Arriva sempre il momento in cui realizzi di trovarti di fronte a qualcosa di più grande, quello in cui inizi a comprendere in pieno le parole dello sceriffo Ed Tom Bell, per me quel momento è arrivato, benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Coen, Storia vera!
I tentativi di Corman McCarthy di sbarcare ad Hollywood sono sempre stati a dir poco problematici, citofonare Ridley, l’altro Scott per conferma. Un problema che ha radici molto più profonde di una semplice incompatibilità tra artista e sistema, lo stile di McCarthy è noto, imitato (male) ma in realtà difficilmente replicabile, maledetto da un precedente grossino, che risponde al nome di “Meridiano di sangue”.
Il suo bellissimo libro del 1985, un Western definitivo, quasi apocalittico che se fossi McCarthy, sarei in grado di descrivere con una parola apparentemente scelta a caso, in realtà impeccabile, che ha contribuito a diffondere l’idea per cui la prosa di McCarthy non fosse adatta per il cinema, per quanto già molto cinematografica di suo. A partire dal 1995 in tanti hanno provato a portare “Meridiano di sangue” al cinema, nomi come Steve Tesich, il già citato Ridley lo Scott minore, Andrew Dominik, John Hillcoat, Todd Field e per un brevissimo periodo, anche Martin Scorsese prima di rinunciare per la stessa ragione: materiale infilmabile.
Nella Mecca americana del cinema, ci sono una manciata di nomi noti totalmente devoti alla letteratura di Corman McCarthy, il più motivato di loro? Il produttore Scott Rudin, l’eminenza grigia dietro a tutto questo, se uno dei migliori film dell’anno 2007 esiste è prima di tutto merito suo. Ok, forse adattare in maniera meritevole “Meridiano di sangue” non è possibile, ma “Non è un paese per vecchi” scritto nel 2005? Ma se non è zuppa è pan bagnato, puoi cambiare il romanzo di partenza, ma sempre di Corman “infilmabile” McCarthy si parla. Eppure Rubin era sicuro, tanto da acquistare i diritti di adattamento del libro per portarli direttamente agli unici al mondo che secondo lui, avrebbero potuto domare questo cavallo selvaggio, visto che sono protagonisti della rubrica, avrete già capito che parlo dei fratelli Coen.
Riassunto delle puntate precedenti, i Coen arrivavano non da una, ma da due commedie, si erano rifugiati nei cortometraggi in due film collettivi e dal fin troppo grande pubblico (e altrettante penne stipendiate) erano stati mandati in pre-pensionamento, pronosticando per loro una generosa deriva sempre più comica e meno incisiva, infatti tutti i loro “estimatori” (virgolette obbligatorie) avevano ben capito il regista a due teste, che era al lavoro su un adattamento di “Oceano bianco” di James Dickey, che tutto mi sembra tranne che una simpatica commedia. Mi mangio le mani per i B-29 mancanti, ma era chiaro che l’adattamento di un libro era nel destino dei Coen, perché quando Rudin si presentò alla loro porta, il volo del pilota di Dickey finì in un cassetto, quindi ve lo dico, non rimpiango nulla, considerando l’alternativa, quello che hanno diretto, viviamo nel migliore dei mondi possibili.
Uno scrittore infilmabile, due registi che non avevano mai adattato un romanzo, figuriamoci uno così complicato, cosa poteva andare storto? Tutto. Cosa ha funzionato alla grande? Tutto. Perché i fratellini del Minnesota capiscono, forse anche per una certa manifesta affinità tematica con il materiale originale – l’avidità, la volontà di cambiare la propria condizione e i soldi come motore della vicenda, il Caos che interviene a punire chi ci proverà in maniera truffaldina e via dicendo – dove tutti gli altri prima di loro avevano sbagliato approccio con la prosa di McCarthy, invece di tentare di adattarla i Coen la ripropongono, a tratti identica, al massimo alleggerita di certe parti che sarebbero risultate meno cinematografiche. Diventa evidente leggendo il libro dopo aver visto il film, i Coen ripropongono intere linee di dialogo e in qualche caso, sforbiciano passaggi che sul grande schermo non avrebbero aggiunto nulla (tutta la porzione del libro con gli autostoppisti), il risultato è un film che alla sua uscita è stato definito scarno, quando invece la parola giusta sarebbe stata minimale, che di colpo ha fatto ricordare a tutti il valore del talento dei Coen, ha dimostrato che McCarthy al cinema ci poteva stare (“The Road” di John Hillcoat è arrivato subito dopo) e che ha fatto invertire una mia personale tendenza, prima non guardavo i film senza aver letto il libro, ora anche grazie ai Coen ho capito che apprezzo di più entrambi, libro e film, facendo il contrario (storia vera).
I Coen con “Non è un paese per vecchi” dosano tutto al minimo, per assurdo, facendolo risaltare ancora di più: la fotografia di Roger Deakins, lavorando solo sulla luce naturale è impeccabile, il montaggio di Roderick Jaynes si limita ai tagli essenziali, come posseduto dall’uso (anzi, dal non uso) della punteggiatura nella prosa di McCarthy e poi ovviamente la musica, che merita un capitolo a parte. Carter Burwell tratteggia giusto qualche scena utilizzando strumenti spesso poco convenzionali, tanto che il suo lavoro risulta quasi assente giustificato, ricorderò sempre l’uscita dalla sala nel 2007, solo nella lunga camminata fino al parcheggio, percorsa in stato di trance per quello che avevo visto, ho realizzato che ho sentito la musica di Burwell solo sui titoli di coda dal film, ma mi era già chiaro allora quello che confermo oggi: Classido!
I fratelli Coen hanno sempre dichiarato che non era loro intenzione realizzare la versione hollywoodiana di un romanzo di McCarthy, anche se da una riga di dialogo capiamo che la storia è ambientata nel Texas dell’anno 1980, l’atmosfera è quella disillusa dell’America post undici settembre, il cui i temi cari ai Coen per qualche allineamento astrale, erano già stati messi su carta da McCarthy nel 2005, tutto, dal contenuto alla commistione di generi. Non è chiaro se la storia sia un Noir travestito da Western o un Neo Western che ha largamente contribuito al ritorno del genere, con tutte le sue caratteristiche ma in una veste contemporanea, e in questo ha giocato un ruolo chiave la selezione del casting, caratterizzata anche dall’essenza dei pretoriani dei Coen, anche se qualcuno dopo “Non è un paese per vecchi” sarebbe tornato a lavorare con loro, Brolin in particolare.
Abbiamo parlato di enormi estimatori del lavoro di McCarthy, uno di questi era senza ombra di dubbio Tommy Lee Jones che si è subito trovato nel suo con l’approccio scelto dai Coen, dalla sceneggiatura alla post produzione, perché l’attore texano, per sua stessa ammissione, voleva impersonare lo sceriffo del libro, nel vero senso della parola, quel personaggio lì, scritto così, come si trova tra le pagine del romanzo (Storia vera).
Josh Brolin ha fatto ancora di più, quando è venuto a sapere che Heath Ledger aveva rifiutato la parte di Llewelyn Moss, si trovava sul set di “Grindhouse” e carico di entusiasmo trovo il modo di convincere Robert Rodriguez e Quentin Tarantino ad utilizzare la macchine da presa del loro (doppio) film, per improvvisare un provino da spedire ai Coen (storia vera) anzi, a proposito di incastri con altri set, i Coen si sono visti costretti ad interrompere una scena per via di un misterioso fumo nero sparso nell’aria da Pitì Anderson, che ad alcuni chilometri di distanza, stava dirigendo scavando pozzi per Il petroliere (altra storia vera).
Ultimo ma non meno importante, ovviamente la scelta di Javier Bardem per la parte del personaggio entrato a far parte dell’iconografia di un film che nel momento esatto della sua uscita nel 2007 è diventato un classico istantaneo, mi riferisco ovviamente ad Anton Chigurh, la prova per cui l’attore spagnolo ha dovuto fare di tutto, da guidare (ai tempi non aveva la patente), girare scene violente che lui odia e soprattutto, cotonarsi i capelli in quel caschetto assurdo, perché secondo lui una parrucca sarebbe risultata posticcia, risultato? Ad Ovest dell’uomo dei Marshmallow di Ghostbusters, Anton Chigurh è il più improbabile portatore di morte e Caos forse di sempre, una forza inarrestabile che è valsa un Oscar a Bardem e un nuovo cattivo iconico per la storia del cinema.
“Non è un paese per vecchi” ribalta tutte le prospettive, inizia come molti film dei fratelli Coen, con una nova narrante (quella dello sceriffo Tommy Lee Jones che avrà anche la responsabilità della straordinaria chiosa finale), quella che determina il tono di tutta l’operazione, poi introduce Llewelyn Moss (Josh Brolin) un cacciatore che entra in scena con la sua preda nel mirino e passerà il resto del film ad essere lui stesso la preda, ma tutti questi echi da film Western vengono smontati con il cacciavite in maniera scientifica, in un film che fin dal titolo, mette in chiaro come il nuovo stia avanzando e il nuovo, non sia per forza sicuro o rassicurante, anzi, tutt’altro.
Spogliato di tutto, “No Country for Old Men” è un Western bellissimo, tutti gli inseguimenti tra Llewelyn e “Sugar” sono solo lì da vedere, la sparatoria notturna è qualcosa di incredibile, visivamente ma anche per ritmo, eppure allo stesso tempo risulta essere l’ennesima occasione per i Coen per demolire un genere o meglio, per ricostruirlo a loro piacimento dimostrando di conoscerne tutte le caratteristiche. Il cacciatore che diventa preda Llewelyn è il loro tipico personaggio che cerca, ovviamente attraverso i soldi – sono sempre loro a muovere gli ingranaggi del mondo nei film dei Coen – di cambiare la sua condizione e verrà punito da un agente del Caos della pettinatura improponibile, perché anche il cattivo va decostruito. Al regista a due teste basta un dialogo breve, anche più breve rispetto alla versione del romanzo per riassumere tutto: «Sto per fare una cazzata ma la farò lo stesso, se non torno di a mia madre che le voglio bene», «Tua madre è morta Llewelyn», «Allora glielo dirò io.»
Lo sceriffo testimone dei tempi che stanno cambiando in peggio è quello che ad un certo punto, per forza di cose, si ritrova a rappresentare i “buoni” anche per il suo titolo, quella stella lo rende in automatico l’eroe del film no? Ecco, non proprio, perché “Non è un paese per vecchi” ci sfila da sotto il sedere la poltrona comoda delle nostre certezze cinematografiche, quando anche lo sceriffo volta idealmente le spalle alla porta e al male, diventa chiaro che beh, non è un paese per vecchie abitudini rese confortanti dal cinema.
Anche il cattivo, quando Anton Chigurh ci sembra immortale e imbattibile, improvvisamente sanguina ricordandoci il vecchio adagio, ma anche qui, nulla è come sembra, in questo film con l’aspetto di un Western ci sono personaggi che vengono uccisi malamente, altri molto malamente (come da abitudine dei Coen), mentre altri muoiono per linguaggio cinematografico, nel loro risultare essenziali ai Coen basta mostrare di nuovo un personaggio che solleva gli stivali per non sporcarseli di sangue, per farci capire tutto, senza bisogno di mostrare niente, insomma un modo ideale per tradurre in cinema la prosa di McCarthy.
Anche quando sembra che ancora una volta, sarà il Caos (e suo fratello il Caso) a rimettere tutto in ordine, “Non è un paese per vecchi” stupisce ancora, nemmeno l’auto che passa con il rosso porta giustizia poetica, mettendo in chiaro il titolo del film e lasciando campo libero all’unico che può davvero certificarlo, nello specifico, con il racconto del suo sogno. Penso che le parole dello sceriffo Tommy Lee Jones rappresentino, dopo la trottola di “Inception” (2010) una delle scene più analizzate su “Infernet”, anche se non serve essere Freud per capire il contenuto del suo sogno, anche se puntualmente ad ogni visione, il suo «E alla fine mi sono svegliato» tira fuori anche noi spettatori di colpo dal film, a quel punto un po’ di musica Carter Burwell ci può anche stare.
“Non è un paese per vecchi” porta a casa soldi, premi e rimette i Coen dove hanno sempre meritato di stare, in alto tra i migliori registi in circolazione, e dove per altro sono sempre stati alla faccia di chi li dava già per finiti, per questo occhio a giudicare le filmografie sempre e solo sulla base dell’ultimo film, non sai mai quando potrebbe spuntarti uno Chigurh da dietro l’angolo. In generale l’unione impossibile tra uno scrittore infilmabile e due registi che non avevano mai adattato un romanzo ci ha regalato un classico istantaneo che per quanto mi riguarda, resta uno dei migliori film dell’ultima ventina d’anni, e guarda caso dopo questo i Coen, sono tornati alla commedia, ma di questo parleremo la prossima settimana.
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