Tanto lo so che siete qui per le foto di Melanie Griffith,
però vediamo se riuscirò a convincervi a restare anche per il film che,
comunque, è davvero meritevole, perciò benvenuti al nuovo capitolo della rubrica…
Life of Brian!
Si fa un gran parlare di anni ’80, del decennio dei jeans a vita alta e
delle pettinature cotonate molti (che non li hanno vissuti) hanno un ricordo
di plastica, al sapore di anni ’80 direbbe Leo Ortolani, la retromania avrà pure
rallentato, ma non accenna a fermarsi. Per quello che mi
riguarda il film definitivo degli anni ’80 è questo che incarna tutto
di quel decennio e ora più che mai, sono convinto che De Palma fosse davvero
avanti, perché, per certi versi, non solo nel 1984 aveva già detto tutto su quel
decennio, ma anche sulla sua versione posticcia, di plastica, perché nel cinema di Brian da Newark tutto è un gioco di specchi, dobbiamo
sempre dubitare delle immagini che vediamo, specialmente quelle cinematografiche,
questa è la sua grande lezione.
Lezione molto ben esposta in un titolo che inizia a
determinare l’andamento della filmografia del regista, un film su commissione
(per quanto sempre curato e in linea con i temi Depalmiani) alternato ad un
progetto più personale e sentito che per Brian da Newark di solito vuole dire
una cosa sola: Thriller.
![]() |
L’occhio per la regia di De Palma non è in discussione, ma nemmeno quello per la scelta delle protagoniste. |
Scarface ci ha
messo parecchio ad iniziare a macinare soldi diventando il culto che è oggi, nel
frattempo il matrimonio di De Palma con Nancy Allen era naufragato e il nostro
si era trasferito in California, dove con un budget di dieci milioni di ex
presidenti defunti stampati su carta verde, De Palma riesce a farsi finanziare
dalla Columbia Pictures un soggetto personalissimo, sceneggiato a quattro mani
insieme a Robert J. Avrech e con dentro tutto il De Palma-pensiero: ricordi
personali, il suo (sovversivo) punto di vista su Hollywood mescolato alle sue
tematiche ricorrenti e alla famosa “grammatica Hitchcockiana”, ormai
completamente assimilata dal regista del New Jersey, tanto che “Omicidio a luci
rosse” insieme a Le due sorelle, Obsession e Vestito per uccidere, sono i film più alla Hitch di De Palma che,
però, con “Body Double” si supera.
Iniziamo proprio dal titolo: “Body Double” fa riferimento
alla controfigura, non tanto per le scene d’azione, quanto, in questo caso, per
quelle di nudo, anche per questo la nostrana distribuzione ha pensato bene di
solleticare i più pruriginosi, seguendo il vecchio adagio sul pelo e la coppia
di buoi, quindi ecco uscire dal cilindro “Omicidio a luci rosse” anche se “Body
Double” è il secondo film nato idealmente da una costola di Vestito per uccidere. Se lo spunto
iniziale di Blow Out è nato quando De
Palma ha spedito il suo fonico a registrare qualche nuovo suono da inserire nel
film, “Body Double” potrebbe aver incamerato nella storia, le polemiche sulla
controfigura, per molti troppo giovane e avvenente per sostituire Angie Dickinson
nella scena iniziale della doccia di “Dressed to kill”.
Anche se bisogna dirlo, le polemiche non sono mancate
nemmeno per “Body Double”, nel documentario “De Palma” (2015) di Noah Baumbach
il nostro, con il suo solito umorismo sornione, scherza sul fatto che la
Columbia gli abbia concesso carta bianca, almeno finché non hanno davvero
capito le sue intenzioni che prevedevano, ad esempio, far recitare nel ruolo
della protagonista Annette Haven, un’attrice di film per adulti con cui De
Palma era in buoni rapporti. Immagino che le urla dei vertici della Columbia si
siano sentite a chilometri di distanza.
Anche Cronenberg aveva fatto recitare una diva dei film per
adulti in un suo film, scelta perché la migliore del provino e non tanto per i
suoi precedenti lavori, purtroppo De Palma non aveva Ivan Reitman come
produttore e ha dovuto ripiegare, cascando in piedi, se posso dirlo, perché il
ruolo di Holly Body (geniale gioco di parole) è andato a una Melanie Griffith
che fino a quel momento aveva già lavorato con grandi registi, ma proprio
grazie a questo ruolo sarebbe esplosa, anche perché, ammettiamolo, è perfetta per
la parte, oltre al fatto (non secondario) che se mai deciderò di attirarmi più
odio di De Palma con “Body Double” e di redare la lista delle più belle attrici
mai viste nei film, un posto per Melanie Griffith è già idealmente bloccato. Ma
tanto non lo farò mai, quindi al massimo è un problema del Cassidy del futuro,
adios frescone futuristico!
Vi avevo annunciato fin dall’inizio della rubrica che l’espressione
– da vero cinefilo colto – gioco di specchi, sarebbe stata molto in voga per De
Palma, ci sono stati nella filmografia del regista del New Jersey titoli anche
molto ironici e satirici, ma qui il gioco di specchi è appunto questo: un
gioco, anzi, una vera e propria farsa. In “Omicidio a luci rosse” nulla è reale,
i personaggi si muovono, spiano, ballano e si accoppiano all’interno di un’iperealtà che è cinema allo stato puro, quindi finzione che si atteggia da
realtà, proprio per questo “Body Double” ha saputo incarnare così bene tutte le
tematiche Depalmiane, ma anche quello stile ultra patinato che lo rende il film
anni ’80 definitivo, insomma senza girarci troppo attorno… Classido!
Avete presente i famigerati cinque minuti iniziali di un
film? Quelli che ne determinano tutto l’andamento? De Palma utilizza quelli di “Omicidio
a luci rosse” per mettere subito in chiaro quanto quello che vedremo sarà finzione
travestita da patinata realtà, delle palme finte, un’alba posticcia, delle
tombe di plastica ci scaraventano subito dentro un film circolare nella forma,
che inizia e finisce sul set di un B-Movie dell’orrore, con un vampiro che
sembra il cantante dei Twisted Sister, ma che in realtà è l’attore Jake Scully
(Craig Wasson) nei panni di un vampiro, anche se fa ridere vederne uno che si
fa venire un attacco di panico per stare dentro una bara.
STOP! Scena rovinata, dice il regista del B-Movie (Dennis
Franz, solito fedelissimo di De Palma), Jake come il Jimmy Stewart di Vertigo è afflitto da una fobia, nel suo
caso non è la claustrofobia, perché tra docce,
abitacoli delle auto e ascensori, si sa che i personaggi di De
Palma sono insofferenti agli spazi chiusi, per loro molto spesso letali. Quindi,
il nostro povero Jake se ne torna a casa dopo la peggior giornata lavorativa
della sua carriera e trova (anzi vede) la sua fidanzata a letto con un altro
uomo. Giusto per sottolineare il buongusto di De Palma nella selezione delle
attrici, la fidanzata è quel mito vivente di Barbara Crampton.
Automatico che Jake dopo una giornata così, venga ritrovato
appeso al bancone di un bar a darci dentro con i Martini da un altro attore, Sam
Bouchard (Gregg Henry) che prima per distrarre il collega dai suoi guai, lo
convince ad iscriversi ad un corso di recitazione per sceneggiatori e poi
risolve il suo problema di abitazione, lasciandogli le chiave del suo
spettacolare appartamento, ma iniziamo con il corso perché qui troviamo qualche
elemento biografico inserito nella trama da De Palma.
Il regista del New Jersey ha dichiarato che per migliorare
il suo talento come scrittore, ha preso parte ad alcuni gruppi di recitazione
che spesso terminavano con qualcuno troppo calato nel ruolo e pronto a crollare
sul palco durante la lezione, quello che succede a Jake quando l’insegnante gli
fa rivivere la partita a “Sardina”, ovvero l’origine della sua claustrofobia,
infatti era lo stesso De Palma da bambino dietro al frigo di casa, giocando in
casa con i suoi fratelli, una storia (vera) che diventa un elemento chiave per
il protagonista, tanto quanto la casa di cui si ritrova custode per il fine
settimana.
![]() |
Protagonisti traumatizzati, rendono migliori i thriller dal 1958. |
Chemosphere è un appartamento creato e progettato negli anni ’60
(il decennio in cui gli americani erano proiettati al futuro) che si trova
nella San Fernando Valley in California, luogo noto anche come la Hollywood del
porno, quindi l’ideale casa da guardoni, a base ottagonale e tutta finestre
(sul cortile) in cui Jake potrà stare separato dalla fidanzata, rilassandosi e
godendosi oltre al panorama, anche lo spettacolino offerto dalla dirimpettaia Gloria
Revelle (Deborah Shelton) che a tiro di cannocchiale, tutte le sere, puntuale
come la morte e le tasse, si esibisce in uno spogliarello e poi si tocchiccia
un po’ giusto per dare ai distributori di uno strambo Paese a forma di scarpa
una scusa per il titolo pruriginoso. Quindi, a questo punto, diventa obbligatorio
un bel… Time Out Hitchcock!
“Body Double” assimila così tanti elementi presi da La donna che visse due volte e da La finestra sul cortile, da
mettere in chiaro che se l’allievo De Palma non ha superato il Maestro Hitch,
ormai è almeno al suo stesso livello. L’ossessione scopofila (e non ridete, dài!)
di Jake viene utilizzata da De Palma per continuare il suo grande tema dello
sguardo e del voyeurismo, ma anche per portare in superfice tutto il sesso che
nei film di Hitchcock, per pudore o censura del tempo era accennato, ma mai
troppo evidente. La paralisi di Jake, la sua claustrofobia che lo inchioda va
di pari passo con la fissità con cui resta immobile a guardare, senza fare, una
metafora sessuale più chiara Chemosphere, che con la sua conformazione dritta
sparata verso l’alto, ha chiari rimandi fallici.
Ovviamente Jake si perde sempre di più nella sua ossessione
per Gloria Revelle e qui va in scena il pedinamento a piedi forse più lungo
della storia del cinema, De Palma si supera, avete presente il corteggiamento
nel museo di Vestito per uccidere?
Sembra una scena breve a confronto di Jake che segue Gloria per strada, nel
centro commerciale, sale con lei in ascensore sfidando la sua claustrofobia e
poi ancora giù lungo quelle infinite scale fino in spiaggia, perché come dicevo
lassù nulla è reale in “Body Double”, tutto al massimo è ipereale, in questo
trionfo della finzione sulla realtà.
![]() |
Quando come musica d’attesa in ascensore hai Pino Donaggio. |
Diventa chiarissimo quando Jake inseguendo il nativo indiano che ha rubato la borsetta di Gloria, esce fuori dal
americano
tunnel-el-el-el con fatica e qui arriva un bacio da film, che è più un bacio sensuale, visto che ogni elemento di “Body double” è piccante, anche se la macchina
da presa che ruota a 360 gradi attorno ai protagonisti è un marchio di fabbrica della regia di De Palma.
Alla sua uscita, “Omicidio a luci rosse” è riuscito nell’impresa
di far incazzare tutti, specialmente i gruppi femministi pronti ad accusare di
misoginia il film, ma come? Solo perché quando Jake diventa testimone dell’omicidio di Gloria
nel suo appartamento, l’assassino non solo la ammazza, ma la trapassa
da parte a parte con un trapano grottescamente gigante, in una metafora che è
come gli anni ’80, sopra le righe e ultra patinata, non è un caso se Patrick Bateman,
il folle protagonista del romanzo “American Psycho” di Bret Easton Ellis è
letteralmente ossessionato dal questo film di De Palma. Nulla mi toglie dalla
testa che “Body double” non sia tra i padri nobili del cinema americano degli
anni ’80, il decennio in cui lo Slasher e l’horror hanno raggiunto
vette di creatività (e di emoglobina) forse mai più eguagliate.
Eppure, l’uso dei personaggi femminili, la violenza su di
loro, non è altro che la prosecuzione di un discorso cinematografico iniziato
con Dressed to kill, estremamente
legato al genere d’appartenenza, così come il fatto (non secondario) che nei
film di De Palma i personaggi femminili, per quanto in costante pericolo, siano
sempre quelli in controllo, opposti spesso a maschietti molto più fragili,
vittima delle loro ossessione proprio come Jake e qui bisogna spezzare una
lancia a favore di Craig Wasson, attore poco noto se non per qualche ottima
prova in film di Arthur Penn che dal 2006 si è ritirato dalla recitazione (al
massimo lo trovate a leggere qualche audiolibro di Stephen King), ma che qui
con la sua prova risulta perfetto, perché a tratti il suo Jake è talmente
spaesato, da risultare il perfetto “Alicio” finito in un Paese delle meraviglie
piuttosto spinto.
Tutto nel cinema di De Palma è doppio, anche il livello di
satira, il nostro Brian da Newark qui non le manda a dire, in “Body double” il
messaggio è chiaro: l’industria del cinema di Hollywood e quella dei film per
adulti vengono equiparate (un tema che tornerà anche nel corso di questa
rubrica). Grazie ad una pubblicità in tv l’attore di Hollywood Jake, riconosce
il balletto di Gloria è capisce che qualcuno, ha assoldato l’attrice di film
per adulti per impersonare la donna e renderlo testimone volontario di un
delitto per sua natura perfetto e totalmente posticcio. Parliamoci chiaro:
siamo di fronte ad un attore che diventa il testimone chiave di un omicidio
dove l’esca è un’attrice che arriva dai porno e considerando l’identità dell’assassino
(non la rivelo per quei due che ancora non avessero visto questo capolavoro),
diventa il cortocircuito definitivo della finzione cinematografia, infatti con
l’entrata in scena di Holly Body, ideale donna che venne visse due volte
Depalmiana, in “Body double” il distacco dalla realtà cartesiana diventa netto
e in parole povere, vale tutto.
![]() |
Fun fact: per anni De Palma ha dovuto smentire di essersi ispirato ad un film per adulti con lo stesso titolo, anche perché quello è uscito solo nel 1985, rubacchiando il titolo da qui (storia vera) |
Dove sta il gioco di specchi anche estremamente satirico? Ovunque!
Holly Body è celebre per il film “Holly Does Hollywood” che fa il verso al
celebre porno “Debbie Does Dallas” (1978) con Bambi Woods come
protagonista che per un curioso e farsesco scherzo del destino è anche la città
dov’è stato ucciso JFK, ovvero l’altra grande ossessione di De Palma. Lo sbertucciamento di De Palma alla Mecca
del cinema americano è totale, infatti “Body double” mette Hollywood e i porno
allo stesso livello, mescola zio Hitch con i videoclip (forma d’arte esplosa
proprio negli anni ’80) e visto che De Palma ha regalato a Bruce Springsteen la
sua mossa segreta di invitare una ragazza (nello specifico Courteney Cox) a ballare con lui sul palco, quando gli hanno
proposto di girare il video della celebre e satirica “Relax” dei Frankie Goes
to Hollywood lui ha pensato bene di inserirlo direttamente nel film. Certo,
quello ufficiale del pezzo è stato diretto
da Bernard Rose, ma la versione di De
Palma ci sta alla perfezione in un film dove i protagonisti si muovono in un’iperealtà
che è come il cinema stesso, realistica, ma totalmente fittizia.
Quando affermo che ogni elemento di “Omicidio a luci rosse”
non è altro che una “mossa Kansas City” per far abboccare lo spettatore e tutto
e tutti, sono la “controfigura” di qualcun altro, basta pensare al modo in cui
scegliendo Melanie Griffith come protagonista, ovvero la figlia di Tippi Hedren
resa celebre da “Gli uccelli” (1963), De Palma abbia idealmente chiuso il
cerchio con il suo Maestro potendo finalmente sedersi allo stesso tavolo come
suo pari grado, voi invece dovreste apprezzare il fatto che non farò battute
sugli uccelli, sto quasi diventando un blogger a modino (quasi).
Nello scontro finale tra Jake e l’assassino, con Holly in
pericolo che offre motivazioni aggiuntive al protagonista, la finzione supera a
destra la realtà facendole anche qualche gestaccio, il finale di “Body double”
non ci prova nemmeno a essere realistico, anzi, sfuma direttamente
nella sequenza finale, riportandoci tutti dove abbiamo iniziato, ovvero sul set
di un B-Movie. Jake ha finalmente superato la sua fobia ed ora è pronto a
completare il film, girando la scena della doccia (non manca mai una doccia in
un film De Palma), definire satirico questo finale sarebbe riduttivo, dopo un
intero film dove il regista del New Jersey ci chiede di dubitare di tutto
quello che vediamo, idealmente come lo scienziato prestato al cinema che De
Palma è sempre stato, qui ci svela qualche trucco della “magia del cinema”,
infatti la scena della doccia prevede l’uso di una “Body double” che mette in
chiaro quando sia circolare questo thriller che in puro stile sardonico (e anni
’80) come termina? Con i titoli di coda che scorrono sul primo piano su delle
tette. Ditemi quello che volete, ma non riesco a non immaginarmi De Palma che
se la ride in sala di montaggio alla faccia di Hollywood.
Con tutti i suoi Nativi Americani chiamati Indiani e le sue
protagoniste femminili iper sessualizzate, “Omicidio a luci rosse” è il titolo
a cui penso sempre per primo quando si parla di cinema americano degli anni ’80,
perché ne è una vera spremuta, tanto da non essere stato apprezzato alla sua
uscita. Ai botteghini portò a casa poco più di otto milioni di fogli verdi con
sopra facce di ex presidenti defunti, senza andare nemmeno in pari con il
budget, molti critici lo demolirono perché, a loro detta, De Palma imitava
troppo lo stile di Alfred Hitchcock, chissà se erano gli stessi che avevano
dato addosso a Scarface perché De Palma si era distanziato troppo dallo stile
di zio Hitch? Misteri ed isterie di Hollywood, la stessa sbeffeggiata da Brian
da Newark, anche se bisognava correre ai ripari con qualche progetto più
sicuro, soprattutto al botteghino. Per De Palma la sua coperta di Linus, quando non è
il thriller, resta sempre la commedia, quindi ci vediamo qui tra sette giorni
proprio con una di queste, non mancate compari!