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Nosferatu (2025): Nosfigatus

Fushta! Iniziamo subito con una domanda: è nato primo l’uomo o il vampiro? Se l’uomo è Bram Stoker abbiamo un vincitore, ma visto che l’uomo in questione oggi è Robert Eggers, la risposta prevede una dissertazione. Mettetevi comodi, non sarà una cosa breve.

Questa sarebbe l’occasione perfetta per fare il professorino di sto paletto di frassino, ma siccome nei giorni intercorsi tra l’uscita americana (a dicembre) di “Nosferatu” e quella italiana il primo giorno del 2025, ho già letto veramente di tutto, cercherò di tediarvi il meno possibile, perché è chiaro che là fuori ci sono “cinefili” (virgolette d’obbligo) che non hanno mai letto il romanzo di Stoker, hanno una vaga idea delle precedenti incarnazioni del conte Orlok ma peggio, non saprebbero descrivere la differenza tra Horror e Gotico, lasciamo perdere dare una definizione di espressionismo tedesco, non voglio accanirmi, la situazione è già tragica così con tutti questi Nosfigati in giro, musica a tema.

Siete Bariste e Baristi navigati, sapete benissimo che Friedrich Murnau non aveva gli spicci per pagare i diritti del romanzo “Dracula”, quindi ha diretto la sua versione con i nomi dei personaggi modificati per un classico che ha fatto incazzare tantissimo i parenti dello scrittore Irlandese, ma ha anche definito alcuni canoni del conte al cinema, come ad esempio la sua reazione alla luce solare, molto simile alla mia e a quella di tutti noi palliducci, ma di questo sapete già tutto, ne abbiamo già parlato diffusamente.

Per Robert Eggers, meglio noto come Roberto Uovatore, vedere il “Nosferatu” di Murnau da bambino è stato un passaggio chiave, un po’ come accaduto a Peter Jackson con King Kong, il titolo che visto in gioventù ti colpisce cuore e cervello e ti fa capire cosa vorrai fare da grande, tanto che il nostro Uovatore, adolescente, nelle più classica delle recite scolastiche, invece che i soliti titoli edulcorati tipo “Alice nel Paese delle meraviglie” o “Piccolo Pimpi cucciolo eroico” ha proposto e ottenuto di inscenare con i compagni “Nosferatu” (storia vera), considerando la sua propensione da vero Nerd per il folklore, io avrei voluto essere se non una mosca, almeno un pipistrello per assistere a quella recita.

Io che leggo i pareri su Infernet su questo film… Paloștoi!

Roberto Uovatore nel giro di pochi anni è assorto alla stato di uno di quei nomi immediatamente riconoscibili tra i giovani registi (è nato nel mio stesso anno, quindi è giovane), per certi versi la maledizione del primo film, quello che convince tutti e ti etichetta come nuova promessa, per lui è stato The Witch e qui vi sfido, provate a riguardarlo la prossima volta che Italia 2 lo replicherà (lo fa almeno una volta l’anno) e ditemi se per costruzione dei personaggi femminili alle prese con la società e il Male, anche quella storia non doveva molto al mito di Dracula, o Orlok se preferite, quindi torno idealmente alla mia domanda iniziale.

Si parla del “Nosferatu” di Eggers più o meno proprio dall’uscita di The Witch, tanti avevano fantasticato su Willem Dafoe nei panni del vampiro, che per altro sarebbe filologicamente corretto dopo il sottovalutato “L’ombra del vampiro” (2000), e anche qui, forse possiamo capire come mai Dafoe è diventato il pretoriano di Eggers, segni di continuità. Ma alla fine, l’unica differenza resta il tempo speso perché Uovatore potesse davvero regalarci il terzo adattamento di “Nosferatu” per il grande schermo, se fosse uscito subito dopo “The Witch” come da piani originali, che film sarebbe stato? Sicuramente avremmo avuto Anya Taylor-Joy(a)-per-gli-occhi nel ruolo della Ellen/Mia/Lucy di turno al posto di Lily-Rose Depp, ma forse sarebbe stato diverso anche l’approccio, ancora più “Arty”, passatemi il termine, magari più in linea con le sperimentazioni di The Lighthouse. Ma il fatto è che “Nosferatu” è arrivato ora, dopo il sanguinoso (e a mio avviso immeritato) flop di The Northman, in una fase della carriera in cui Uovatore, a suo modo, ha aperto alla grandi major e trovandosi costretto a rientrare da quel bagno di sangue al botteghino, si sarà detto, perché non giocarsi la carta di uno specialista dell’emoglobina come Orlok?

Guarda che luna, guarda che Eggers… Polotvic!

Eggers che dirige “Nosferatu” è una scelta automatica, per i trascorsi del regista ma anche per quel suo stile, orgogliosamente e testardamente fuori dalle logiche di mercato moderne, Uovatore al momento è forse l’unico regista con un nome di livello, che chiede al pubblico di adattarsi a trame, personaggi e ambientazioni che non fanno un passo che sia uno verso la modernità, in un mondo di gente che sforna film senza cuore, anima e tecnica, il nostro è un’anomalia bipede che dobbiamo tenerci molto stretti finché durerà, anche se è chiaro che “Nosferatu” sia dovuto passare attraverso qualche compromesso.

Malgrado lo stupore dei tanti Nosfigati là fuori, la trama pensate un po’? È quella nota del Dracula di Stoker, tutto il primo atto è costruzione, presentazione di quei personaggi, di quelle dinamiche e di un’atmosfera che – mi sembra banale sottolinearlo – è figlia di una messa in scena impeccabile. La fotografia mostruosa, nel senso migliore possibile del termine di Jarin Blaschke, è in continuità anche artistica con l’esordio di Eggers, se volessimo fermarci solo alla parte estetica, “Nosferatu” è talmente riuscito da poter essere una cornucopia di fotogrammi per tutti i parellelismi e le pippette che piacciono tanti ai cinéfili nell’era dell’Internét, ma ad esclusione di questi Nosfigati, negarsi 132 minuti di un’opera in cui ogni fotogramma è un quadro gotico in piccolo, sarebbe un atto di auto lesionismo. Mi colpisce il fatto che il film stia anche facendo soldi, come una specie di Anti-Barbie in piccolo con tanto di meme sul vestirsi di nero per andare al cinema, che poi per me equivale ad ogni giovedì in sala (storia vera).

Cassidy, ogni giovedì… Abalușta!

A proposito di roba diventata virale in rete, forse l’unico vero “Spoiler” che si può fare su questo film resta l’aspetto del conte, ben occultato dalla campagna di marketing e poi spiattellato dalle testate nostrane (facciapalmo!). Eggers intelligentemente rivela il conte poco alla volta e da vero nerdone del folklore, lo fa, anche qui, in linea con la tradizione, sentitevi liberi di allisciarvi i baffi leggendo questo paragrafo, ma i Vurdalak di Mario Bava erano baffuti come il Gary Oldman di Coppola e pensate un po’? Come il conte descritto nelle pagine del libro da Bram Stoker. Questo dovrebbe zittire ogni inutile polemica da Infernet, anche se sarebbe meglio guardare il pelo nell’uovo (ah-ah) per mettere su una discussione costruttiva: il vampiro di Eggers è il MALE, come lo era quello di Stoker, altro che il vampiro romanticone che una volta sbarcato a Londra, si vestiva da Dandy e andava al cinema di Coppola.

Il suo aspetto è quello di un nobile romeno, anzi, del cadavere di un conte con colbacco e aspetto di un morto disgustoso, brutto come il peccato, uno che lo dice apertamente, specialmente grazie al lavoro splendido fatto da Bill Skarsgård (ormai novello Lon Cagney) sulla voce del personaggio, Orlok sa benissimo che lontano dal suo castello, troverà una terra libera da quei vecchi pregiudizi e superstizioni che semplicemente non ha la minima contromisura per arrestarlo, infatti con lui arriverà la peste e non perdiamo tempo a cercare parallelismi tra la malattia e la contemporaneità, ad Eggers interessa solo riportare il conte alle sue origini mostruose, bestiali, filologicamente corrette anche nel baffuto aspetto e soprattutto, al servizio della storia che vuole raccontare, dettagli in arrivo per direttissima sul binario uno.

Dare tutto un altro senso all’espressione “lasciami entrare”… Pușta!

Nel suo non fare un passo verso le convenzioni (anche cinematografiche) dei tempi moderni, Eggers da vero Nerd della tradizione riesce comunque a far arrivare forte è chiaro il suo messaggio, il contenuto sessuale della storia era ben presente fin dal romanzo di Stoker, un successo commerciale anche perché le signorine di buona famiglia del tempo se lo facevano comprare dai genitori, ufficialmente perché era la lettura del momento, ufficiosamente per il suo contenuto esplicito (storia vera). Va detto che è stato Tod Browning grazie alla presenza scenica di Bela Lugosi a rendere il conte un affascinante nobile dell’Est, inoltre in tutti i film del filone “Dracula” (anche quelli della Hammer) i personaggi femminili erano spesso damigelle in pericolo e basta, una caratteristica, oltre all’aspetto mostruoso del conte, che invece non ha mai avuto la “concorrenza”, concedetemi il termine, ovvero i vari “Nosferatu”.

In questi, ormai tre film, Ellen (o Mia) era sempre il motore della vicenda oltre che l’oggetto del desiderio del conte, con una sensualità anche malata ma molto ben presente che Werner Herzog ha chiarito alla perfezione nella sua versione del 1979, in tutti e tre i film è la protagonista a doversi far carico di maschietti che, mi dispiace ricordarlo a chi è sensibile alla questione, ma si confermano non all’altezza, il film di Eggers in tal senso non è da meno.

«Stanișa ploftoi, gagbol babufte!»

A Willem Dafoe viene chiesto dal copione di ricoprire un po’ troppo spesso il ruolo del professor Spiegoni, colui che spiega cose, ma serve per mettere in chiaro quando il MALE puro rappresentato da Orlok, non possa essere arginato, di fronte a lui anche la scienza non è abbastanza affidabile e la prova di Dafoe, oltre ad essere in linea con tutti i suoi ultimi ruoli, è magnificamente sopra le righe come lo era il cacciatore di vampiri di Coppola impersonato da Hopkins, anche qui, il senso di Eggers per le citazioni fatte bene.

Nicholas Hoult è dolente quanto basta, un altra gran prova per lui, ma forse il più significativo di tutti al fine di quello che Eggers vuole raccontarci è Friedrich Harding, il classico maschietto aperto al cambiamento del progressismo femminile sì, se però il suo ruolo e i suoi privilegi non ne usciranno alterati, peccato solo che Aaron Taylor-Johnson che lo interpreta mi sia sembrato la rotellina più lenta di tutto l’ingranaggio.

I maschietti del film, specchietto per le allodole della trama… Cervania!

Su Bill Skarsgård ho solo una nota da aggiungere, ho avuto la fortuna di vedere il film in lingua originale in sala, ed è quello che vi consiglio di fare, perché il lavoro sulla voce del personaggio vale metà della visione, chi sostiene… NON Fa pauuuuuraaaaaa! Oltre a non aver chiaro cosa sia il Gotico, dovrebbe ascoltare quella voce che potrebbe essere quella che mi aspetto accoglierà tutti noi, dovessimo scoprire dell’esistenza di un aldilà sì, ma dopo una vita da cattivi. Anche per questo i vampiri di Eggers non sono romantici (quasi-cit.), il primo impalettamento che vediamo serve a dirci proprio questo, per Uovatore i suoi vampiri sono quelli della tradizione, delle amorali sanguisughe in cui il più potente di loro è un’apocalisse vivente, e tu di fronte all’apocalisse, non puoi fare niente se non rabbrividire, il tutto con citazioni ai film precedenti mai lanciate in faccia al pubblico, ma figlie del piglio da studente (e nerdone) del regista.

Eggers qui s’impegna a ridare valore alle paure arcaiche, le ombre, gli scricchiolii nella notte e si sforza di portare al cinema il buio, quello che al cinema è bandito, non mi riferisco al convenzionale blu scuro della fotografia che sul grande schermo chiamiamo notte, intendo proprio il modo in cui Uovatore alza l’asticella e gioca con TUTTE le fasi lunari possibili immaginabili, perché il suo Orlok deve essere questo, mostruoso, nero come il peccato e orribile come l’inferno, anche perché rappresenta il più atavico dei desideri, sì, proprio quello lì.

Il sentimento è questo! Fatà dadalin ca.

Se la convenzione cinematografica spaccia la fotografia blu scura per il buio, allo stesso modo non concede ai personaggi femminili di essere spinte da quel desiderio, il caro vecchio puro istinto sessuale, sono femminucce no? Loro devono essere romantiche, sognare l’anello e il giorno delle nozze, i sentimenti e balle varie. Eggers permette alla sua Ellen di essere mossa anche lei da quella che gli Antichi chiamavano voja de’ scopà, tanto che nella primissima scena è lei ad evocare il conte, concetto, quello del loro desiderio reciproco, che viene ribadito anche da Orlok.

Le azioni degli uomini (intesi come maschietti) sono uno specchietto per le allodole, altro che la corsa contro il tempo di Coppola, qui i due simili si attraggono e urca se sono attratti l’uno dall’altra! A chi critica la prova di Lily-Rose Depp suggerisco di andarsi a rivedere le espressioni di Isabelle Adjani nel film di Herzog, anche se dovevo saperlo, “The Idiol” era una brutta serie per molte ragioni (quasi tutte legate a problemi produttivi) ma non per la prova dell’attrice, con il corpo sacrificato per la causa come succede anche qui, quindi cari i miei Nosfigati, fate finta di averlo capito questo film, smettiamola con tutti questi “la figlia di”.

«Possibile che debba fare tutto io ancora una volta? E nel dubbio… Faiplòi»

Il problema vero? “Nosferatu” è il film che Eggers sognava da una vita ma che è arrivato non dopo il film che lo ha consacrato, ma dopo un flop, questo fa cortocircuito con la sua rocciosa volontà di non far fare un passo verso la modernità dei temi alle sue storie. Per questo forse capirete perché quella modifica al finale originale della storia lega per sempre Ellen e Orlok, gli unici al mondo che possono comprendersi perché mossi dallo stesso istintivo desiderio, anche se poi gli uomini, intesi come maschietti, vengono salvati sì, ma sulla pelle di una donna. Di pancia avrei voluto vedere Eggers osare di più con quel finale, di testa capisco che no, Uovatore alla modernità non vuole concedere proprio nulla, non con il suo cinema caparbiamente fuori dal tempo.

Se Roberto Uovatore non avesse quel legame quasi morboso con la tradizione forse avrebbe osato di più? Io penso proprio di sì, perché ci sono tracce di “Nosferatu” e delle sue svolte chiave in tutti i film di Eggers, anche prima che ne dirigesse uno tutto suo, ma ora che abbiamo tre film sul conte Orlok, è chiaro che senza quella stessa archetipica storia targata 1922 a cui il regista è legato mani e piedi come un succube, non ci sarebbe mai stato il cinema di Eggers, un paradosso di predestinazione con canini, che in un panorama contemporaneo popolato di gente che muove la macchina da presa in cerca del consenso del pubblico, direi anche cinema di classe, anzi, cinema coi baffi.

«Quell’uomo, Cassidy! Mai che si arrende! Mai che si arrende…»
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