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Non aprite quella porta – Parte 3 (1990), parte IV (1994), 3D (2013): stai andando forte, apri tutte le port… AARRGHH!!

Continua il ripasso dei precedenti film della saga di “Non aprite quella porta” in vista del nuovo capitolo, seguito, rilancio o che so io, insomma, ne fanno un altro! Occasione perfetta per ripassare i vecchi titoli della saga della sega.

Non aprite quella porta – Parte 3 (1990)

Purtroppo Tobe Hooper ci ha anche provato a scrivere la parola definitiva sulla famiglia Sawyer, ma il suo bellissimo Non aprite quella porte – Parte 2 è riuscito nell’impresa di definire alla perfezione anche l’estetica di tanto horror americano degli anni ’80, ma non a sconsigliare per sempre i produttori di tornare in Texas, infatti nel corso dei decenni sono arrivati una serie di seguiti, che seguivano più o meno la numerazione, ma tutti pensati per far nascondere sotto il tappeto il colorato, marcio e mattissimo secondo film, con l’intenzione di auto nominarsi seguiti diretti del primo capitolo del 1974. Insomma quando pensate che queste operazioni siano solo tipiche del cinema contemporaneo, provate a consolarti sapendo che è più o meno sempre stato così, ci sono passato in tanti, anche Leatherface.

Ma prima di iniziare è obbligatorio citare il terzo capitolo apocrifo, quel “Non aprite quella porta 3”, uscito sempre nel 1990 ma diretto da Claudio Fragasso con lo pseudonimo di Clyde Anderson, un film che non ha nulla a che spartire a livello di trama con la famiglia Sawyer, grondante sangue quanto volete ma figlio dell’era del videnoleggio e della creatività tutta Italiana nell’uso libertino dei titoli.

Qui non troverete nessun Claudio Fragasso, anzi probabile che se lo siano mangiato.

“Non aprite quella porta – Parte 3”, anche noto in originale come “Leatherface: The Texas Chainsaw Massacre III” su soggetto dello stesso Tobe Hooper insieme al socio Kim Henkel, è stato affidato alla regia di uno specialista di seguiti horror come Jeff Burr, che tutto sommato almeno garantisce un minimo di professionalità e di splatter, infatti esistono due versioni del film, tanto per complicare una saga già complicata. Vi suggerisco di cercarvi la versione integrarle da 85 minuti, con i quattro minuti di sangue in più rispetto alla versione tagliata (con la motosega).

Il piano originale della new Line Cinema, dopo aver acquistato i diritti sulla saga della sega dalla Cannon finita zampe all’aria, era quello di rilanciare Faccia di cuoio come stava già facendo più o meno nello stesso periodo con Jason e Freddy, infatti il primo tra i registi contattati per dirigere questo film fu Peter Jackson che per molto tempo ha corso il rischio (che non sarebbe stato tale, almeno non per noi) di dirigere uno dei grandi assassini mascherati dello Slasher. Insieme al prequel Leatherface, questo è l’unico “The Texas Chainsaw Massacre” ad essere stato girato fuori dal Texas, per la precisione in California, infatti la storia comincia in viaggio, con i due protagonisti Michelle e Ryan che dal Texas viaggiano in auto per raggiungere la Florida.

Hanno anche dei nomi, ma per comodità li chiameremo solo “carne da cannone”

Sulla loro strada, la polizia ritrova alcuni cavaderi sepolti da lungo tempo, in cui non è impossibile intuire chi li abbia seppelliti lì. Intimati ad allontanarsi di corsa da quel postaccio dalla polizia, i due ragazzi evitando un armadillo (in Texas ne è pieno, Lansdale docet), sono costretti a fare la solita fermata dal benzinaio, un tipo losco e viscido che spia Michelle da un buco nel muro, non dico proprio una citazione a Psycho, ma quasi visto che di lì a breve entrerà in scena Tex, interpretato da Viggo Mortensen, che guarda caso ha recitato proprio nel remake di “Psycho” diretto da Gus van Sant, a volte Hollywood è un posto di lavoro molto piccolo.

Questo film è la prova che Viggo proprio ad Hollywood era già un ramingo prima di diventare il ramingo, forse uno dei nomi più noti ad avere tra i primi titoli della propria filmografia un “Non aprite quella porta”, ma come vedremmo più avanti nemmeno l’unico. Viggo fa il figgo e aiuta i due ragazzi a liberarsi del viscido benzinaio, suggerendo loro una strada veloce da seguire non tracciata dalle mappe… Avete già capito come continua no?

«Se con la mia vita o la mia morte potrò proteggerti, io lo farò, hai la mia motosega» (quasi-cit.)

Viggo si rivelerà essere Eddie Sawyer, anche se preferisce farsi chiamare Tex (appassionato del fumetto o dei Litfiba? Chissà?), il volto convincente della famiglia, utilizzato per far finire sprovveduti dritti in casa (se non nel piatto) della famiglia meno vegetariana del Texas, anche se bisogna dire che qui il fattore cannibalismo è quasi secondario, tanto che i Sawyer ci scherzano un po’ su, però poi ordinano una pizza per cena. Sapete per variare un po’ la dieta, ogni tanto ci vogliono anche i carboidrati.

Il più famoso componente della famiglia Sawyer, ovvero Leatherface (trasformato in “Faccia di Pelle” dal doppiaggio italiano del film che non deve aver visto i due capitoli precedenti, malgrado il numero tre in bella vista nel titolo) è interpretato da R.A. Mihailoff per i primi piani mascherati e dal mitico Kane Hodder (anche coordinatore degli stunt) per le scene più movimentate. Anche se le facce note in questo film non finiscono qui, infatti uno dei personaggi più coloriti, quello che aiuta a distinguere questo capitolo dalla massa dei seguiti, lo interpreta un altro mito come Ken Foree.

Il momento esatto in cui realizzi che i morti viventi alla fine non erano così male.

Il suo personaggio è una sorta di Rambo nero, un survivalista armato di zippo, coltello e quant’altro, che provvidenzialmente passando da quelle parti, finirà per dare un po’ di supporto ai due urlanti protagonisti, colpevoli della più classica deviazione sbagliata, quella che nei film horror si paga cara.

Il film è competente e dimenticabile in parti uguali, lo splatter non manca, ma Jeff Burr non riesce a replicare quell’inimitabile senso di malsano che pervadeva tutto il film originale del 1974, ma non riesce nemmeno ad essere originale, folle e carismatico quanto il secondo capitolo del 1986, poi chiedetevi perché le persone lo confondono sempre con il film di Fragasso, non solo per la fretta ai vecchi tempi del videonoleggio. Tutto sommato però, rispetto a dove ha saputo spingersi ancora la saga della sega, questo terzo capitolo è ancora uno di quelli almeno guardabili, avanti con il resto del disastro!

Non aprite quella porta IV (1994)

La voglia di provare a replicare il film originale di Tobe Hooper nel corso degli anni ha colpito più e più volte, infatti il nuovo capitolo arrivò nel 1994, girato con un budget vergognosamente basso – si parla di circa 600.000 dollari – affidati a Kim Henkel, qui alla sua unica regia dopo aver collaborato spalla a spalla con Tobe Hooper in alcuni dei suoi film, a partire proprio dall’originale “Texas Chainsaw Massacre”, garanzia di continuità? Forse, purtroppo non di qualità.

“Non aprite quella porta IV”, anche noto come “Texas Chainsaw Massacre: The Next Generation” (l’ombra del successo di Picard e compagni arrivava ovunque, anche in Texas) nasce con l’intento di tornare alle atmosfere del primo film, una canzone che sentirete ripetere da qui fino alla fine della rubrica e forse dell’umanità, tanto periodicamente qualcuno ci proverà sempre ad imitare il miglior film di Tobe Hooper.

Tutto inizia con un tono da commedia adolescenziale scollacciata e se prima parlavamo di nomi noti, tutti figli della famiglia Sawyer, nel mucchio metteteci anche una Texana DOC come Renée Zellweger, qui nei panni della bionda Jenny, che rimasta in panne con l’auto riceve un provvidenziale aiuto dal buon samaritano di turno, un biondo anche lui più Texano dei rodei come Matthew McConaughey.

Io, me & Renée Zellweger (quasi-cit.)

Lo so, Zellweger e McConaughey nello stesso film farebbero pensare più al cast di una “Rom-Com” tenerona con il titolo caramelloso tipo “Il diario di se mi lasci ti sposo” o qualche altra diavoleria davvero spaventosa del genere, invece il risultato è un horror, pasticciato quanto volete ma segnate due per quei Texani diventati famosi, che nei primi titoli delle rispettive filmografie hanno un “Texas Chainsaw Massacre” di cui pentirsi, anche se bisogna dire che la volenterosa Renée, ha sempre dichiarato di essersi divertita sul set di un film girato poco più che in stile “Guerriglia”: una roulotte per tutti gli attori da usare come camerino era il più grosso lusso sul set, anche perché con 600.000 fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, non puoi permetterti molto di più.

Malgrado questo, il povero Faccia di cuoio non è riuscito a diventare un’icona gay, peccato!

“Texas Chainsaw Massacre: The Next Generation” è il film dove i riferimenti al cannibalismo dei Sawyer scompaiono, l’allegra famigliola sembra “solo” un branco di psicopatici che amano ammazzare le persone, forse il gancio vero pensato da Kim Henkel (anche autore della sceneggiatura) è stato quello di concentrarsi sul travestitismo di Faccia di cuoio. Nel primo capitolo il nostro Leatherface (qui interpretato da Robert Jacks, altro giro, altro attore) aveva segni di rossetto sulla sua maschera, probabilmente perché aveva utilizzato la pelle di qualche volto truccato per la sua maschera, su questo elemento Henkel cerca di costruire la caratterizzazione del personaggio, forse per cercare di riportarlo al modello originale, il serial killer Ed Gein che era tra riferimenti pensati da Tobe Hooper per creare il suo assassino con la motosega.

Anche vedere Leatherface che si trucca non sortisce l’effetto sperato, anzi ammettiamolo, non allaccia nemmeno le scarpe al Bufalo Bill di Il silenzio degli innocenti che ammettiamolo, aveva alzato parecchio l’asticella. Motivi di interesse di questa pellicola da poco? Il buon vecchio Matthew McConaughey, qui accreditato nei titoli di coda come “Matthew McConnaughey”, non chiedetemi però mai più di scriverlo è già complicato il nome giusto, figuriamoci quello sbagliato!

«Dimmi un po’ biondina, a te piace il pollo fritto?»

Per rivedere un McCoso (mi semplifico la vita) così matto, abbiamo dovuto attendere di vederlo tornare in una storia di famiglia Texana però diretto da Billy Friedkin. Trovo curioso infatti che in Killer Joe, nel momento più concitato del film (la scena del pollo fritto, ben più malsana di molti dei seguiti di “Texas Chainsaw Massacre”), l’attore minacciava Gina Gershon di farsi una maschera con la sua faccia, d’altra parte quando fai parte della famiglia Sawyer è per sempre no?

Non aprite quella porta 3D (2013)

Questo film è il seguito ufficiale di Non aprite quella porta del 1974 pensato per riportare la saga della sega alle atmosfere del primo capitolo. Vi sembra di averla già sentita questa frase? Sono sicuro che se ci presentiamo noi Bariste e Baristi ad Hollywood ripetendo questa filastrocca, qualche spicciolo per fare un film lo portiamo a casa facile.

Detto questo il film del 2013 è quanto più di 2013 si sia visto da beh, dal 2013. Per prima cosa è uscito in 3D, con una scena di motosega sparata in faccia al pubblico per puzza e per giustificare il titolo, in un tentativo mediocre di cavalcare la schiuma lasciata dall’onda del ritorno del 3D al cinema, ovvero quei quindici minuti di nemmeno troppo gloria rappresentanti dal post “Avatar” (2009) di James Cameron.

Ehi! Guarda che buchi lo schermo alle Bariste e i Baristi se fai così!

La sceneggiatura di questo film risibile è stata scritta da Kirsten Elms, Debra Sullivan e Adam Marcus di cui l’ultimo era quello che ci credeva più di tutti. Adam Marcus aveva già trascinato all’inferno Jason e armato di motosega calcolatrice alla mano aveva dimostrato di aver fatto i compiti, nei suoi intenti originali il film doveva essere ambientato negli anni ’90, ma i produttori con questa idea devono aver sentito puzza di vecchio come Willy il principe di Bel-Air dopo aver lasciato la sua vecchia vita, ecco perché senza logica ne spiegazione alcuna, il film è comunque ambientato nel 2013, pensare che oggi i film con gli anni ’90 come sfondo sono la nuova moda del momento, ma va l’ho detto che questo capitolo in 3D ha i piedi ben piantati nell’anno della sua uscita no?

La regia viene affidata a John Luessenhop (salute!) che sbriga il compitino seguendo tutte le direttive della scuderia, la storia infatti comincia con la scena finale del film del 1974 di Tobe Hooper, ovvero con Faccia di cuoio impegnato a sventolare la motosega in aria, un trucchetto che serve più che altro a poter accreditare Gunnar Hansen (l’originale Leatherface) utilizzando solo materiale di repertorio, volpini!

«Signora ho fatto un etto e mezzo, che faccio? Lascio?»

Dopodiché si prosegue un minuto dopo l’ultima scena del film del 1974, con la popolazione locale che insorge contro i Sawyer, perché basta con tutti questi cannibali come vicini di casa! Aiutiamoli a casa loro (ma erano già a casa), quindi li bruciano tutti (…credici) vivi nella loro casa, ma dal rogo si salva solo la piccola di casa Sawyer, una neonata che in quanto pura e tenerella non merita di finire come un arrosticino.

Salto in avanti di vent’anni, la neonata è cresciuta (bene) diventando Alexandra Daddario, 27 anni al momento in cui girò questo film nel 2013, la ragazza lavora in una macelleria (ma che simpatici!) e per motivi che non ricordo e che non ho voglia di verificare tanto la trama è ridicola, parte in viaggio verso il Texas con l’amichetto figo e l’amica poco vestita, che con i suoi short rossi serve più che altro a citare lo schiappettio di Marilyn Burns del primo film. Segni di sculettante continuità.

Sopra: cosa ho visto del film di Tobe Hooper. Sotto: che cosa ho capito del film di Tobe Hooper.

Arrivati sul posto trovano lo sceriffo locale che li mette in guarda (Scott Eastwood, che con quel cognome riesce ad apparire in tutti i film, ma beccami gallina se ha un grammo del carisma di papà) ma soprattutto scopriranno che uuuuuu Alexandra Daddario è la bimba sopravvissuta, l’ultima sorella Sawyer. Ok va bene, ma i tonti con contano, cioè i conti non tornano.

Se il primo film era ambientato nel 1974, vent’anni dopo come in un romanzo di Dumas dovremmo stare nel 1994 o più di lì. Quindi Alexandra Daddario di anni 27, per fortuna sua è ancora abbastanza credibile per passare per una di sette anni di meno, oppure, Alexandra Daddario di anni 27 è la pluri trentenne più ventisettenne mai vista sullo schermo, perché il film è comunque ambientato nel 2013, la prova è che uno degli sceriffi per farsi luce, usa la torcia del suo Smartphone (eh?). Insomma forse aveva ragione Adam Marcus, non era solo una sua fissa da appassionato di Horror, avrebbe avuto senso ambientare questo film negli anni ’90, ma nessuno lo ha ascoltato e “Texas Chainsaw 3D” è venuto fuori una scemenza lo stesso.

Anche perché con Faccia di cuoio che insegue sua sorella, si scivola lentamente in zona Halloween II (altra saga dai mille rilanci tutti sbagliati), ma soprattutto come vi dicevo è un film con i piedi cementanti nel suo anno di uscita, infatti ha tutti i difetti degli horror di quel periodo, il più grosso? Essere un pop-corn movie senza però le pop, vado a spiegare.

Quando entri in cucina e scopri che la cena non è ancora pronta, perché la cena sei tu.

“Texas Chainsaw 3D” non fa altro che promettersi una sbirciatina alle grazie della Daddario, con trovate che sembrano una presa per i fondelli: prima la protagonista è impegnata in una casta scena di sesso con il ragazzo (tutta vestita), poi arriva la pioggia, ma niente “Miss maglietta bagnata” come nel remake (a breve su queste Bare), per finire l’apoteosi finale.

Faccia di Cuoio cattura Alexandra Daddario, la incatena con le mani legate sopra la testa e fa saltare quell’unico bottoncino della sua camicetta in evidente difficoltà a contenere le Daddarie della Daddario, peccato che per qualche motivo che sfida la fisica (ma fa contenta la censura), la suddetta camicetta resta insollata al corpo di Alexandra Daddario mostrando giusto l’ombelico, sfidando la fisica, la gravita, la logica, il buon senso, anche il buon gusto, almeno in un film tanto inutile di sarebbe vista Alexandra Daddario in tutto il suo splendore no! Niente di tutto questo, insomma il perfetto Pop-Corn movie senza le pop e non ho fatto nemmeno un doppio senso su 3D, dopo Piranha 3D non avrebbe avuto senso.

Una mela per far formulare ad Isaac Newton la sua teoria, due meloni per metterla in discussione.

Quindi ricapitoliamo, ora sapete cosa hanno in comune Viggo, Renée, McCoso e Alexandra Daddario, oltre ad essere degli Uber fighi bianchi che fanno tutti lo stesso mestiere, sapete che esistono ben tre film che sono seguiti ufficiali del primo capitolo firmato da Tobe Hooper nel 1974, ma l’unico seguito che conta lo ha diretto sempre Tobe Hooper nel 1986, cosa vi serve sapere ancora? Ah si che comunque poi, stando alle regole di Hollywood dalla quale un’attrice non può sfuggire, Alexandra Daddario è diventata comunque famosa mostrando il suo “due di poppe”, perché tanto avranno anche arrestato Harvey Weinstein ma non è cambiato niente. Dove lo ha fatto lo sapete, quinto episodio della prima stagione di “True Detective” (sono sicuro la puntata più vista e rivista della nota serie), in cui chi ci lavorava? Matthew McConaughey (storia vera) invece di fare battute sulla saga della sega chiudo così: Hollywood, un posto di lavoro a volte molto piccolo.

Prossima settimana invece chiudiamo questa mini retrospettiva sulla saga della sega, con gli ultimi due capitoli, quelli che vivono di vita propria e da cui nessun mostro dell’horror classico può scappare, nemmeno Faccia di cuoio: i remake!

Sepolto in precedenza mercoledì 9 febbraio 2022

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