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Oculus – Il riflesso del male (2013): lo specchio più cattivo del reame

Tra i compleanni di quest’anno, anche quello di un film che da dieci anni continuo a consigliare a tutti, tanto che senza nemmeno metterci d’accordo, gli abbiamo dedicato una puntata del Podcast, perché ho degli ottimi compari.

Mike Flanagan nel giro di dieci anni è passato dall’essere un esordiente che arrivava dai cortometraggi, ad uno dei nomi più conosciuti, famigerati, amati, in generale più noti in circolazione, potrà piacervi o no il suo stile, ma questo resta un dato di fatto.

Passo indietro, torniamo indietro al 2005, ai tempi dei cortometraggio dal titolo “Oculus: Chapter 3 – The man with the plan”, che non è un seguito malgrado quel “Capitolo 3” non chiarissimo nel titolo, la storia è quella di Timothy Helen Russell (Scott Graham) che per una mezz’ora mette su nastro il suo piano di distruggere lo specchio maledetto vero protagonista del corto, che ha il misterioso potere di risucchiare nel suo riflesso le persone, come se fosse il mostro di una favola, che poi sono la prima vera forma di horror.

La locandina del cortometraggio (se avete capito il perché del “Capitolo 3” siete bravi)

Il corto dopo aver fatto il giro dei festival, non ha comunque lanciato la carriera di Flanagan, che ha continuato a mantenersi come montatore video (ovvero dove il cinema si fa per davvero), poi grazie ad una raccolta fondi è arrivato “Absentia” (2011), dove ha preso ulteriormente forma la poetica del regista, nel titolo di questo film trovate già una chiave di lettura dei suoi temi più cari, perché è inutile girarci attorno, Mike Flanagan è ossessionato dal tema della morte, trova spazio (a volte anche troppo) in tutti i suoi lavori

Subito dopo aver chiarito al mondo con “Absentia” che il nostro Mickey Mike poteva essere un regista di lungometraggi, pensate un po’ chi è tornato? Lo specchio malefico, come per i suoi protagonisti un’ossessione anche per il regista. 

«Specchio specchio delle mie brame, chi è il più cattivo del reame?», «Io», «Ehi chi ha parlato?»

In qualche modo Flanagan incrocia la strada di Jason Blum che si prende il merito come Pippo Baudo: l’ho inventato ioooooooo! Anche se sembra che alla fine la sua Blumhouse la versione allungata del corto, ovvero “Oculus”, l’abbia solo distribuita, sta di fatto che da dieci anni se devo consigliare un horror a qualcuno, questo è uno dei titoli che torna sempre buono, nel caso, lo trovate su Prime Video. 

“Oculus”, con inevitabile sottotitolo italiano, inizia con l’asta tosta, il cui oggetto più ambito è lo specchio maledetto con una crepa in un angolo, che ha viaggiato in lungo e in largo “divorando” gente, anche se alla base “Oculus” ha un anima da film di vendetta, quella di Kaylie Russell, la rossa Amy Pond Karen Gillan, se mi è concesso un commento strettamente tecnico: bellissima! Lo so, è un tecnicismo, perdonatemelo. 

A lungo Amelia era nella mia lista dei nomi per la potenziale (e molto ipotetica) erede (storia vera)

Kaylie porta a casa lo specchio e replica le dinamiche del cortometraggio, telecamere fisse per riprenderlo, un enorme martellone puntato sullo specchione pronto a mandarlo in mille pezzoni e la precisa intenzione di dimostrare che lo specchio ha distrutto la vita della famiglia Russell, facendo finire il fratello Tim (Brenton Thwaites) in manicomio da cui per altro è appena uscito, trovando la sorella di nuovo alle prese con ‘sto stramaledetto specchio. Bentornato a casa Tim!

Qui abbiamo già lo scontro tra i due punti di vista, solo che la rossa Scully qui è la “credente” mentre il fratellino, Mulder della situazione, copre il ruolo dello scettico, visto che è uscito anche da anni di terapia, tutti passati a ripetersi: era solo uno specchio, i problemi dei Russell erano interni alla famiglia.

«Ma comprarne uno all’Ikea come fanno tutti, brutto?»

Ed è qui che Flanagan si gioca un’altra delle sue caratteristiche chiave, il saper saltellare tra presente e passato, infatti mentre nel presente i peraonaggi sperimentano con lo specchione per provare la loro tesi, nel passato invece facciamo la conoscenza di papà Alan (Rory Cochrane) e di mamma Marie, interpretata da Katee Sachoff, per cui è obbligatorio spendere il secondo commento strettamente tecnico del post: bellissima! Anche con i capelli tatticamente rossi prima di Bo-Katan per giustificare il suo essere madre della scozzese Amy Pond.

Grazie al riflesso abbiamo due Katee Sachoff nella stessa inquadratura (olé!)

La bellezza di “Oculus” sta nel suo tratteggiare così bene personaggi ben caratterizzati, zompettando agilmente tra passato e presente, ed in ogni salto, come spettatori ci viene chiarito un dettaglio nuovo, spesso anche raccontato in maniera dolorosa sempre divisi tra personaggi che vogliono credere alla maledizione dello specchio, e chi invece nega e si affida alla logica, il tutto mentre Flanagan lavora ai fianchi il pubblico, prima ne fa le spese il cagnone di famiglia (gulp!), dopodiché diventa abbastanza chiaro che i personaggi, seguendo l’ossessione del regista, abbiano la traiettoria dei rispettivi archi narrativi bella che segnata. 

Anche perché parliamoci chiaro, quello tra i film horror e gli specchi è una lunga, se non lunghissima tradizione, quanti ne avete visti con scene mitiche con protagonista proprio uno specchio? Tanti? Di più? Bene malgrado la lunga tradizione “Oculus” riesce comunque a dire qualcosa di nuovo, mettendo in chiaro come mai Flanagan sia diventato il Mick Gariss 2.0 ovvero il massimo contatore di Stephen King al cinema. 

Io mi sarei gettato tra le braccia dello specchio cattivone al volo.

Ci sono trovate puramente Kinghiane utilizzate con saggezza per rendere il film così riuscito e poi c’è la scena della lampadina, efficacissima e difficile da dimenticare, una di quelle scene che vi farà letteralmente sentire il dolore, perché arriva ad un punto del film in cui grazie al montaggio, Flanagan riduce sempre di più il tempo che come spettatori passiamo nel passato e nel presente, accorciando i salti temporali in modo quasi inpercettibile, un trucchetto riuscito per inclinare il pavimento sotto i piedi dello spettatore mescolando le carte anche tra realtà e visioni, rendendo così doppiamente efficace la scena della lampadina, quella che chiarisce che per i Russell e la loro vendetta nei confronti dello specchio, può esserci un solo finale, Flanagan ce lo dice con diversi minuti di anticipo, usando la narrazione per immagini per portare avanti la sua principale ossessione, quella per il tema che gli sta più a cuore. 

In tutti questi anni ho parlato e consigliato a tutti questo film, mi mancava solo di portarlo su questa Bara, il suo compleanno era l’occasione perfetta, anche perché era anche uno dei pochi film che mi mancavano di Flanagan qui sopra, tutto quello che posso fare ancora è ricordarvi la recensione de Il Zinefilo e fare gli auguri allo specchio, non proprio delle mie brame. 

Sepolto in precedenza martedì 17 ottobre 2023

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