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Operazione U.N.C.L.E. (2015): C’è bisogno di Bond sai zio (perché sennò sto male)

Ho bisogno di
Bond per Dio, perché sennò sto male. Yeah Yeah

C’è bisogno di
Bond sai zio U.N.C.L.E. Da tutto quanto il mondo…

L’Asylum apre
il terzo Sharknado con dei titoli di testa che omaggiano James Bond, ma il più
dritto di tutti è Tommaso Missile, prima scelta per la parte di Napoleon Solo
in questo film, ha salutato tutti (con l’altra mano) dicendo: “Sapete che vi
dico? Vado a farmi il mio James Bond di Mission: Impossible – Rouge Nation
sfigati!”.
La prima
cosa che voglio dirvi di “Operazione U.N.C.L.E.” è che si tratta di un’esperienza. Guardando il film ti ritrovi per due ore a fluttuare nel vuoto
attratto da una forza gravitazionale che prima ti solleva da terra e poi
lentamente ti attira a sè, inutile opporsi, la forza è talmente potente per cui
ogni tentativo di liberarsi è vano, volenti o nolenti si viene risucchiati in
un enorme buco nero da cui non esiste ritorno, si tratta del gargantuesco
vuoto cosmico generato dalla totale assenza di carisma e dalla cagnaccitudine
recitativa di quel palo di Henry Cavill, il vuoto totale che assorbe luce e
restituisce ottusa fissità, molto ben vestita, ma pur sempre fissità.



Se fissi a lungo lo sguardo in Henry Cavill anche Henry Cavill affonda lo sguardo in te.
Della serie tv
americana originale intitolata “Organizzazione U.N.C.L.E.” ricordo poco, forse
solo la presenza del mitico Robert Vaughn, nei panni dell’agente
Americano. La serie tv era proprio nata come risposta Yankee ai film di Bond
ed è curioso che a riportare gli agenti di Z.I.O. sul grande schermo sia stato
un Inglese purosangue come Guy Ritchie, che in realtà è la seconda scelta, la
prima era Steven Soderbergh, che forse era l’unica possibilità per rendere il
film ancora più irritante, Soderbergh e Tommaso Missile nello stesso film, no
davvero, non fatemici pensare…
Forse l’unico
modo per discostarsi da tutte queste spie cinematografiche che popolano il
grande schermo in attesa del ritorno (del Re) del Bond titolare (Spectre di Sam
Mendes) era mantenere l’ambientazione anni ’60 della serie, che poi a mio
avviso, è il motivo per cui Guy Ritchie ha accettato di scrivere (insieme al
suo compare Lione Wigram) e di dirigere questo film: avere l’occasione per fare
un film patinato che ci spiega quanto tutto era più stiloso nei gloriosi anni
’60.
Il soggetto
iniziale è talmente minimale che anche io sono in grado di riassumervelo:
l’agente Cia
Napoleon Solo (Henry Cavill) e il suo omologo russo Illya Kuryakin (Armie
Hammer) sono costretti a collaborare per impedire che una pericolosa arma nucleare
finisca in mano ai nazisti. Per farlo devono farsi aiutare dalla figlia di uno
scienziato tedesco (la Alicia Vikander di Ex Machina).


Gli stilosi e fighissimi anni ’60.
A questo
aggiungete Jarred Harris nei panni del capo di Solo ed Elizabeth Debicki in
quelli eleganti della figlia di un Italiano collaborazionista e il quadro è
quasi completo.
Guy Ritchie
con la scena di apertura iniziale ambientata a Berlino Est, presenta l’elegante
agente Solo, abituato a grattugiare tartufo sulla pasta e ai vestiti eleganti,
contrapponendolo al ben più rozzo, e affetto da attacchi di rabbia degni di
Hulk (Rosso, in quanto Sovietico) agente Kuryakin. In mezzo la bella tedesca
che ora fa la meccanica, ma è figlia di uno scienziato tedesco che custodisce
il segreto nuclerare (Alicia Vikander per fortuna interpreta il tutto con
ironica convinzione).
Il
salvataggio iniziale con relativo inseguimento potrebbe illudervi sull’andazzo
del film, che cambia presto ritmo trasformandosi in un Buddy Movie, con strana
coppia insieme per forza e tutti i clichè tipici di questa situazione, non
serve costringere i personaggi di Armie Hammer e Alicia Vikander a fingersi
fidanzati per motivi di copertura a frenare la china lungo la quale il film
scivola molto presto… Un Broomance, ma di quelli che scappano di mano, uno di
quei film dove pensi che l’astio reciproco tra i due maschi Alpha, sia tutto un
gonfiare i muscoli per nascondere il fatto che si butterebbero reciprocamente
la lingua in bocca molto volentieri.



I segreti di Brokeback U.N.C.L.E.
La trama per
fortuna non si prende troppo sul serio (se hai come cattivo un Nazista pazzo
che ama le torture è meglio fare così), Guy Ritchie ormai mi sembra anche un
po’ troppo schiavo di se stesso e del suo modo di fare film, qui è talmente
impegnato a volerci continuamente mostrare quanto negli anni ’60 fosse tutto
figo, che non sembra nemmeno stia dirigendo un film, ma uno spot di profumi per
qualche marca di alta moda, sì, ci sono gli split screen e la fotografia
colorata, anche qualche gustoso rimescolamento e un buon utilizzo dei flashback,
ma è chiaro che più che sostanza si voglia fare estetica.
Non si può
criticare “Operazione U.N.C.L.E.” dicendo che si tratta di un film poco curato
come regia o scrittura, o parlando di un Guy Ritchie svogliato, questo proprio
no, il problema è che in un film di spie anni ’60, personalmente mi sono
annoiato parecchio ad assistere a questa origin story volutamente retrò.
Per esempio,
aver scelto Hugh Grant per quel (piccolo) ruolo lì, mi è sembrata proprio la
scelta giusta. In un’operazione nostalgia fatta per esaltare tutto il bello di
un’epoca passata e trattandosi degli Anni ’60, la storia deve fare anche un
salto nella Roma di allora, perché “La Dolce Vita” continua a fare presa sugli
Yankee (citofonare Sorrentino per conferma…) quindi, via di immagini barocche e
roccocò sulla Roma di allora e battute sulla scalinata di Piazza di Spagna.



Vi ricordate di Robert Vaughn e David McCallum? Ecco, li rimpiangerete…
Qual è il
problema di questo film allora? Cosa mi ha urtato così tanto? Facile: il
casting.
Arnoldo Martello è
un quasi-famoso affetto da sfiga congenita, prima si è dovuto sdoppiare usando
la magia della computer grafica, per interpretare se stesso e il suo gemello in
“The Social Network” e da lì in poi non ha fatto che dimezzarsi, per far spazio
a compagni di merende più famosi di lui. Nascosto sotto strati di (pessimo)
make-up in “J Edgar” per fare l’amante di Di Caprio (che non ha vinto l’Oscar,
ma quello ormai si sa…). Mascherato, è andato sotto contro l’odioso Johnny
“Bitch” Depp in versione Tonto (nel senso di Indiano non di scemo)
nell’ingiusto (non per Depp) floppone che era “The Lone Ranger” e qui? Gli
tocca fare il russo pazzoide e spesso alzare assist per un compagno
carisma-leso, il tutto con un doppiaggio italiano che lo fa parlare come Borat.
Ma veniamo a
IL PROBLEMA: Enrico Cavillo è un palo, io non metto in dubbio che piaccia alle
signore, ma non ha un’espressione che sia una, sì, può affrontare il pericolo con
sprezzo è un filo di mal celata superiorità come il Bond di Connery, ma non è
detto che un bel vestito e una faccia da stoccafisso siano sufficienti a
metterti in scia al celeberrimo Scozzese. Per il ruolo di Napoleon Solo ci
vuole uno che si mangia lo schermo, che davvero ti convince di essere
infallibile e impossibile da scalfire (nemmeno mentre lo stanno torturando),
devi recitare con il super ego di Tommaso Missile in Mission: Impossibile, non
puoi essere l’anti-carisma Henry Cavill cazzarola!



Enrico Cavillo, l’uomo con il fisico da copertina di GQ e il carisma dello spessore di una pagina di GQ.
Lo ha capito
anche Colin Firth, al suo esordio con un blockbuster d’azione ironico, ha
cambiato registro rispetto al solito dimostrandosi perfetto in Kingsman – Secret Service, film a
mio avviso molto più riuscito di questo proprio per il casting azzeccato. Per
quanto mi riguarda “Operazione Z.I.O.” è come il suo attore protagonista: sarà
pure esteticamente figo, ben vestito e pettinato, ma alla fine viene lo stesso
risucchiato nel buco nero di una pericolosa assenza di carisma. Mi immagino
Cavill che mi dice: “Ma bello come sono, ti aspetti che io parli?”, allora
sarebbe l’occasione per citare Goldfinger: “No, mi aspetto che tu muoia”.
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