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Occhi di Laura Mars (1978): eye of the Beholder

Il 1978 è stato un anno piuttosto impegnato per il nostro
John, sono ben tre i film che portano la sua firma, ma soltanto uno di questi lo
vede impegnato solo come sceneggiatore ed è il primo uscito quell’anno,
per la precisione ad agosto. Benvenuti ad una nuova puntata di Giovanni
Carpentiere’s The Maestro!

Quando uscì Distretto 13 – Le Brigate della morte, fu il primo dei grandi film di Carpenter ad incassare bruscolini al
botteghino, inoltre per via della famigerata scena del gelato, fece
storcere i nasi della critica americana. Ma come si dice: nessuno è profeta in
patria. Sicuramente è stato così per Giovanni, nel 1977, Distretto 13
presentato al London Film Festival raccolse i meritati applausi, lo stesso
successo arrivò anche in Francia e in Germania, intervistato da SFX anni dopo,
Carpenter dichiarò: “In Francia sono un autore, in Inghilterra sono un regista
di film horror, in Germania sono un filmmaker, negli Stati Uniti sono
considerato un buono a nulla”.
Di sicuro il Maestro non è rimasto con le mani in mani ad
aspettare la gloria, tutt’altro, Giovanni scrisse un sacco di sceneggiature e tre
di queste videro la luce proprio nel 1978. Bisogna sottolineare che i tre film hanno
tratti distintivi comuni, sia in “Pericolo in agguato” (Someone’s Watching Me!,
novembre 1978) che in “Halloween” (uscito ovviamente ad Ottobre del ‘78) le
protagoniste sono donne toste alle prese con un assassino senza volto che le
tormenta, ma le prove generali di tutto questo, Carpenter le ha fatte nella
sceneggiatura di “Occhi di Laura Mars”.
La fotografa professionista Laura Mars (la grande Faye
Dunaway) ha raggiunto il successo grazie alle sue foto di moda
provocatorie, che ritraggono affascinanti modelle intente a ricreare cruente
scene di violenza, morte e omicidio. Siccome morte e violenza vendono, Laura
Mars diventa l’idolo dei pubblicitari, le sue foto fanno vendere qualunque
prodotto… Avete presente le foto di Oliviero Toscani per la Benetton? Ecco
immaginatevi una cosa così, ma con meno cavalli e più sangue.

Oliviero Toscani? Tzè, dilettante… Guarda e impara.
Le cose si fanno complicate quando qualcuno inizia ad
inscenare gli omicidi delle fotografie, sulla faccenda indaga il detective di
polizia John Neville (Tommy Lee Jones), che non solo intreccia una relazione
con la fotografa, ma scopre il suo grande segreto: Laura attraverso alcune
visioni extra sensoriali, riesce a “vedere” gli omicidi, del passato, mentre
stanno accadendo, ma anche quelli dell’immediato futuro.
Il soggetto originale di John Carpenter prende
ispirazione dai Gialli all’Italiana degli anni ’60, da Sergio Martino a Mario
Bava, ma l’attenzione di Giovanni si pone sul discorso dello sguardo. Come
spiega Laura stessa a Tommy Lee Jones nel film: le sue visioni sono vere e
proprio soggettive, come quelle di una macchina fotografica (o da presa), il
rapporto tra vittima e assassino va di pari passo con quello di osservatore e
osservato, esattamente come gli altri due film del 1978.

“La punti verso quel tipo mascherato che ti segue da stamattina, e premi il grilletto, facile facile…”.
Il discorso sullo sguardo viene sottolineato da Carpenter
anche nel titolo originale della sceneggiatura, che originariamente era “Eyes”.
L’altra grande caratteristica che accomuna questa pellicola ai suoi fratellini
del ’78 è lo stampo volutamente Hitchcockiano dell’opera, sia nella costruzione
della suspence, che nella messa in scena delle violenza, se siete fanatici del
sangue e delle budella esposte, il 1978 di Carpenter non è l’anno che fa per
voi.
La sceneggiatura di Carpenter è passata per le mani di
parecchi registi, prima di essere accettata da un grande studio ha dovuto
incassare il no di Michael Miller e Lindsay Anderson. Gira che ti rigira, il
regista scelto fu Irvin Kershner ed è proprio con “Occhi di Laura Mars” che George Lucas si convinse che Kershner era l’uomo giusto per dirigere L’Impero colpisce ancora. Ora sapete chi dovete ringraziare…

“Il padre di Luke Skywalker è LUI?!?”.
Purtroppo la sceneggiatura originale di John Carpenter
venne riscritta svariate volte, modificando anche l’identità dell’assassino,
quindi quello che possiamo vedere sullo schermo non è certo il finale che
aveva in mente Carpenter, che venne contattato dal produttore Jon Peters per
rimettere le mani sul suo lavoro, ma a quel punto Giovanni era già
completamente assorto nel suo progetto successivo… Quello uscito in prossimità
di una festa Americana che cade l’ultimo giorno di Novembre e ha anche lo
stesso titolo. Visti i risultati direi che va bene così per tutti e pace fatta.
Certo, se Carpenter fosse rimasto a bordo, sono sicuro
che uno specialista di finali fighi come lui, avrebbe sfornato qualcosa di meno
prevedibile per l’identità dell’assassino, ma forse il bello di “Occhi di Laura
Mars” è anche questo: si tratta di uno di quei film in cui si sospetta di
tutti ed il pubblico durante la visione formula teorie e scommette sull’identità
del killer, il casting da questo punto di vista aiuta molto.

La facciona da schiaffi del grande Raul Julia (Quanto mi manca quest’uomo…).
Laura Mars è circondata dal suo isterico Manager René
Auberjonois (l’odioso Odo della serie tv “Star Trek – Deep Space Nine”), dall’ex
marito violento e alcolizzato interpretato dal grande Raul Julia e da un
autista dal passato turbolento che ha il faccione di Brad Dourif (visto in
tanti film di Lynch, ma anche ne “Il Signore degli Anelli”, ovviamente nella
parte del perfido Grima Vermilinguo), ma se proprio volessimo dirla tutta,
persino il detective che veglia su di lei ha la faccia di Tommy Lee Jones, uno
rinomato per il suo rassicurante sguardo da tenerone, insomma!

“Ah quindi Deep Space Nine non ti piaceva? Questa me la segno…”.
Non avevo mai visto il film, ho deciso di colmare questa
lacuna in vista di questa rassegna Carpenteriana, la cosa che ho trovato buffa
è che Tommy Lee Jones, quando girò questo film, aveva 32 anni e già ne
dimostrava 54! Quindi, sono ancora convinto che l’attore di origini texane non
sia MAI stato giovane, nemmeno quando lo era anagraficamente. Una di quelle
facce di granito che non cambiano mai nel tempo stile Charles Bronson.
Per chiudere il discorso sul “giovane” Tommy Lee Jones,
pare che tutti i dialoghi del suo personaggio siano stati riscritti dallo
stesso Jones, ma accreditati al regista Irvin Kershner per non incappare in
problemi con il sindacato sceneggiatori, a cui Jones non era iscritto. Ma la
cosa più divertente che ho letto riguarda Josh Brolin che, per prepararsi a
interpretare Tommy Lee Jones da giovane in “Man in Black III”, è andato a
rivedersi proprio questo film, per tentare di carpire espressioni e movenze da
imitare… Evidentemente averlo frequentato sul set di “Non è un paese per vecchi”
non è stato sufficiente. Josh te l’ho detto! Tommy Lee non è MAI stato giovane!

Tommy Lee, il 32enne più vecchio del mondo…
Anche il ruolo della protagonista è stato in forse a
lungo, originariamente Laura Mars avrebbe dovuto essere Barbra Streisand, ma
alla fine si è limitata a comporre “Prisoner” unica canzone composta dalla
cantante per un film in cui lei non recita. A portarsi il film sulle spalle ci
ha pensato Faye Dunaway, molto brava e convincente nella parte iniziale del
film, purtroppo nei minuti finali il personaggio diventa sempre più svenevole
e svampito, ma ritengo che sia più un problema derivato dalle varie riscritture
che alla prova di Faye Dunaway che comunque resta valida, basta dire che per
calarsi nel ruolo della fotografa, iniziò a frequentare il fotografo inglese Terry
O’Neill, al fine di carpirne i segreti… Considerando che i due da lì a poco si
sarebbero sposati (per poi divorziare) forse Faye Dunaway ha preso il suo ruolo fin
troppo seriamente!
Il film risente un po’ del passare del tempo, ma la
mano di Irvin Kershner si nota, la pellicola ha un ritmo più che decente, anche
se tra il look dei protagonisti e le musiche (martellanti) della colonna sonora
è impossibile non capire il decennio di cui fa parte, “Shake Your Booty” di KC
& The Sunshine Band, “Boogie Nights” degli Heatwave… Sono gli anni ’70 bellezza!!
Non si esce vivi dalle pettinature anni ’70.
“Occhi di Laura Mars” è invecchiato e forse anche un po’ prevedibile
nel finale, ma sono sicuro che potrebbe piacere agli appassionati di thriller vecchio
stampo. Sono contento di averlo recuperato perché s’incastra alla perfezione
in questo percorso Carpenteriano che sto ripercorrendo, l’ennesima
dimostrazione che Giovanni, oltre ad essere un autore estremamente coerente
nelle tematiche, in quella sua testona ha sempre avuto una caterva di idee, che
anche se rimaneggiate e annacquate da altri, possono comunque illuminare una
pellicola… Mica uno diventa “The Maestro” per niente, no?
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