«La conquista dell’energia atomica ha cambiato tutto tranne il nostro modo di pensare… La soluzione dei nostri problemi si trova nel cuore dell’uomo. Se solo lo avessi saputo, avrei fatto l’orologiaio.» Albert Einstein.
Si parla tanto di Christopher Nolan, a mio avviso sempre per i motivi sbagliati. Come ad esempio il famigerato “Barbienheimer” che in uno strambo Paese a forma di scarpa nemmeno abbiamo avuto per davvero, a noi al massimo è toccato #AHSOPPENHEIMER per citare qualcosa che davvero abbiamo potuto vedere il 23 agosto, data di uscita italiana della bomb… Ehm dell’ultima fatica di Nolan.
Si parla tanto di Nolan per i motivi sbagliarli, perché uno che potrebbe essere Kubrick, sempre diviso tra quella sua ansia di passare per il più intelligente della stanza, ma anche con il terrore di perdersi il pubblico (che nel suo cinema si traduce spesso in infiniti e tediosi spiegoni), invece di essere incalzato per i suoi difetti come si dovrebbe sempre pretendere da quelli davvero bravi (il mio coach di basket mi ha insegnato così), viene idolatrato perché ha fatto dei film su Batman che hanno dato al pubblico quello che più desiderava, sentirsi adulti guardando dei film da grandi, ma continuando a seguire storie dell’uomo pipistrello. Motivo per cui nel “galateo” di Infernet, ogni volta che si parla di Nolan – e abbiamo messo in chiaro che succede molto spesso – la regola non scritta è mostrare subito i documenti dichiarandosi, nel mio caso da non Nolaniano ho fatto il tifo per “Oppenheimer”, se di tifo si può parlare nella gabbia delle scimmie urlatrici di Infernet.
Se non proprio il tifo, ci ho sperato perché, beh, tocca farlo. Superato negli incassi e nella visibilità da un film basato su un giocattolo (quindi di una variante del solito film sulla malinconia infantile) a mio avviso di minor valore, tocca sperare in un regista che si ostina a far uscire i suoi film in piena estate (infatti nel solito Paese scarpiformide, abbiamo dovuto aspettare un mese extra), in formato IMAX anche se ci sono solo tre cinema in Italia che lo proietteranno come il regista inglese lo ha davvero pensato, ma soprattutto, che fa film dai sei anni in su, ormai una rarità assoluta per il cinema americano contemporaneo.
Quindi vivo il paradosso di sperare che uno, che non è tra i miei preferiti e verrà incensato comunque dai suoi discepoli su infernet, faccia un buon film perché se ne sentiva il bisogno dopo tutta la follia di “Barbienheimer”, missione compiuta signor Nolan, per una volta non ho riposto le mie speranze sul cavallo perdente.
La durata di “Oppenheimer”, si è parlato anche su questo, molto diffusamente. Che sia un film molto dialogato e pieno di quei dettagli tecnici che piacciono tanto ai Nolaniani con la maglietta della Nasa che sono andati giù di testa per “Interstellar” (20414), anche questo è una certezza. Ma se io vivo un paradosso penso che lo viva anche Nolan, uno che da grande vorrebbe essere Kubrick ma è idolatrato per un cinecomics, e che allo stesso tempo è un nerd di roba scientifica ma anche uno come noi, uno che ha dichiarato di amare il più tamarro dei capitoli di Fast & Furious e che per certi versi, ha fatto un film per cui anche Michael Bay potrebbe dire qualcosa come: «Bella esplosione». Nolan uno di noi, in fondo, molto in fondo, perché con questo film alla fine, il suo botto fortissimo l’ha fatto, battendo idealmente il primo nome associato ad una “biopic” su Oppenheimer, ovvero Sam Mendes, ora datevi il cambio e fate dirigere uno 007 a Nolan, così saremo tutti felici.
«È la bomba non esplosa, il pericolo che nessuno sapeva fosse reale… Quella è la bomba che ha il potere di cambiare il mondo», diceva così Robert Pattinson in Tenet, film che conferma il mio essere non Nolaniano e che per certi versi è speculare, si potrebbe dire palindromo rispetto a “Oppenheimer”, non solo perché in un dialogo citava lo scienziato, ma perché da una parte avevamo un omnisciente Pattinson, che forte delle sue conoscenze e sicurezze, doveva impedire l’apocalisse nucleare per salvare il mondo da come avrebbe potuto essere. Qui invece Nolan fa un lavoro opposto, utilizzando la scusa di una biografia su una delle più importanti figure della storia e della scienza del novecento, responsabile con ruolo attivo nella costruzione e nella detonazione della stessa tipologia di ordigno, pian piano lo trasforma in spettatore addolorato di un futuro (il nostro presente) di cui è responsabile. A loro modo entrambi i personaggi sono “Omniscienti” solo che per assurdo, il Robert Oppenheimer di Cillian Murphy lo è in un modo quasi fumettistico oltre che totalmente cinematografico, ma come avrebbe detto un altro grande uomo di scienza come Anders Celsius, andiamo per gradi.
Si parla tanto in “Oppenheimer” e forse per la prima volta nella sua carriera, il copione scritto dallo stesso Nolan riesce a dare vero valore ai dialoghi (non sempre l’asso nella manica del regista), nel tanto parlare e nella densità di un film che richiede e calamita la vostra attenzione e che sarebbe l’ideale vedere nella sala con lo schermo più grosso e l’impianto sonoro più potente a portata di tiro (il lavoro sul sonoro di questo film ha già tutti gli Oscar tecnici assegnati, altrimenti mi mangio il mio cappello da Oppenheimer), inevitabile per me, in tutto questo movimento di rotelle, nel cranio, fare delle riflessioni.
La prima è che scegliere di dirigere una “biopic” ispirata alla dettagliatissima biografia di Kai Bird e Martin J. Sherwin, “American Prometheus”, premio Pulitzer nel 2006, permette a Nolan di avere i piedi ben piantati a terra, una solida base che gli concede di avere la corda di sicurezza di un elenco di eventi che si sono susseguiti in modo lineare (ovvero la vita del fisico statunitense), dando così valore alla sua ossessione per il tempo, a quel suo vezzo da autore di saltare avanti e indietro, che è la sua fortuna dai tempi di “Memento” (2000) e allo stesso tempo la sua maledizione, perché Nolan sarà sempre per il pubblico quello di Batman dei film strani e incasinati, quindi se ti racconta la battaglia di Dunkerque, in rete devono girare robe assurde tipo la Timeline di Dunkirk, perché Nolan è schiavo del suo personaggio.
Essersi dedicato ad una biografia non è uno svantaggio per Nolan ma un modo per non perdersi nei suoi voli pindarici, in quella sua fottuta ansia di perdersi il pubblico, il risultato è che il suo voler giocare con il tempo, muovendosi avanti e indietro lungo la storia (passando al bianco e nero e cambiando i vari rapporti della pellicola) non solo è in continuità con il suo cinema, ma è una marcia in più per un film che riesce ad essere quasi la somma di tutto il lavoro fatto da Nolan fino ad ora e allo stesso tempo, fumettistico. Non insorgete, ora vi spiego tutto.
In tutti questi personaggi che parlano, e sono davvero tanti visto che Nolan ha messo sotto contratto tutti quelli che non recitano in “Asteroid City” (2023), ovvero l’altra metà di Hollywood, mi sono venute in mente le parole proveniente da un film di un altro esperto di esplosioni grosse: «… Tutte le conquiste della moderna tecnologia, persino le guerre del passato, tutto ciò, ci ha fornito gli strumenti per combattere questa terribile battaglia», perché davvero “Oppenheimer” sembra il piano inclinato su cui scivolano tutte le anime del cinema di Nolan, compreso il fatto di essere famoso ed idolatrato per un film tratto da fumetto, perché il continuo rimbalzare avanti e indietro lungo la storia del personaggio (specialmente nella prima ora di film) è la prova che Christopher Nolan ha letto e capito Watchmen, non ha solo guardato le figure come altri suoi colleghi.
Robert Oppenheimer è il suo Dottor Manhattan, talmente intelligente (come dicevo lassù, omnisciente) da poter vedere passato, presente e futuro tutti insieme allo stesso tempo, mi dispiace per molte delle sue ammiratrici, Cilliano Birra-Scura non passa metà film dipinto di blu e con il pipo al vento, ma la prima ora di film con la scusa di portare in una scena una biopic su Oppenheimer, fisico, stracciamutande e vicino al partito comunista, lo fa usando un registro narrativo identico a quello con cui Alan Moore scriveva il capitolo dedicato alle origini del Dottor Manhattan in Watchmen, risultato? In una prima ora parlata (tanto parlata!), si resta incollati proprio grazie ai salti temporali che sono sempre chiarissimi, anche quando davanti ai nostri occhi passsano una serie di nomi e volti famosi da capogiro.
Il Lewis Strauss (non di Ritorno al futuro ma forse anche sì) di Robert Downey Jr. seguito dal Niels Bohr di Kenneth Branagh giù a proseguire l’elenco del telefono della facce note che si accontentano anche di un primo piano nel mucchio pur di esserci (Casey Affleck, Josh Hartnett, Matthew Modine che si sta trasformando in David Cronenberg), passato, presente e sinistro futuro scorrono davanti agli occhi di un Oppenheimer sempre più contrito, affranto, nella sua onniscienza consapevole del suo ruolo e di quel «Credo che lo abbiamo fatto» che è la perfetta conclusione di questa maratona di quasi tre ore.
Il primo atto del film, la sua prima ora e qualcosa alla “Watchmen” porta all’apice, il climax di un film dove il tempo è non lineare (perché avviene tutto insieme, passato presente e futuro, sotto i nostri occhi), deve arrivare grossomodo a metà, ed è qui che con il progetto Manhattan e soprattutto il Trinity Test, Nolan trova il modo di rendere totalmente cinematografica quella che altrove, sarebbe stata una normale biopic, un elenco di fatti che qui, ha forse come unico difetto, il suo non inventare niente. Da questo punto di vista “Oppenheimer” non rivoluzionerà il modo di raccontare le vite degli scienziati geniali al cinema, abbiamo sempre il genio al centro e i personaggi che ruotano attorno a lui (Emily Blunt generosissima nel brillare nel poco spazio concesso a Kitty Oppenheimer oppure Florence Pugh, che riesce nell’impresa di portare della sensualità in un film di Nolan, miracolo!), da questo punto di vista il film non diverge di una virgola dai vari The Imitation game o roba così, per fortuna da tutto questo Nolan spreme fuori quanto più cinema possibile.
Abbiamo per le mani la vita di uno scienziato che spaccava l’atomo in quattro no? Bene, quindi Nolan ci racconta il Trinity Test con un’enfasi resa alla perfezione dal crescendo delle musiche di Ludwig Göransson (uno che più lavora e più mi piace), l’esperimento nucleare che cambierà il mondo viene portato in scena come l’allestimento di un set cinematografico, infatti il protagonista sta accanto ad una macchina da presa perché è il regista di tutto, e se Oppenheimer nella sua omniscienza tutto vede e tutto conosce, anche i segreti dell’atomo ridotto a radiazione elettromagnetica. Nolan con lo stesso piglio, un po’ fighetto e decisamente da nerd (di scienza e cinema) riduce tutto a particelle di luce, che poi sono quelle che in sala spuntano dal proiettore e rendono visibile sullo schermo l’invisibile, insomma questo film farà fare le pippette ai cinéfili nell’era dell’Internét per i prossimi dieci anni (lato negativo) ma è anche estremamente coerente all’interno della filmografia di cui fa parte (lato positivo), anche perché state tranquilli, tanti frettolosamente e per darsi un tono, etichetteranno tutti questo come un polpettone, solo perché non hanno (più?) la pazienza che Nolan pretende dal suo pubblico e che per una volta, si è conquistato sul campo.
Dopo aver portato in scena quell’esplosione lì, quella enorme, quella che ha cambiato il mondo, come fa “Oppenheimer” a durare un’altra ora? Cosa ha ancora da raccontare? Ha da raccontare il The Day After infatti arriva presto la mia scena preferita, la conferenza stampa, il momento che mi ha fatto quasi sperare di vedere un giorno un horror diretto da Nolan (che ha già annunciato un Western, potrebbe andarmi bene lo stesso), dove Oppenheimer è costretto a dire delle cose davanti ad un pubblico in presa a crisi isteriche (insomma i Nolaniani) ma è morto dentro, perché nella sua onniscienza vede – letteralmente – davanti ai suoi occhi gli effetti delle azioni di cui si sente responsabile. Non servono le parole del presidente Truman (ad Oldman manca solo più Stalin, poi potrà girare un film sulla conferenza di Potsdam da solo), perché la storia ha già etichettato o assolto (a seconda dei punti di vista) Robert Oppenheimer, quindi Nolan può usare il cinema per raccontare il personaggio in maniera diversa e lo fa, grazie alla prova monumentale di Cillian Murphy.
Cilliano, una vita da mediano per Nolan, colui che ha rinunciato a Batman per lasciare spazio a Bale accontentandosi dello Spaventapasseri e di tanti altri ruoli minori nei suoi film, aspettando il momento in cui Coach Nolan lo facesse giocare. Qui tutto il film è costruito sui suoi zigomi, sguardi, silenzi, magari non vincerà nessun premio grosso ma per una delle migliori prove di recitazione del 2023 è a casa Murphy che bisogna bussare, sempre sostenuto che fosse un grande attore, ora attendo il salto sul carro dei vincitori, sport nazionale e non solo.
Ci sarebbe da discutere per un’altra ora su questo film così denso, ma mi preme di risolvere la questione così, da non Nolaniano (mi sono dichiarato come da procedura no?) posso dire che “Oppenheimer” lima e limita tutti i difetti che non mi fanno amare il cinema di Nolan e ne esalta i pregi, certo, l’approccio è sempre quello fighettino da primo della classe di cinema e scienza, ma se i risultati dei paradossi di Nolan sono film così, io sono pronto ad affrontare i miei e a consigliare e promuovere questo film, certo non che sia facile per me, se solo l’avessi saputo, avrei fatto l’orologiaio.
Sepolto in precedenza lunedì 28 agosto 2023.
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Taigermen ha detto:
Bello rivedere questa recensione
Cassidy ha detto:
Ho fatto bene a riportarla sulla Bara allora 😉 Cheers