmo, in un film che sembra non andare
più da nessuna parte, altra scena madre in arrivo, raccontata con le
chiacchiere? Ma va! Ancora una volta utilizzando i precetti del cinema
d’azione. Nella scena a Venezia, Marco (Jean-Hugues Anglade), il marito della protagonista, parla del
più e del meno, del loro rapporto e del servizio in camera mentre lei in bagno, deve
improvvisare un omicidio, con un fucile di precisione assemblato in pochi
secondi, agenti segreti e (vere) bugie di coppia, James Cameron sarebbe
arrivato a fare qualcosa di simile solo quattro anni dopo in “True Lies”
(1994).

Un’arma mortale. L’altra invece è solo un fucile.

Una scena incredibile in cui Besson ha il completo
controllo di spazi e tempi, da spettatori restiamo aggrappati ai braccioli della poltrona
per gli imprevisti che potrebbero far inciampare un personaggio come Nikita, a
cui ormai ci siamo affezionati perché l’abbiamo letteralmente vista crescere
sullo schermo davanti ai nostri occhi. Ribadisco, nessuno come Luc Besson ha
saputo raccontare così bene i personaggi femminili, portando in scena tutte le
loro fragilità ma anche il dettaglio più importante di qualunque donna, ovvero
il fatto che in realtà sono tutte delle spranghe di titanio ben più toste di
noi maschietti. Il 1990 è stato l’anno zero per le figlie di Ellen Ripley al
cinema, e Luc Besson uno dei maggiori araldi del cambiamento.

“Perché la femmina delle varie specie è più mortale del maschio” (cit.)

Dopo un altro po’ di melina a centro campo con il ritmo
del film – “Nikita” è stato fondamentale anche per la crescita artistica di
Besson come narratore -, arriva l’ultima scena d’azione, quella più importante
perché determinata l’emancipazione del personaggio, infatti è la sequenza più
intricata, che comincia con un obbiettivo da eliminare, ma poi cambia in corsa
quando la missione degenera malamente. Infatti idealmente Besson manda un
piccolo “Deus ex machina” bipede in aiuto della sua protagonista.

Ma ad una che vengono regalate Desert Eagle invece che
diamanti, non è che possa proprio arrivare il principe azzurro, al massimo Besson può mandare il suo attore feticcio Jean Reno, uno che aveva già recitato in
tutti i precedenti film del regista e che proprio con “Nikita”, avrebbe gettato
le basi del futuro della sua carriera e del suo personaggio più famoso, se Reno
è arrivato ad interpretare quella bomba a mano di “Léon” (1994) e ad interpretare il tipo tosto in un buon numero di film d’azione, lo dobbiamo
principalmente al suo ruolo di Victor l’eliminatore in questo film, a tutti gli
effetti un Mr. Wolf, quando Tarantino lavorava ancora al video noleggio a Knoxville.

“Mi chiamo Jean, risolvo problemi” (quasi-cit. anche il feticismo dei piedi di Tarantino è stato anticipato da Besson)

L’ultima sequenza è lunga e articolata, i maligni
potrebbero dire che non abbiamo mai visto un “Nikita 2” perché Besson e Anne
Parillaud hanno divorziato, in realtà molto più romanticamente, voglio
credere che il finale del film abbia liberato Nikita, intesa come personaggio,
completando il suo arco narrativo ed svincolandola per sempre da un sistema in cui
era una pedina, questo finale l’ho sempre visto un po’ come l’emancipazione
femminile applicata al film d’azione, la versione con cromosoma doppia “X” del «Non contarci» di John Matrix in Commando, in risposta ad un suo possibile ritorno in azione. Anche Nikita qui ha finalmente trovato la sua pace, ma solo dopo essere passata
indenne tra il fuoco del cinema d’azione, quello del tipo migliore.

“Nikita” resta un film manifesto, del cinema di Besson ma
anche dei personaggi femminili sul grande schermo, non solo ci sono intere
sequenze che ancora mi inchiodano allo schermo, ma la sua importanza è talmente
manifesta da venire spesso sottovalutata, Classido? Vada per il Classido!
Questo film ha fatto fare un salto in avanti alle donne
toste al cinema, ha influenzato positivamente la carriera di Luc Besson, ha
sdoganato Jean Reno come eroe d’azione, per non parlare del remake americano
diretto da John Badham (“Nome in
codice: Nina” del 1993) e una serie tv omonima con Maggie Q come protagonista e di un ottimo remake di Hong Kong. Insomma se la qualità di un film si misura anche dal suo
impatto sulla cultura popolare, “Nikita” ha fatto davvero colpo.
La prossima settimana, non mancate all’ultimo capitolo
della [Cassidy inspira forte]
trilogia della donna tosta con i capelli corti in un film che compie trent’anni
nel 2020! [Cassidy espira forte],
abbiamo ancora una signora tosta con cui fare i conti, non mancate!
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