Sanguis bibimus. Corpus edimus. Tolle corpus Satani. Satani. Satani. Ave… Ave Satani! No, non sono impazzito e non ho nemmeno ceduto al cliché per cui tutti i fanatici di Horror debbano per forza essere Bestie di Satana adoratori dello DIMONIO, io al massimo sono adoratore del genere e del classico Il presagio di Richard Donner, l’uomo che per me, e molti altri della mia generazione ci ha tenuti tutti a battesimo grazie ai suoi film.
Mi è capitato di dirlo più volte, è una scelta che vorrei sempre trovarmi a fare, perché parliamo di due assoluti capolavori, ma il mio horror demoniaco con bambini di mezzo del cuore resta proprio l’originale “The Omen” del 1976, che nella mia personalissima classifica di gradimento batte L’esorcista solo per il modo scelto di rappresentare il maligno, perché ribadisco, sono due film monumentali e sapete benissimo della mia stima per Hurricane Billy, anche perché la saga di “Omen” non sarebbe mai iniziata senza il successo del film del regista di Chicago.
Fatta questa doverosa premessa, non sono caduto dall’albero dei tonti, lo so benissimo che tra i due titoli presi ad esempio è una non competitiva, Regan MacNeil batte Damien in termini di popolarità cento a zero, ecco perché come per l’inquisizione spagnola, non mi aspettavo un prequel di “The Omen”, non dopo il moscio remake la cui unica idea è stata quella di sfruttare la data del 6/6/2006 per la sua uscita.
Con tre seguiti all’attivo, ovvero “La maledizione di Damien” (1978), “Conflitto finale” (1981) con Sam Neil nel ruolo del cresciuto Damien e il televisivo “Omen IV – Presagio infernale” (1991), la via del prequel era l’unica possibile e per certi versi, anche fuori tempo massimo. Già la saga è amata solo dai fanatici di Horror come voi e me, non stiamo certo parlando di che so… Halloween, titolo che non cito a caso, perché considerato lo scempio fatto anche mettendo le mani sull’iconografia maligna creata da Billy Friedkin, “The First Omen” da noi uscito come “Omen – L’origine del presagio” (meno efficace ma comunque sensato come titolo) è il film che verrebbe voglia di arrotolare e utilizzare per colpire David Gordon Green sul muso dicendogli: «Cattivo Davide! Cattivo! Guarda come si fa e impara… Regista cane cattivo!»
Freno subito gli entusiasmi – ma nemmeno tanto – in “Omen – L’origine del presagio” non è tutto perfetto, ma è il film che interrompe l’emorragia anzi, la mancata emorragia di titoli horror di rilievo in questo inizio di 2024, fino a questo momento come faccio sempre, mi sono dedicato a tutti quei titoli indie o giù di lì a cui bisogna dare la caccia per poterli vedere, roba che di solito esce su Shudder che per certi versi ha qualcosa in comune con questo “The First Omen”, che però allo stesso tempo è l’antipasto perfetto alla tornata di titoli (si spera ottimi) che si attestano all’orizzonte, insomma la stagione dell’horror targata 2024 sembra iniziata, e “The First Omen” non ha avuto nemmeno bisogno di aspettare il sesto giorno di giugno per uscire, perché ha delle idee e sa anche piuttosto bene come utilizzarle.
La regista Arkasha Steveson, nel suo esordio con un lungometraggio si porta dietro tutta la sua esperienza televisiva (“Channel Zero” e alcuni episodi di Legion) ma anche il suo bagaglio da regista indie, che un po’ aveva già potuto sfoggiare nella serie Al nuovo gusto di ciliegia, per certi versi “Omen – L’origine del presagio” è un film che sa stare in piedi sulle sue gambe, in certi passaggi anzi, risente un po’ del vincolo del dover rientrare nei binari della saga di cui fa parte, un compromesso senza la quale, forse Arkasha Steveson avrebbe potuto osare anche di più, ma devo dirlo, per essere il prequel di un classico in circolazione da quasi cinquant’anni, prodotto da David S. Goyer e distribuito dalla 20th Century Studios io ero pronto ad un’altra robetta della forza (si fa per dire) del remake, invece mi sono trovato davanti ad uno di quegli horror che mi piacciono tanto, quelli che vi propongo un tanto al chilo qui sulla Bara, quelli che di norma si beccano un 5,5 su IMDB e che invece hanno parecchio da dire.
Un’anima indie dentro un corpo da operazione di rilancio di una saga storica, per un film che può tranquillamente sedersi alla stessa tavola del capolavoro di Donner, riuscendo ad esserne compendio e al tempo stesso, film che potrebbe vedere chiunque, anzi a dirla tutta, tra i film di questa sorta di rinnovata Nunsplotation che viaggia sottotraccia, è uno di quelli che ho apprezzato di più, sembra un “Sorella morte” (2023) che ha capito come stare ad Hollywood.
La storia per ovvie ragioni di prequel si svolge a Roma negli anni ’70, la protagonista Margaret (una bravissima Nell Tiger Free), è una giovane donna mandata nell’orfanotrofio del convento per lavorare, vivere e in fine prendere i voti diventano suora a tutti gli effetti. L’educazione impartitale come potrete facilmente intuire, non è proprio quella dei figli dei fiori ecco, eppure lo sbarco tra le “Pinguine” (cit.) coincide con la rinascita anche sessuale della ragazza, una scoperta di quella parte della vita la cui scintilla viene accesa dalla frequentazione con le sue compagne, in particolare Luz (Maria Caballero), stereotipo dello spirito libero, anche lei spedita lì per prendere i voti.
Nel gruppo aggiungete anche l’adolescente problematica Carlita (Nicole Sorace), il cardinale Lawrence sempre nella zona delle operazioni interpretato da Bill Nighy e il gancio con il film di Donner, ovvero padre Brennan, qui interpretato da Ralph Ineson che subentra nel ruolo al Patrick Trouton del film originale. Ora, io ve lo devo dire, quando ho visto Bill Nighy ho fatto un sorrisone nel buio della sala, un po’ perché è un attore che mi piace sempre ritrovare nei film, un po’ perché qui sembra il guastatore mandato dietro le linee nemiche, attore feticcio di uno che “The Omen” lo ama moltissimo e lo ha citato a più riprese nei suoi film, sono certo che Edgard Wright sarà stato felicissimo di ritrovare il suo pretoriano in uno dei film ufficiali della saga inaugurata da Donner.
Iniziamo dai difetti di questo “The First Omen”: in certi momenti si cede, per nostra fortuna poco rispetto alla media degli horror che escono in sala targati 2024, ai famigerati “Salti paura” anche noti come “Jump Scare”, ve lo dico perché sono un noto rompipalle, ma ribadisco, Arkasha Stevenson ne abusa meno della media, inoltre, il film fila così bene grazie a quella sua natura indie, anzi quasi da horror spagnolo (considerando che i costumi sono firmati da Paco Delgado) per altro costellato di momenti pieni di sangue, sangue, sangueeeeeee! Non vorrei sembrare esagerato citando il solito “Body Horror” che è sempre sulla bocca di tutti, come se fosse automatico il passaggio, più violento deve essere per forza dominio del “Body Horror”, ma rispetto alla media dei film che escono in sala, non solo “Omen – L’origine del presagio” è figlio di una sceneggiatura tutto sommato equilibrata, ma anche di una regia con la testa ben avvitata sulle spalle, per assurdo, l’unico vero sospetto che resta sul fondo del cranio usciti dalla sala è che se non fosse stato parte di un “franchise” avrebbe potuto essere anche migliore, però sarei pronto a firmare per avere sempre problemi come questo guardando un nuovo film appena uscito.
Lati positivi, Nell Tiger Free, oltre ad essere la donna con il nome più bello del mondo (sembra il frutto di un incrocio genetico tra Jodie Foster e l’uomo Tigre ma con aspirazioni da gruppo animalista) riesce a caricarsi sulle spalle ruolo e film in modo incredibile, pensare che in Giocotrono era stata usata come panchinara pronta a subentrare in un ruolo, qui è davvero ottima, così come la ricostruzione storica, udite udite!
La Roma dell’anno 1971 sembra davvero la nostra capitale nell’anno indicato, nel confronto con gli altri film Yankee ambientati in Italia, questo film vince a mani basse prendendoli a schiaffoni, ma incredibilmente riesce a vincere anche con le produzioni (a budget paragonabile intendo) nostrane, e la ricostruzione non è solo estetica, tutto sommato in linea con questo Horror americano che però ha un anima indie quasi da Horror spagnolo, l’anno 1971 della nostra Storia ha un ruolo chiave negli eventi.
Parliamo di una società, e quindi una nazione, con i piedi piantati nelle tensioni degli anni di piombo, straziata dal terrorismo rosso e quello nero, in cui i giovani (ben rappresentati dalle proteste studentesche di piazza) mettono in dubbio un’autorità che vacilla, anche perché un po’ tutte le grandi istituzioni storiche sembrano incapaci di stare al passo con il tempo, Chiesa compresa.
Il film suggerisce in maniera anche piuttosto netta, come la Chiesa, incapace di esercitare più la sua presa, non faccia altro che provare a stringerla, aggrappandosi alla fede cieca dello zoccolo duro dei suoi fedeli, per tentare di restare ancora l’istituzione che è sempre stata. Tutto questo porta ad una soluzione estrema, qualcosa che sia una scossa in grado di riportare tutti, anche chi dubita – e nel 1971 del film sono davvero tanti – a tornare a credere. Serve riportare in auge il timore di Dio e per temere l’Onnipotente, quale modo migliore di liberare il suo principale oppositore, insomma liberate il Kraken Damien!
Trattandosi di un prequel, “Omen – L’origine del presagio” si concentra sulle radici, non solo mitologiche del male all’interno della saga di cui fa parte, ma anche culturali, se non proprio politiche, quindi cosa può esserci di più in antitesi ai principi puritani del cattolicesimo se non l’erotismo? Che ovviamente applicherà il suo lavoro di logorio anche al corpo della protagonista, una credente “corrotta”, mezzo ideale per beh, portare avanti la saga generando un capitolo “Prequel” che volendo, potrebbe avere delle continuazioni oppure, fermarsi qui e fare “L’elicottero”, alla faccia di quel cretino di David Gordon Green. Io ci aggiungerei anche un Gnè Gnè canzonatorio, per ribadire: è così che si aggiunge qualcosa ad una saga Horror storica… ‘mbecille.
Arkasha Stevenson firma un lavoro esteticamente curato, utile a mettere in chiaro la salute di un genere come l’Horror, l’ultimo rimasto ad essere chiaramente diviso in indipendente e “per tutti”, dove il più delle volte se la seconda tipologia è quella che fa sempre soldi, con quasi qualunque soggetto venga sparato in sala, è nella prima dove si formano autori, talenti, e si da spessore ad un genere che è sempre stato popolarissimo. Arkasha Stevenson vince perché trova il punto di equilibrio tra le esigenze commerciali di un prequel a cui non avrei dato due lire (se non i soldi del biglietto) e che invece mi rivedrei anche subito, quindi non posso che consigliarvelo.
La storia forse in alcuni momenti fa delle concessioni ai cliché, ma poco male, anche quando potrebbe sporcare il foglio trasformando il tutto nella fiera del gomitino e della strizzatina d’occhio, “Omen – L’origine del presagio” si gioca bene le sue carte, con momenti azzeccati in cui quando la celebre colonna sonora fa capolino, sceglie proprio il momento migliore per farlo.
Insomma, sembra incredibile che nel 2024 qualcuno sia ancora in grado di mettere mano ad una saga storica con il giusto approccio, senza timore referenziale o l’impulso sfrenato alla citazione a tutti i costi, ma con il giusto amore, quasi rispetto per il materiale originale, che Damien ci avrebbe portato il primo titolo horror riuscito della stagione 2024 non ci speravo minimamente, eppure eccolo, Ave Arkasha!
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